Europee, vincitori e vinti

Premiati Meloni e il Pd, effetto Salis su Verdi e sinistra, Salvini nel limbo, Conte sulla graticola, Renzi e Calenda si sono eliminati a vicenda

A mente più fredda, è possibile trarre un primo bilancio del voto per le Europee che ha portato alle urne appena un italiano su due: sei punti in meno di cinque anni fa. Tolta quindi l’astensione, vera vincitrice, la polarizzazione tra le due primedonne della politica ha pagato.

Vince Giorgia Meloni – suo il quasi 29% di FdI e i 2,3 milioni di preferenze che non battono il record di Silvio Berlusconi (2,9 milioni) ma lo evocano. La presidente del Consiglio supera con successo la prova generale del premierato, ma condurre in porto l’originale, con la Lega in ebollizione, sarà un’altra storia.

Vince Elly Schlein: il 24% supera ogni ottimismo e il Pd supera la crisi di identità. E’ vero che a Strasburgo approda il gotha dei riformisti (ovvero gli oppositori della linea della segretaria): l’ex sfidante e governatore dell’Emilia- Romagna Stefano Bonaccini con 390mila preferenze, il sindaco uscente di Firenze Dario Nardella e l’ex governatore laziale Ncola Zingaretti con circa 100mila consensi, e poco sotto il sindaco di Pesaro Matteo Ricci e quello di Bergamo Gorgio Gori.

Ma il “partito degli amministratori locali” è sempre stato una risorsa per i Dem, e se Schlein riuscirà a siglare non solo una pace duratura ma l’avvio di un cantiere comune, quella che oggi è la principale gamba dell’opposizione non potrà che irrobustirsi ulteriormente.

Vince Avs, l’alleanza Verdi-Sinistra di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che archivia l’incresciosa “vicenda Soumahoro”. Il 6,7% dei voti è un dato storico per la formazione rossoverde che incassa 7 eurodeputati e le chiavi per un’affermazione nazionale incisiva nel 2027. Merito di liste ben costruite: Ilaria Salis, pur criticata non soltanto da destra, ha preso quasi 180mila preferenze come bandiera dell’antifascismo militante ma soprattutto come segnale al governo troppo timido nei confronti della propensione orbaniana a calpestare i diritti civili di chi non è allineato.

Molto bene è andato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace città dell’accoglienza, piuttosto bene i suoi ex colleghi Ignazio Marino e Leoluca Orlando: nomi capaci di catalizzare voti a sinistra.

Dal lato degli sconfitti, Matteo Salvini al 9% è riuscito con la mossa della disperazione – candidare Vannacci – a evitare il tracollo ma rischia di trovarsi dalla padella alla brace. Il generale-sabotatore ha preso mezzo milione di preferenze, il 25% dei due milioni leghisti. Significa che senza di lui il Carroccio starebbe al 7% e che un quarto del partito adesso è suo.

Come incasserà la rendita? E’ la domanda che agita i padani, soprattutto dopo la risposta su quale circoscrizione intendesse optare: “La sorpresa fa parte dell’arte della guerra”. Comprensibilmente lo stato maggiore – i tre governatori, i due capigruppo, l’ala più bossiana che sbarra la strada all’ipotetica espulsione del Senatur reo di aver invitato a votare Forza Italia – ha chiesto al segretario la data del congresso autunnale. Se sarà resa dei conti, però, dipenderà dal coraggio degli avversari di Salvini, finora non esattamente dei cuor di leone.

Ha perso anche Giuseppe Conte: il 10% è soglia minima per M5S orfano di superbonus e il reddito di cittadinanza. L’ex premier per un po’ ha vissuto di rendita ma parecchie cambiali sono giunte a scadenza: l’emarginazione della vecchia guardia, il limite dei due mandati, la freddezza con Beppe Grillo, l’ostinazione nel logorare i rapporti con il Pd. Il tracollo al Sud è stato un forte segnale d’allarme e qualcosa si muove: l’intervista ostile di Luigi Di Maio, l’abbandono da parte del “Fatto”, i mugugni di Di Battista. Se Chiara Appendino venisse assolta in Cassazione per gli incidenti nella piazza torinese, potrebbe diventare per Conte una pericolosa competitor.

Ma il principale sconfitto è il progetto del Terzo Polo, già spezzettato in tronconi e adesso evaporato, al punto che gli stessi sostenitori invocano l’uscita di scena dei litigiosi leader. Il brevissimo momento dell’asse Renzi-Calenda era stato quotato al 7%: ora nessuna delle due liste concorrenti, da una parte Stati Uniti d’Europa che lega Italia Viva a Emma Bonino e dall’altra Azione, ha raggiunto la soglia minima del 4%. Nessun eletto e il 7,2% complessivo di voti perduti. Imprigionati nel cupio dissolvi l’ex premer e il suo ex ministro si rinfacciano le responsabilità. Mentre intorno a loro tutto si sbriciola:  Luigi Marattin pensa di candidarsi al congresso di Iv, Mara Carfagna medita se rientrare da Azione in Forza Italia, Claudio Velardi e Chicco Testa hanno scritto a Renzi e Calenda per convincerli a fare i bagagli. Oltre, però, non si intravvede nulla. La sinistra c’è, il suo centro no. A meno che il Pd torni all’antica vocazione maggioritaria.

 

Federica Fantozzi

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