Gli anni ‘60 furono quelli del boom economico e della contestazione giovanile. La ‘500 Fiat ed i primi elettrodomestici entravano nelle case degli italiani, che si godevano la gioia del dopoguerra ignari che -da lì a poco- sarebbe mutato il pensiero conformista apparentemente radicato.

Françoise Hardy -maestra di trasgressione- fu la prima a cantare il vento del cambiamento, inneggiando alla libertà sessuale e a quella di amare, tipiche di quel “Maggio Francese” che sciolse le briglie dei giovani di tutto il mondo.
Il referendum sull’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale viene trasmesso in televisione nel 1962 e Françoise Hardy fa da intermezzo musicale. Il pubblico è conquistato dalla canzone Tous les garçons et les filles e dal fascino teneramente malinconico della cantante.
Lei, un po’ Jane Birkin ed un po’ Audrey Hepburn, incarna perfettamente la bambola di Patty Pravo con minigonne e frangia, diventando la cantante prediletta della generazione Z dell’era Gutenberg. Elegante e bellissima peccatrice, il suo poster è nelle camere di tutti i ragazzi che sognano la libertà anti-borghese di quegli anni.
“L’amour s’en va”, “Il pretesto” e tanti altri successi. Jacques Prévert scrive per lei, Bob Dylan incide il suo nome sulla cover di un disco. Le fanciulle di tutta Europa la imitano: capelli lunghi, frangetta, blue jeans e broncio perenne di chi ce l’ha sempre col mondo intero. Il suo è un modo di cantare sussurrato, profondo, dolente, che si presta a riflessioni sulla società e sui costumi che hanno fatto un’epoca.
Da quell’11 Giugno però, Françoise Hardy, che cantando si chiedeva “come dirci addio”, è partita per l’eterno viaggio, e con una folata di vento ha portato con sé gli ultimi sprazzi di quella sua rivoluzione gentile cominciata sessant’anni fa.
Gennaro Maria Genovese – Giornalista