La guerra di Crimea (1855) è stato il primo conflitto ad essere documentato attraverso la fotografia, ma è con la guerra civile americana che viene “confezionato” un vero reportage di guerra. Matthew Brady, Alexander Gardner, Timothy O’ Sullivan e altri fotografi furono testimoni oculari di questo scontro sanguinoso. La fotografia cambia per sempre la narrazione della guerra. I disegni, i dipinti dell’Ottocento ci riportano una guerra oleografica, celebrativa ma non veritiera.
Il bilancio della guerra vide contrapposte le forze nordiste (Unione) e quelle sudiste (Confederate). Quattro anni di scontri (12 aprile 1861- 23 giugno 1865) e oltre 630.000 caduti! Una guerra dalle motivazioni complesse, definita anche come “guerra di secessione”, ovvero guerra di separazione. Gli Stai del Sud, per conservare la schiavitù, si ribella all’abolizione. Questa “guerra della separazione” non corrisponde, però, alla situazione legale, definita dopo la Rivoluzione delle tredici colonie dalla Gran Bretagna.
Infatti, la storiografia americana definisce questa guerra, perlopiù, come “guerra civile” o, meno spesso, come “guerra dei Ribelli” (definizione utilizzata dall’Unione per rimarcare la posizione degli Stati antiabolizionisti). Le cause della guerra sono, però, più articolate, più complesse delle motivazioni che solitamente vengono fornite dai libri di storiografia.
In primo luogo, la Costituzione americana emanata nel 1789, dopo l’ottenimento dell’autonomia dalla Gran Bretagna, era una Carta Costituzionale che definiva gli Stati d’America come una Repubblica federale che, se da un lato aggrega i singoli Stati in una Nazione democratica, d’altro canto lascia ampi poteri locali e, quindi, gli Stati del Sud erano legittimati a mantenere la schiavitù.
La nuova nazione democratica americana (trascurando i diritti negati alle donne, ai nativi e agli schiavi) è un’Unione libera nella quale la schiavitù non è messa in discussione. In secondo luogo, l’elezione a presidente dell’Unione di Abraham Lincoln (1860), repubblicano, accelera sicuramente la crisi tra questi Stati che dipendono da economie diverse e che necessitano di “leggi decentrate”. La posizione del presidente neoeletto (4 marzo 1861) è notoriamente contraria.
Alla schiavitù, ed egli non trascura neppure le aspirazioni dei freesoiler, agricoltori bianchi che aspiravano ai territori dell’Ovest; costoro non tollerano che dei negri si accaparrino queste terre (considerate di loro diritto) e neppure la loro concorrenza come forza-lavoro.
I freesoiler si battono perché anche ai negri di condizione libera non siano neppure accolti nei loro territori. Infine, la schiavitù degli Stati del Sud non era in alcun modo una minaccia; infatti, Lincoln e i repubblicani avrebbero accettato con apposito emendamento costituzionale che la schiavitù fosse rimasta in vigore fino ad abolizione spontanea dei sudisti (Three Against Lincoln- Murat Reports the Causes of 1860).
Pertanto, ricondurre la guerra del 1861-65 ad una sola causa morale: l’abolizione della schiavitù ovvero la necessità di definire l’uguaglianza dei negri e dei bianchi, è una posizione debole da sostenere. Nei fatti, la guerra civile è riconducibile all’idea del “American dream”, un’ America bianca, borghese e capitalistica ed è anche il sogno dello stesso presidente Lincoln, che era figlio del tuo contesto, figlio di agricoltori di un villaggio rurale del Kentuchy.
Come è noto, gli Stati americani dipendevano da modelli economici profondamente diversi: un’economia mercantile e commerciale, dotata di piccole industrie negli Stati del Nord: di contro, un’economia agricola basata sulla produzione di cotone e tabacco che per poter prosperare aveva bisogno di vendere e commercializzare fuori dal Sud e che necessitava di macchinari e di attrezzature agricole che, però, erano prodotte negli stati del Nord.
Il Sud, la cui popolazione è in maggioranza schiava, quindi non arruolabile, inserisce come combattenti anche soldati provenienti dall’estero (esempio soldati borbonici, sconfitti al Volturno nel 10o Regiment Louisiana Infantry ) è sconfitto.
La schiavitù viene abolita con l’Homestead Act, le terre dell’Ovest lottizzate se assegnate ad americani bianchi, si apre il dramma dei nativi americani. La fotografia è agli albori, quando Matthew Brady documenta la guerra civile, spostandosi su di un carro; in questo quinquennio di lotta e di scontri, il fotografo organizza di una squadra di collaboratori (oltre 35); tra costoro ci sono Alexander Gardner e Timothy O’ Sullivan.
Le foto scattate sono dagherrotipi su lastre molto grandi, sviluppate in bianco e nero; i protagonisti degli scatti sono i generali Grant e Lee, immortalati in pose piuttosto convenzionali, ma sono anche semplici soldati. Questi scatti sono importanti testimonianze della vita e della morte dei soldati di entrambi gli schieramenti.
Per realizzare il suo sogno: raccontare la guerra, Brady viene autorizzato dal Dipartimento della Guerra. Spende cifre da capogiro, riacquista foto di colleghi, vende alla stampa i suoi scatti, ma non recupera il denaro speso. Il pubblico del tempo non è abituato agli orrori della guerra, ama la guerra da retorica e dalle uniformi linde e decorate.
Nonostante il sostegno del Dipartimento di Guerra che acquista un considerevole numero delle sue le foto, M. Brady muore in povertà un decennio alla fine della guerra (1896). Egli inizia la sua professione come ritrattista di personalità politiche, di ricchi uomini di affari o di signore benestanti, tra gli scatti di questo periodo anche la fotografia della campagna pubblicitaria di Abram Lincoln alla Casa Bianca. Al futuro presidente consiglia una posa rilassata, la postura del busto per la foto ufficiale di apertura della campagna elettorale (bavero leggermente sollevato per nascondere il lungo collo, capelli che coprono leggermente le orecchie a sventola, posizione rilassata, giacca leggermente sbottonata).
Allo scoppio della guerra, Brady comincia la sua “narrazione per immagini” agli americani di cosa effettivamente avvenisse sui campi di battaglia. Come si viveva e come si moriva! Alcuni scatti della guerra civile sono veramente uno shock per l’americano medio, abituato a tutt’altra rappresentazione della guerra! Di solito venivano offerte all’opinione pubblica disegni e/o stampe oleografiche, molto celebrative e ma sostanzialmente retoriche! https://guerracivileamericana.davidepedersoli.com/storage/app/media/landingpages/pedersoli/banner1.jpg . Pensiamo allo sgomento di americani alla vista di foto di Brady del soldato supino, in un campo con il fucile addosso, il braccio sinistro troncato e la mano a terra, rigida, troncata e gettata da una parte!
Il suo reportage documenta anche la guerra in trincea (erroneamente attribuita a partire dalla Grande Guerra), le tende mobili, i reparti schierati, il fucile luminello, le città prima e dopo la battaglia (si pensi a Gettysburg), i generali, gli uomini stanchi!
Negli ultimi anni gli scatti della guerra civile di Brady e degli altri “reporter di guerra” sono stati “restaurati” attraverso la colorazione, possibile perché le vecchie foto erano stampate su grandi lastre di vetro.
Mads Dahl Madsen e Jordan J. Lloyd, hanno lavorato sugli scatti di Brady e dei suoi collaboratori, “ri-colorandoli”. Si tratta di foto restaurate che offrono all’utente la totale immersione nel mondo di centocinquantotto anni fa. I volti riacquistano gli incarnati originali, l’azzurro degli occhi, i colori delle divise azzurre o grigie a seconda dello schieramento, tutto diventa più vero e più vicino a chi osserva. E l’osservatore ha la sensazione di “esserci”, di trovarsi lì, con quei soldati di brigata di Andrew Porter che, a riposo, bevono vino dalla fiaschetta di paglia e George Custer, famoso per la battaglia di Bighorn, è sdraiato accanto ad un cane (foto di A. Gardner).
Tre soldati confederati, con le loro povere cose, vestiti in abiti civili, aspettano di essere trasferiti (foto di M. Brady- Confederati dopo la battaglia di Gettysburg 1863)
Per chi fosse interessato, si segnalano: https://www.smartweek.it/fotografia-guerra-civile-reddit-colorized-history/
La guerra civile americana di R. Luraghi, ed. Feltrinelli
Nadia Iezzi – Docente