Ventotene e l’eterogenesi delle Giorge

La cosa disturbante di tutto l’ambaradan che ha fatto seguito al discorso della Meloni il giorno di San Giuseppe, è che tra asserzioni anti-spinelliane un tantinello stizzite secondo il noto e pugnace stile della leader, indignamenti e commozioni dell’opposizione e dietrologie dei soliti informati della cartastampata

La cosa disturbante di tutto l’ambaradan che ha fatto seguito al discorso della Meloni il giorno di San Giuseppe, è che tra asserzioni anti-spinelliane un tantinello stizzite secondo il noto e pugnace stile della leader, indignamenti e commozioni dell’opposizione e dietrologie dei soliti informati della cartastampata (“l’ha fatto per distrarre il pubblico dai guai con la Lega per via del riarmo europeo”, oppure: “l’ha fatto per rassicurare il suo elettorato più identitario che la percepisce sbilanciata verso la moderazione europeista”), nessuno si sia preso l’impegno di andare a vedere le carte.

Cioè il Manifesto di Ventotene che recava la firma di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Certo, resta un po’ criptica la ragione di un attacco a freddo ad un monumento all’utopia dell’Europa federale, peraltro apertamente condiviso dalla Meloni quand’era capo di un piccolo partito dell’opposizione nel 2016. Avrà ragione una mia collega secondo cui la performance della presidente sembrava una risposta preventiva alla lectio di Benigni sulla bellezza dell’Europa unita mandata da Rai 1 in serata.

La mancanza di una vera opposizione

Curioso: in mancanza di una opposizione capace di farsi riconoscere dal corpo elettorale, la dialettica si svolge tra capo del governo e attore comico. La categoria del comico in politica sembra addirsi particolarmente all’Italia: uno scrittore satirico come Michele Serra conduce 50000 cittadini a fare sabato scorso una manifestazione pro-Europa e non credo sia necessario ricordare le fortune del grillismo non un’era glaciale fa, ma solo l’altro ieri, con risultati elettorali che toccarono vette democristiane partendo dell’algoritmo del vaffa.

È così: la categoria del tragico si addice a popoli austeri e senza sole. Noi veniamo percepiti in coppia con le categorie del comico: qual è stato l’ultimo Nobel per la letteratura italiana? Dario Fo, naturalmente un gigante dell’arte giullaresca.

Ma torniamo a Ventotene e ai due redattori visionari, il comunista Spinelli e l’azionista Rossi, a cui bisogna aggiungere anche il socialista Colorni, confinato con gli altri due ma, soprattutto grande promotore del verbo federalista. Quest’ultimo, infatti, fu curatore dell’introduzione e provvide a stampare il Manifesto e diffonderlo clandestinamente nella Roma occupata dai nazisti. Un comunista, un azionista- radicale, e un socialista.

Il manifesto

Non c’era da aspettarsi un documento che dichiarasse cose diverse da quelle pubblicate nel manifesto del 1941, con redattori che pensavano e scrivevano dalla cattività di un’isola lontano da tutto, con la guerra mondiale in pieno svolgimento e, soprattutto, con una catena di inquietanti successi militari da parte del III Reich.

Erano tre giornalisti-scrittori col pallino della filosofia e la curiosità per l’economia, e le spalle onuste di ideologia, unica risposta al nichilismo orrorifico della guerra nazi-fascista.

In altre parole come avrebbe mai potuto ognuno di questi uomini disincarnarsi totalmente dalla propria visione? Per comprendere linguaggio e contenuti del Manifesto, allora, bisogna saper leggere i contesti e non estrapolare passaggi ad uso di piccola polemica.

Perché, ad usare il bollino che trancia come la lettera scarlatta, si potrebbe inciampare anche nel dibattito alla costituente di  cinque anni più tardi: si potrebbero scoprire le parole molto nette di un mite campione del cattolicesimo sociale come Aldo Moro, che certamente non perseguiva obbiettivi rivoluzionari di ispirazione comunista, ma aveva ben chiaro dove mettere l’asse delle inclusioni e delle esclusioni dal novero delle culture politiche  che avrebbero trovato spazio nella nuova Italia, dichiarando a chiare lettere che la Costituzione non sarebbe stata “afascista” ma “antifascista”.

Il contenuto

Ma per capire il contenuto di questo dibattito occorrerebbe conoscere e condividere i suoi passaggi che resero possibile il miracolo della creazione di uno spazio politico che, in piena guerra fredda, rendeva possibili collaborazioni tra cattolici, comunisti, socialisti e liberali. Spinelli usò anche la parola rivoluzione, certo, e la parola proletariato. Tuttavia seppe usare parole molto critiche nei confronti dell’ideologia comunista.

Dal Manifesto, pag.43 edizione del Senato della Repubblica del 2017: “Questo atteggiamento (l’essere un movimento rigidamente organizzato e disciplinato, n.d.r.) rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma, tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie- col predicare che la loro vera rivoluzione è ancora da venire- costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento settario, che indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenza dallo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di svolgere alcuna politica con un minimo di continuità”.  Più avanti viene chiarito da Spinelli e Rossi

il senso attribuito al gesto rivoluzionario: ” Un movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e, in genere con quanti coopeo alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse.” (pag.46 del Manifesto).

Ernesto Rossi e Altiero Spinelli

La vera rivoluzione evocata da Spnelli

La vera “rivoluzione”, allora, sarà l’Europa unita nel segno federale, sarà il superamento dei nazionalismi, oggi diremmo “sovranismi”, sarà un esercito comune europeo, una sola politica estera per tutti i nuovi cittadini del continente inteso non più come sola espressione geografica ma come grande comunità di valori condivisi. La grandezza del Manifesto, la sua universalità, allora, sarà intuibile anche dai contemporanei come la presidente del Consiglio che si imbattono oggi nelle stesse dialettiche, percependone la straordinaria portata profetica. Certo, si può avere per alcuni, ed anche per me stesso maggiore facilità di identificazione nello stile di De Gasperi, di Schumann e di Adenauer. Ma Spinelli e Rossi sono con loro, nella stessa grande visione. Quella che abbiamo forse perduto con i nostri piccoli labirinti polemici di un presente che sembra negarsi ad ogni futuro.

 

Pino PisicchioProfessore di Diritto pubblico comparato- Deputato in varie legislature. Presidente di Commissioni parlamentari. Capogruppo. Sottosegretario. Saggista

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