Da James Bond a Donald Trump: qualcosa è cambiato

Usa, Cina, Russia. La deriva autocratica delle potenze che governano il mondo, e le nostre (poche) possibilità, in quanto europei, di ripristinare un ordine mondiale ormai crollato

“Il mio nome è Bond. James Bond”. Con questa battuta, accompagnata dallo sguardo ironico e seducente di Sean Connery, irrompe sulla scena del cinema mondiale un personaggio creato da Ian Fleming nei primi anni cinquanta (col romanzo Casinò Royale): 007, l’Agente segreto al servizio di Sua Maestà Britannica. Siamo nel 1962, anno di “Licenza di uccidere”, cui fa seguito, nel 1963, “Dalla Russia con amore”.  Sono gli anni della guerra fredda e Bond è il prototipo dell’eroe invincibile, seducente, occidentale, perfettamente rappresentato dal grande attore scozzese, che piacerà anche a John Kennedy.
Certo, il contesto sociale e politico dei vari film che sono stati prodotti – ad oggi ben 25 – è profondamente mutato nel corso dei decenni, ma James Bond ha saputo essere lo specchio della società in cui, di volta in volta, ha “operato”, soddisfacendo i gusti e il comune sentire del grande pubblico.

Donald Trump (LaPresse)

Bond, la “guerra di spie” e Trump

Tuttavia il personaggio degli anni ’60/70, impersonato da Connery, è quello più fedele ai romanzi di Fleming, perché, pur combattendo l’associazione criminale denominata SPECTRE, meglio rappresenta la “guerra di spie” (spia era stato anche Fleming) che si consuma in piena “guerra fredda”, in un mondo diviso in blocchi, dopo la seconda guerra mondiale e la “spartizione” di Yalta.  A ben vedere tutta la storia degli ultimi sessant’anni potrebbe essere letta attraverso gli episodi narrati nei film di 007: dalla Guerra fredda, appunto, al confronto fra i blocchi, al Medio oriente, all’Afghanistan, sino alle crisi nel sud del mondo.
Il tutto riguardato dal punto di vista dell’Occidente che, nei film, si propone come faro e guida del mondo. Si tratta, pur sempre, di film, dai quali, tuttavia, possono trarsi riflessioni anche non banali su come è cambiato il mondo in questi anni.

Cosa fare della Germania?

Ricorre, proprio in questi giorni, l’80° anniversario del summit di Yalta: sui giornali sono ricomparse le foto dei tre “grandi”, vincitori nella seconda guerra mondiale: Churchill, Roosevelt e Stalin. I tre, che già nel 1943 si erano visti a Teheran, in quella cittadina della Crimea immaginarono un nuovo ordine mondiale che desse stabilità internazionale e scongiurasse il pericolo di nuove guerre. Il conflitto non era ancora finito (anche se poteva considerarsi ormai vinto) ed il primo problema che si presentava era quello di cosa fare della Germania, ritenuta la principale responsabile della guerra, e, a seguire, quale avrebbe dovuta essere la sorte della Polonia e dell’intera Europa orientale.

La soluzione, com’è noto, fu quella di dividere in due la Germania e di porre la realizzanda Germania Est e l’intera Europa orientale (con la sola eccezione della Jugoslavia) sottotutela dell’Unione Sovietica, mentre sull’occidente si sarebbe aperto l’ombrello protettivo degli Stati Uniti.  I tre si impegnarono, inoltre, a far sì che la ricostruzione dell’Europa venisse raggiunta attraverso metodi democratici, che consentissero ai popoli di liberarsi definitivamente degli ultimi residui di nazismo e di fascismo. Due mesi dopo, a Los Angeles, furono poste le basi per la nascita dell’ONU, una Istituzione mondiale che avrebbe dovuto garantire la pace, ma il cui funzionamento – anche a causa di alcuni meccanismi paralizzanti adottati dagli Stati più importanti (componenti il Consiglio di sicurezza) – nel corso degli anni ha lasciato molto a desiderare, risolvendosi spesso in inconcludenti discussioni (tuttavia, “meglio le chiacchere che la guerra”, ammoniva Churchill).

Peraltro, già pochi giorni dopo la firma del protocollo di Yalta, cominciarono i primi problemi “attuativi” con riferimento ai confini della Polonia. Terminata la guerra in occidente, il 6 agosto la bomba atomica su Hiroshima, seguita da quella su Nagasaki, metteva fine anche alla guerra col Giappone, inaugurando l’epoca “dell’onnipotenza distruttiva” (così Ezio Mauro) delle armi nucleari e suggellando la netta divisione fra Est ed Ovest, fra NATO e Patto di Varsavia.  Sino alla caduta del muro di Berlino ed al crollo dell’Unione Sovietica, che l’Occidente ha salutato come una vittoria delle democrazie occidentali (anche se, ben presto, l’illusione di un mondo pacificato e democratico ha preso gradatamente a svanire).

Guerra, autocrazie e The Donald

E oggi? Oggi viviamo l’epoca delle autocrazie. E, ancora una volta, della guerra. Negli Stati Uniti il “ritorno” di Trump alla Presidenza sta segnando un profondo mutamento di quella che era una delle più antiche democrazie in chiave decisamente autoritaria, grazie anche al super-potere, tecnologico ed economico, dei magnati della Silicon Valley, che pare saldarsi con quello politico; In Russia, Putin governa con pugno di ferro e, da tre anni, è in guerra con l’Ucraina, di cui ha occupato il 20% del territorio; in Cina – l’altra grande potenza mondiale – il totalitarismo di Xi Ji Pin ha dato vita ad una grande potenza industriale ed economica, in aperta competizione con gli Stati Uniti quanto al dominio della scena mondiale.  Sono questi tre autocrati, oggi, a guidare il mondo! Una foto, probabilmente realizzata con l’intelligenza artificiale, li ritrae come in una nuova Yalta, a rappresentare il nuovo ordine mondiale. Ma le prospettive sembrano ben differenti rispetto al febbraio 1945!

Europa, un gigante dai piedi d’argilla

E l’Europa? Il Continente, patria della civiltà e della cultura che, dopo la guerra, ha dato vita ad un sistema di convivenza basato su democrazia e diritti? Purtroppo pare sempre più assente dalla scena mondiale, preda di divisioni e di incapacità decisionali di cui non riesce a liberarsi.
L’Unione europea, la grande intuizione di Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli, vagheggiata al confino nell’isola di Ventotene, pare essere oggi un gigante con i piedi d’argilla. Dopo la guerra, grandi statisti come Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer diedero vita ad un movimento che seppe dare (parziale) concretezza al progetto di Rossi e Spinelli realizzando una comunità di Stati che, nel corso degli anni, dai sei Paesi fondatori è passata agli attuali 27 Stati. Ma a fronte di una così vasta grandezza territoriale, sta, purtroppo, una perdurante piccolezza “politica”, figlia di un apparato normativo inadeguato rispetto alla complessità dei tempi, che richiedono una necessaria immediatezza delle risposte decisionali. Tanto più oggi, che Trump ha scelto la via di una politica isolazionista, rendendo plausibile l’ipotesi che l’Europa non possa più contare – o non come sino ad ora – sull’apporto americano nellaNATO.

Von Der Leyen

ReArm Europe, una soluzione poco ragionata

Di qui, la soluzione proposta in questi giorni dalla Commissione – Re-arm Europe (un forte investimento in armamenti) – che ha diviso le forze politiche, non solo in Italia ma in tutto il Continente (anche per l’enorme rilevanza della spesa). Non so se quella prospettata da Ursula Von der Leyen sia la scelta giusta. Di primo acchito sembra una soluzione poco ragionata, dettata più dalla frenesia del momento che da un’adeguata ponderazione dei pro e dei contro; né pare adeguatamente motivato l’importo dell’investimento – 800 miliardi di euro – definito come necessario, ma non si sa come quantificato. Tanto più che le armi (in gran parte da acquistare – guarda un po’ – dagli Stati Uniti), di solito, portano alla guerra, più che alla pace (e l’Italia – art. 11 Cost. – “ripudia la guerra come strumento d’offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”). Probabilmente la strada di una migliore organizzazione delle forze militari oggi in campo – 27 eserciti, uno per ogni Stato – sarebbe preferibile, salvo valutare, all’esito, la eventuale necessità di ulteriori investimenti in armamenti. Su una cosa, tuttavia, non si può non essere d’accordo:occorre rilanciare l’Unione europea, quale grande Patria delle democrazie e dei diritti, rispetto ad un mondo sempre più connotato dal ricorso alla forza bruta: il mondo dei Putin e dei Trump. “Europei in cerca d’Europa”, è lo slogan suggerito da Michele Serra per una grande manifestazione di piazza.  Un’Europa della libertà e della pace, finalmente unita anche nella difesa dei propri confini.
Anche perché con i supereroi invincibili alla James Bondsi vince solo al cinema!

Roberto Tanisi- magistrato.   Già presidente di Tribunale e Corte d’Appello

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