Democrazia rappresentativa oppure oligarchia temperata dal voto? L’incubo di una notte di mezz’estate

L’essenza della democrazia rappresentativa consiste nella sovranità popolare. Pertanto la legge elettorale è la massima espressione del rapporto tra popolo, sovranità, rappresentanza.

Non riguarda soltanto la tecnica di formazione, ma lo spirito stesso dell’istituzione rappresentativa per eccellenza, la cui “qualità” soggettiva, oggettiva, funzionale dipende non poco dal modello della legge elettorale.

I metodi per eleggere il Parlamento sono innumerevoli. La divisione di massima corre tra “proporzionale” e “maggioritario”, nomi che già indicano le differenze. I metodi possono essere variamente commisti. L’Italia ha conosciuto il proporzionale puro della Prima Repubblica e il maggioritario impuro, mattarellum, della Seconda Repubblica; il porcellumdella Terza Repubblica e il rosatellum della Repubblica 2.0, che è riuscito ad assemblare il peggio dei due metodi, non per caso bensì ad usum Delphini.

Non riuscivo a prendere sonno e così rimuginavo a letto tal genere di pensieri. Riflettevo tra me e me sui caratteri mostruosi (a dispetto del civettuolo nome enologico) del rosatellum, con il quale saremo costretti ad eleggere il prossimo Parlamento, per di più amputato di un terzo dei deputati e senatori, i quali, dopo essersi mutilati felicitandosi con se stessi, hanno poi pianto lacrime amare sull’autolesionistica minorazione che li decimava. Dopo tanto rimestare le deformità del sistema elettorale, mi sono tuttavia addormentato. Senza impedire il sonno, temo che siano state proprio quelle storture affliggenti i miei pensieri di elettore a precipitarmi nella tempesta di un sogno spaventoso che mi ha oppresso l’intera notte e pure adesso da sveglio continua ad angosciarmi.

Nell’incubo vedevo una vera ribellione pacifica degli elettori, lo sciopero generale dell’elettorato contro il rosatellum. Gli elettori, specialmente i diciottenni che voteranno la prima volta per il Senato, insorgevano contro la legge elettorale, considerata alla stregua di una frode a loro danno, in spregio della sovranità popolare.

Il rosatellum veniva non già contestato soltanto perché lasciava all’elettorato la semplice discrezionalità di indicare un partito, uno solo, ma soprattutto perché coartava in vari modi la libertà di scelta dei rappresentanti, cioè l’essenza del genuino sistema elettorale. I meccanismi per ostacolare ed impedire la libertà di selezionare in carne ed ossa chi eleggere avevano indignato l’intero corpo elettorale, così deciso ad astenersi in massa dal votare. I modi della coartazione erano giudicati un misero raggiro, dagl’incastri delle pluricandidature all’obbrobrio dei listini bloccati; dalla truffaldina alternanza di genere al divieto del voto disgiunto, al divieto cioè di scegliere un candidato all’uninominale non collegato alla lista scelta per il proporzionale; dalle cervellotiche soglie di sbarramento, viepiù astruse in conseguenza della riduzione dei parlamentari, alla roulette dei voti che, dati ad un candidato in una circoscrizione, fanno eleggere un candidato nell’altra.

Nell’incubo non appariva la solita astensione più o meno fisiologica nelle elezioni politiche. No, ben altro. Non erano solo le elettrici che “scioperavano”, ricordando Lisistrata, ma tutti gli elettori, maschi e femmine, disertavano le urne a supremo scorno dell’oligarchia partitica che, frodando la democrazia rettamente intesa, perpetuava se stessa con marchingegni autoprotettivi.

Le elettrici, gli elettori, i diciottenni intendevano fugare ogni equivoco e dare agli eligendi una lezione ferale. La massiccia astensione dal voto pretendevano che non fosse più scambiata per semplice disaffezione politica ma finalmente compresa come ripudio dell’imbroglio elettorale e dei rappresentanti che frutterà.

Il popolo era indignato anche perché i partiti avevano avuto anni per modificare il rosatellum. Non vollero, accampando i più svariati pretesti, benché lamputazione di deputati e senatori rendesse indispensabile una legge elettorale idonea a rimettere nelle mani degli elettori la selezione dei parlamentari e porre fine al sistema definibile “oligarchia temperata dal voto”, qual è, dal porcellum in poi, la democrazia italiana dove ai segretari di partito è riservato il potere fattuale di nominare i membri delle Camere.

Il legame tra elettori ed eletti non era più stabilito dai rappresentati, che rifiutavano di contentarsi del semplice crocesegno, un timbro dell’elettore, sul simbolo di partito. La cooptazione dei parlamentari da parte dei capi politici (“il Parlamento dei nominati”) era divenuta intollerabile, specie con riguardo al nuovo Parlamento ridotto, che avrebbe dovuto imporre un rapporto “fisico” tra elettore ed eletto per colmare la mortificante separatezza tra loro, biasimata a parole.

Gli elettori, nell’incubo, erano stanchi di scegliere bensì la lista, non già chi eleggere, come avventori che potessero soltanto “prendere o lasciare” il menu del ristorante. Erano stufi delle nomine dall’alto, delle cooptazioni, dell’autoconservazione delle élites partitiche, della blindatura delle formazioni esistenti, della preservazione dello status quo politico. Reclamavano la vera democrazia, nella quale la legge elettorale né favorisce né ostacola le preferenze e i cambiamenti dell’elettorato, cioè la sovranità popolare espressa dal voto. La classe politica formata dalla cooptazione partitica inaugurata con il porcellum nel 2006 era sotto gli occhi di tutti, anche dei capi partito che, avendola forgiata con le loro mani, se ne lamentavano come se fosse opera d’altri, magari dell’elettorato che non l’aveva scelta.

Al risveglio sobbalzai di paura finché non ebbi coscienza che l’incubo era pur sempre un sogno, irreale.  Subentrò la certezza che nulla di simile sarebbe mai accaduto. Nondimeno gli elettori non avrebbero potuto far tesoro, purtroppo, dell’insegnamento di Luigi Einaudi: “La classe politica non si forma da sé né è creata dal ‘fiat’ di una elezione generale. Ma si costruisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega l’amministrazione delle cose locali piccole; e poi via via quella delle cose nazionali od interstatali più grosse…l’elettore deve guardare agli uomini i quali per probità di vita, per esperienza della cosa pubblica gli inspirano maggiore fiducia e che nel tempo stesso espongono un programma concreto, preciso di riforme attuabili, profonde e non avventate, benefiche e non sconcertanti” (Elogio del rigore, 2021).

E infatti, conferma Antonio Polito, “i partiti sono sempre stati famelici nel tentativo di scippare agli elettori il potere di decidere chi debba sedere in Parlamento. Ma stavolta hanno passato il segno” (Corriere della Sera, 24 agosto 2022).

 

Pietro Di Muccio de QuattroDirettore emerito del Senato, Ph.D. Dottrine e istituzioni politiche

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