Giornata della memoria
Non dimenticare o ricordare?

La giornata della memoria è stata istituita in Italia con una legge nel 2000, votata dal Parlamento all’unanimità. L’Italia anticipò le Nazioni Unite che solo nel 2005 si decisero a votare una risoluzione perché a livello internazionale fosse ricordato l’Olocausto.

Perché il 27 gennaio?

Quando nel Parlamento italiano si trattò di scegliere una data per ricordare la Shoah, ci fu chi propose di scegliere il 16 ottobre, perché in quella data del 1943 ci fu il rastrellamento nazista nel Ghetto di Roma, fatto all’alba e con atto vile e proditorio nonostante la consegna di 50 chilogrammi d’oro pretesi dal colonnello Herbert Kappler in cambio della incolumità. Invece oltre 1600 ebrei furono deportati in Germania e sterminati nei campi di concentramento. Ne tornarono solo 16.

Ma poi, ha raccontato il sen. Athos De Luca, uno dei promotori di quella legge, si decise di scegliere una data non legata a un episodio solo romano per quanto tragico. La scelta cadde sul giorno 27 gennaio, perché in quel giorno del 1945 le truppe sovietiche arrivarono al campo di concentramento di Auschwitz (Oswiecim) in Polonia, e misero fine alla macchina infernale di morte e all’orrore dei campi. Furono poi scoperti, giorni dopo, altri orrori, montagne di corpi, perlopiù ridotti a scheletri,  fosse comuni, forni crematori che i nazisti, per non lasciare traccia dei misfatti, avevano invano cercato di distruggere prima della fuga.

Alcune di quelle scene furono filmate da registi famosi, come Alfred Hitchcock. Ma non sono mancati coloro che hanno messo in dubbio anche questo, e hanno osato affermare che si trattasse di simulazioni, di fiction. Un orrore che si aggiunge all’orrore.

Non dimenticare o ricordare?

Sono dei sinonimi, ma non sono la stessa cosa. Non sono un linguista o un ermeneuta, e tuttavia osservo, e ipotizzo, che tra le due espressioni ci siano sfumature importanti. “Non dimenticare” è un’espressione che, per dirla in soldoni, rimanda all’archivio, sia pure a un archivio dell’anima, e quindi è una forma apparentemente passiva. 

“Non dimenticare” è un’espressione che si usa riferendola a varie esperienze della vita: un amore, un successo scolastico, un dolore, un lutto, un insuccesso. Non si dimenticano, quelle esperienze stanno lì, in un archivio della memoria, depositate in una cassaforte memoriale. “Non dimenticar” era una famosa canzone degli anni ’50 cantata da Nat King Cole.

Ricordare” invece è un’espressione che suggerisce un atto propositivo,  un “movimento”, una forma attiva del pensiero e anche dell’azione. “Ricordare” rinvia alla memoria intesa come atto politico e come impegno etico.

Perciò, applicandola alla Shoah, agli orrori del ‘900 rappresentati da guerre spaventose ma soprattutto dalla persecuzione e dall’annientamento di milioni di persone per odio etnico e ideologico, credo sia più appropriata  l’espressione “ricordare”. 

Tre spunti, tra i tanti,  per rinverdire il ricordo.

Ci sono le parole con cui Primo Levi, che nel campo di sterminio c’era stato ed era tornato con segni indelebili più nell’animo che nel corpo, apre il suo romanzo Se questo è un uomo. A leggerlo, ogni volta suscita brividi di emozione e di partecipazione dolorosa:

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Chissà oggi in quante scuole i professori avranno fatto leggere questo disperato appello.

Come secondo spunto, proponiamo questo pensiero del filosofo Giorgio Santayana:

Chi non ricorda la propria storia è poi condannato a riviverla

E poi c’è questa frase illuminante di Benedetto Croce:

La Storia è Storia contemporanea.

Chiaro il senso di questa frase-teoria: non ci illudiamo che il passato si possa archiviare, congelare, e renderlo inoperante su di noi. C’è un passato che non passa, e ce lo troviamo sempre sulla porta di casa, e con questo passato, con questa storia dobbiamo fare i conti, mentre creiamo nuovi fatti che poi potranno a loro volta diventare storia.

Per la conservazione della memoria, per tenere sempre accesso il ricordo, non solo come puro atto commemorativo ma come atto suscitatore di nuove conoscenze e approfondimenti, la scuola può fare tanto.

Ma oggi gli studenti sanno tutto sugli Assiri-Babilonesi ma nulla sanno sul Novecento e le sue tragedie. È già tanto se arrivano, se ci arrivano, allo studio della Prima guerra mondiale, lamentava stamani su Radio Radicale il responsabile della comunicazione della Comunità ebraica di Roma Ruben Della Rocca.

E allora? E dunque? E’ vitale ricordare. Per  restare vigili. Siamo in tempi di vaccini, e allora diciamo che il ricordo è un vaccino contro le ricadute della Storia (ricadute intese come malattie).

Un filosofo tedesco, Theodor Adorno, riferendosi ai campi di sterminio, disse una volta: Dopo (gli orrori di) Auschwitz non avrà più senso scrivere poesie.

Per fortuna il filosofo di “Minima moralia” si sbagliava: Dopo Auschwitz i poeti hanno continuato a cantare le miserie dell’uomo, ma forse con una consapevolezza e uno smarrimento nuovo: “Codesto solo possiamo dirvi, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Montale).

 

Pangloss

 

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