Dopo due anni di strenuo atlantismo filo-Ucraina, dopo aver dato lezioni a Patrioti e sovranisti vari su come si diventa affidabili agli occhi dei grandi in Europa, invece di dar retta a tutti quelli che la spingono per un ritorno alle origini, Giorgia Meloni dovrebbe ispirarsi ad un’altra donna di destra, celebre per la sua mano ferma. “You turn if you want to. The lady’s not for turning”, rispose sprezzante Margaret Thatcher a quelli che – durante il Congresso del Partito Conservatore del 1980 – le chiedevano una marcia indietro sulle sue riforme più innovative. “Girate voi se volete. La signora non si volta”, li gelò la Lady di ferro. E invece. Se a grandi linee, ma a buon titolo, la Destra italiana degli ultimi 80 anni può essere essere identificata in tre personaggi guida Giorgio Almirante, Gianfranco Fini e Giorgia Meloni il filo nero nero che li lega ha subito una torsione all’indietro nelle ultime battute, come se la leader di Fdi avesse un incedere a singhiozzo su alcune basi consolidate dal suo predecessore. Una sorta di “passo del gambero” che l’affaire Ventotene squaderna in modo emblematico e che denota una supina adesione allo spirito demolitore di Donald Trump e allo sprezzo dimostrato dal tycoon per la confederazione europea.

L’omaggio appassionato di Fini ad Altiero Spinelli e a Ventotene
Bene, vale la pena sentire cosa diceva poco più di dieci anni fa, quindi di recente, l’ex presidente della Camera e leader di Anm Gianfranco Fini a proposito del vituperato (da Meloni) Manifesto di Ventotene. Usando, al contrario di Giorgia, un’aula di Montecitorio per un appassionato omaggio a due ‘padri’ dell’Unione Europea, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, Fini definiva “i loro insegnamenti e le loro visioni anticipatrici parte integrante e fondante del patrimonio morale, culturale e politico del processo di integrazione continentale”. Con un solenne discorso pronunciato di fronte all’allora presidente della Repubblica, colui che nel Pci fu il custode dell’europeismo, Giorgio Napolitano, il fondatore di An celebrava “il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, dove è affermata l’idea di un’Europa federale libera da ogni deteriore nazionalismo perché affrancata da una concezione esasperata della sovranità degli Stati. “Un’Europa libera e unita – si legge nel testo – è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto” . E se l’allora presidente della Camera notava che “il progetto europeo ha nuovamente bisogno di ritrovare slancio e vigore presso l’opinione pubblica continentale e presso le classi dirigenti dei 27 Paesi dell’UE”, viene da chiedersi con che spirito la sua erede politica abbia voluto rovesciare questo paradigma per tornare a quello dell’Europa delle nazioni dove ognuno fa per sé. Per finire ora in mezzo al guado se si tratta di decidere su spese comuni per potenziare la deterrenza militare europea o su coalizioni dei volenterosi per dar man forte all’Ucraina.

FdI dilaga, ma alla destra di Salvini
E perché – se non per compiacere Trump o per coprire le divisioni del centrodestra sul piano di riarmo Ue-Meloni non ritiene al pari di Fini che sia “quanto mai prezioso e fecondo riattingere energie morali e politiche dal grande patrimonio ideale lasciato sia da Alcide De Gasperi sia da Altiero Spinelli”? A quanto pare l’intemerata mirata a smantellare un altro totem della sinistra, è stata costruita a tavolino dai suoi dioscuri a palazzo Chigi, in una operazione di rovesciamento culturale che costituisce un altro tassello di quanto fatto fin qui a vari livelli, cinema, televisione, social, istituzioni.
Ecco, di fronte a questo è d’obbligo porsi alcune domande. Come in Francia con il Front National di Marine Le Pen, progressivamente sempre più rappresentativo di un ceto medio impoverito e quindi in larga espansione e non più tenuto ai margini del sistema, anche i Fratelli d’Italia da partito di opposizione e di testimonianza in dieci anni sono divenuti partito di governo strappando fasce di elettorato a Berlusconi e alla destra di Salvini. Allargando enormemente lo spazio politico che era stato appannaggio prima del Msi e poi di Alleanza Nazionale di Fini.
Al pari di quanto avvenuto in altri paesi europei, oggi la destra di Fdi ha mandato ai confini dell’universo elettorale forze più conservatrici e moderate, come Forza Italia. Un fenomeno ormai acquisito anche in Germania, dove la destra di Afd viene a fatica tenuta fuori dal recinto del prossimo governo, ma che progressivamente si avvicina ai palazzi del potere: e c’è da scommettere che lo farà attenuando le spinte neo-fasciste al suo interno, insomma rendendosi più presentabile.

La sbandata di Giorgia (per Donald)
Da noi sembra però che Meloni, ottenuto lo scettro, voglia tornare alle origini per non smarrire la sua identità più verace, come se l’ultimo giro di boa della storia, con l’avvento di un Trump privo di freni inibitori nel suo estremismo Maga, la induca a riposizionarsi alle estreme. Così facendo, Giorgia Meloni soffoca il processo avviato con quello scatto di maturità nell’era Draghi sulla difesa a oltranza dell’Ucraina come principio irrinunciabile. Se la postura internazionale era stata un suo punto di forza, l’equilibro odierno cui è costretta dal cambio di passo della storia la fa sbandare pericolosamente.
Come se non riuscisse a decidere se fare il salto in avanti definitivo (come fecero i socialisti tedeschi con la famosa svolta di Bad Godesberg in cui la Spd abbandonò l’ideologia marxista); o se rinverdire il richiamo della foresta dei post-fascisti esclusi dal governo per decenni. E se questa è la tendenza, l’Italia resterà ai margini nei prossimi anni dei tavoli che contano, lì dove si prenderanno le decisioni strategiche, le più difficili.
Con questo contributo diamo il benvenuto Carlo Bertini, valoroso collega, già alla Stampa, che oggi firma il suo primo articolo su BeeMagazine