Centri storici a rischio svuotamento. Il caso – simbolo di Lecce

Il Monsignore parlò dall’altare. "Avviso di sfratto per tanti residenti nel centro storico". Nelle ore serali e notturne Lecce è una "città assediata". La gentrificazione avanza e si indebolisce il "diritto alla città".

Ronde notturne nel weekend  della “città-food” trasformata  in “lunapark”, tra schiamazzi, risse, caos e latrine improvvisate. Non pochi residenti lo abbandonano; è il fenomeno della gentrificazione. La politica in ritardo e impreparata.

Se il Monsignore durante l’omelia e dopo il riferimento al Vangelo del giorno, veemente e anche un po’ arrabbiato, trova il tempo per intervenire dall’altare:  “A Lecce ormai si mangia e si beve!”, ci si guarderà bene dallo scandalizzarsi e sorprendersi per quella che può sembrare ovvietà.

Subito dopo, però, si vuol capire il senso di quanto detto in quel momento e soprattutto in quel luogo che, per conseguenza, assume icasticità. Probabilmente ha sentito il bisogno di dire quello che altri nemmeno avvertivano; senza infingimenti,  una denuncia rivolta ad attori politico-istituzionali. E, dunque, c’è stato bisogno dell’allarme di un prelato per evidenziare una situazione oggi difficile per Lecce e che rischia di incancrenirsi.

Cosa che ha avuto inizio di quindici, vent’anni fa. Specificamente riguarda il suo centro storico, un prezioso concentrato di arte e di storia, non vastissimo ma nemmeno così piccolo da non considerarlo. Ma che continua a perdere parte dei suoi abitanti che si disamorano e lo abbandonano;  in compenso, vede crescere a dismisura strutture “aliene”, in funzione strettamente turistica. Ogni giorno di più, compaiono  pervasivi dehorse affini  destinati a snaturarlo.

Sgombriamo subito il campo di chi osserva che la situazione è generalizzata e  riguarda decine se non centinaia di centri storici italiani abbrutiti dall’industria del divertimento-vacanza, in qualche modo similari a quello di Lecce (città piccolo-media, centro artistico) e, dunque, in una qualche misura vicina all’irreversibilità. Vale a dire, un voler prendere atto del cambiamento sociale e dell’economia di tanti territori.

Non è davvero così, per lo meno nell’incidenza, considerando anche che tante realtà sono corse ai ripari  per fermare l’abbrutimento delle loro città. Ma se a Lecce sono prontamente scesi in campo  studiosi di “chiara fama”, (urbanisti, sociologi, classe medica) a proporre  che quantomeno si intervenga  con “soluzioni-tampone” (dando, con questo, una precisa idea della gravità della situazione), è perché a tanti è parso che la situazione stia sfuggendo di mano.

La posta in gioco: vivere un po’ meglio o, semplicemente, “vivere”.

Osserviamo, però, tutto abbondantemente detto, segnalato, raccomandato alla classe politico-amministrativa cui spettava principalmente il compito-regolatore. Ed è esercizio inutile oggi lanciare accuse (per loro conto  lo fanno i tanti amministratori di ieri e di oggi, su campo avverso, declinando ogni responsabilità), tanto non se ne verrebbe mai a capo. Resta  la vita grama di tanti residenti del centro storico di Lecce. Non si tratta di un pour parler, mere digressioni, quanto di situazioni già viste e sperimentate. Un vero atto d’accusa da parte di professionisti del mondo della cultura (e oggi persino la Chiesa), per i lunghi  anni  di disattenzione generale, durante i quali il centro storico della città ha subìto trasformazioni, orientate verso processi di artificiosa socialità, in balìa di interventi che alla fine hanno anche creato fratture nella stessa comunità.

Una scoperta non improvvisa, osservata quando è stato possibile, senza però cogliere tutto l’allarme per la situazione creatasi, le conseguenze indotte. Poca attenzione ai diritti di certe fasce sociali (ovvio, le più deboli), ritardo nello studio della situazione urbana  e, per conseguenza, una deregulation decisa e orientata verso forme spinte di mercato. Questo è stato il maggiore interesse, l’avviata interlocuzione con precise categorie commerciali che, per fissarne consistenza e specificità,  al momento sono tutte sbilanciate sul  “consumo turistico”, nello specifico, sul “food”.

Ed è successo che il centro storico di Lecce sia  stato preso d’assalto da mire privatistiche, chiaramente commerciali e speculative (chiamiamole col loro preciso nome), favorite da tutte le amministrazioni succedutesi, che semplicemente non si sono poste l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile, immature nel progettarlo, alla luce di un fenomeno turistico che s’è dimostrato consistente.

Di qui le “mani sulla città”, senza una vera azione anche culturale che ponesse gli “attori”, le classi sociali,  sullo stesso piano. Un laissez faire – secondo alcuni osservatori – declinato anche sul piano del consenso sociale, al fine di ingraziarsi i favori di alcune categorie commerciali (c’è chi ha visto un’impressionante analogia con la vicenda dei balneari).

Gli appetiti si sono rivelati pervasivi; quasi senza accorgersi, la città è scivolata verso un’accettazione acritica dell’esistente: il tesoro del turismo, cui risultava difficile potervi rinunciarvi. A nessuno è stata  negata una licenza, un “permesso a costruire”, la deroga a una destinazione d’uso. La conseguenza, un netto calo della qualità del vivere e un continuo braccio di ferro tra cittadini inermi, colti di sorpresa  e l’istituzione vanamente  chiamata ad affrontare storture che si sono subito mostrate difficili da dirimere.

Si è trattato di un processo inizialmente lento, ma che subito  ha impresso velocità, per poi  scoprire un’altra dimensione di vita e la brusca rottura col passato. Accentuando in questo modo la divaricazione tra classi agiate e medio-basse, incapaci di tenere il ritmo, di competere sul piano dell’investimento immobiliare. Ne è dimostrazione la forte presenza di agenzie del ramo che regolano di fatto il mercato.

Con la novità dell’apparato visivo, costituito dal gran numero di cartelli che indicano l’inizio dei lavori su manufatti, o il “vendesi” a portata di solo poche tasche. Insomma, niente è più come prima.

Quasi impossibile trovare una casa in affitto nel centro storico, cambio deciso nella destinazione d’uso, prezzi che aumentano a dismisura, agenzie immobiliari e d’affari assolute protagoniste. In tutta questa vicenda si inseriscono da parte dell’amministrazione comunale le annunciate misure di mobilità cittadina e la Ztl H24; presentata e  già messa in discussione, trattandosi di misure che – si argomenta-  sono ancor più afflittive per tanti residenti e che avrebbero richiesto gradualità e studio.

Ma questo è soltanto l’inizio di una situazione fuori controllo che – detto in generale – fa sorgere la convinzione che la sola azione amministrativa, se non accompagnata dal contributo culturale di  enti intermedi, di associazioni presenti sul territorio, non possa bastare.

Ci sono vie e piazze a Lecce che ormai sono mandate a memoria per il loro  processo di snaturamento che nessuno aveva previsto. Lo svuotamento di fatto di tanto centro storico che non aveva visto nel tempo apprezzabili interventi sui servizi, oggi è accentuato dall’industria turistica che sta esercitando una sua opzione sulla città. Non si tratta di aspettare i prossimi anni, già oggi è possibile tracciare un bilancio, sia pure parziale, di questa tendenza.

Sino a qualche anno fa, nessuno avrebbe immaginato una città “assediata” soprattutto nelle ore serali e notturne. Le conseguenze? Schiamazzi, tafferugli, strade e piazze ridotte a latrine e ronde di residenti che si danno il turno per non vedere defecare dinanzi al portone di casa. È quello che ogni giorno avviene senza che gli sporadici interventi del sempre “ridotto corpo della polizia municipale e Asl” (puntuali, “loro” dichiarazioni), riescano a incidere.

Un bollettino giornaliero del malumore fatto di proteste, rivendicazioni, articoli di giornale, servizi televisivi, raccolta di firme, petizioni. Tutto ciò per “riguadagnare” la posizione di residente, di non sconvolgere il loro passato.

A questo punto sorge spontanea la domanda se sia possibile rimediare ai guasti prodotti, oppure si sia innescato un processo che –dicono  i più rassegnati – non riguarda soltanto Lecce ma ogni centro storico del nostro Paese. Rimarcando comunque il fatto che si è vissuto alla giornata e in ogni caso con politiche urbane troppo liberiste, con assenza di controllo e pianificazione.

Per giunta –altra accusa – l’isolato Documento Strategico del Commercio, affidato ad associazioni di categoria e che, ovviamente, hanno sempre difeso la categoria (c’è chi la chiama lobby) dei commercianti, di tutte quelle attività che incrociavano l’attività turistica, con licenze, permessi, concessione ad abundantiam di suolo pubblico che hanno riguardato intere porzioni del centro storico. Con una singolarità: malsicuro e spopolato d’inverno, in stato d’assedio nelle serate della movida per il resto dell’anno.

Non è certo esagerazione quella di chi oggi parla di “diritto alla città”.

Il fenomeno turistico, a parte la ricchezza prodotta, ha accentuato la divaricazione tra classi sociali all’interno del centro storico. Si è pensato solo ed esclusivamente a come attrarre i viaggiatori, senza porsi il problema di come avrebbero vissuto i suoi residenti. Colta l’occasione che cominciò a dare frutti, un reddito aggiuntivo a centinaia di categorie, la possibilità di contare su una platea (turismo interno ed estero) impensabile sino a qualche anno prima. Di qui anche l’idea di avviare attività, di investire risorse. Clamoroso l’esempio dei b&b, sorti  grazie anche a una burocrazia ridotta al minimo. La città pertanto si avviava a un significativo cambio di passo, ma senza regolarne la crescita, senza garantire diritti e pari possibilità per tutti i residenti.

Non si vuol significare egualitarismo, ma semplicemente  possibilità di accesso. Quantomeno per taluni, costretti a sbaraccare e scappare.

E proprio a tal proposito il sociologo urbano Giandomenico Amendola ha di recente parlato di riduzione del “diritto alla città”, per sottolineare le porzioni di spazio pubblico progressivamente sottratte ai cittadini (stavolta  in quel di Bari). “Se poi mi si chiede un parere come residente non posso far altro che dire che dal 1990, quando eravamo tutti contenti del borgo antico recuperato, la situazione è diventata davvero poco sopportabile”.

“Senza arrivare alla guerra con un locale notturno che alcuni anni fa costrinse un avvocato residente a cambiare casa (parla da residente di Lecce), faccio notare i dehors  di via Palmieri e di via Principi di Savoia che costringono i pedoni a camminare in mezzo alla strada, i divanetti inutili collocati davanti a un hotel in pieno centro (Hotel Patria ndr), gli appartamenti costretti a finestre perennemente chiuse per gli effluvi delle cucine dei locali, gli hotel di lusso che avrebbero dovuto sistemare le piazzette adiacenti e invece nulla di nulla, l’incredibile sproporzionato numero di b&b alcuni dei quali forse non autorizzati”.

Torna l’accusa della mancata pianificazione di Lecce.

Nessun tentativo di far sedere allo stesso tavolo residenti e commercianti per comporre i conflitti in corso, per costruire regole capaci di non inficiare sempre e soltanto i diritti di chi abita il centro storico (clamorosa la recente  lettera-aperta a sindaco e istituzioni tutte, chiamate a intervenire).  In più, mancano le riflessioni serie su questo tema, affidato solo al marketing territoriale. Di qui, l’impegno dei sociologi urbani, mentre il centro storico di Lecce si prepara all’ennesima stagione di delirio.

Visione fortemente pessimistica anche da parte di Gigi Spedicato, sociologo e docente presso l’Università del Salento : “L’errore è concettuale: è sbagliato pensare che il centro storico di una città sia un luogo da vivere: si tratta in realtà di un palcoscenico calcato da attori in cui va in scena la rappresentazione del loisir, del tempo dedicato allo svago, e questo è tanto più vero di sera, quando appunto la città d’arte diventa un palcoscenico che non dialoga con l’altra sua identità. Si tratta di un concetto importante della sociologia moderna, che nasce con lo spostamento della centralità dai luoghi del turismo alle pratiche di consumo. E il consumo “vistoso”, visibile del cibo fa parte di questa trasformazione”.

Governare i processi di spettacolarizzazione di tutto questo – continua Spedicato – è assai complicato: “È una contraddizione che fa parte della specializzazione funzionale di alcune aree della città, dove c’è qualcuno che vince e qualcuno che perde. E questo spiega perché alcuni residenti considerino  il tutto insopportabile e decidano di andare via”.

E si torna al fenomeno, non certo nuovo, della gentrificazione, con intere zone di una città svuotate dalla popolazione originaria per diventare zona d’attrazione residenziale o turistica come nel caso del centro storico di Lecce. Ma di esempi se ne contano altri. Clamoroso il dato di Otranto (comunque centro storico molto più piccolo di Lecce), dove da una recente indagine sono stati contati 24 residenti!

E dato che non si può militarizzare il territorio o distaccare in perpetuo i vigili urbani con i Comuni  che dicono di non avere un soldo, l’unica strada è quella del tavolo del confronto, di provare a convivere. Ma lo scontro è in atto con interessi che in non pochi casi appaiono inconciliabili. Un continuo braccio di ferro tra politica e associazioni di categoria dove il “vaso di coccio” tra vasi di ferro è rappresentato proprio da quell’insieme di residenti che progressivamente hanno visto peggiorare la loro condizione di vita.

E la situazione deve essere considerata quasi senza controllo se, tra le novità previste dal Documento Strategico del Commercio, ci sarà lo stop di due anni alle licenze nel centro storico. Si vedrà se per tali determinazioni non ci s’inventi qualche deroga.

Resta comunque un dibattito confinato nell’intimo della sfera politico-amministrativa, che ha sollevato non poche perplessità, invocando maggiore attenzione alla differenziazione dell’offerta per un centro storico strapieno di locali da somministrazione (cibo) e quasi nulla di attività di vicinato.

Pressoché spariti barbieri, falegnami, calzolai o botteghe di artigianato. Costi insopportabili e clientela rarefatta., Non tutti ovviamente la pensano allo stesso modo, non manca un po’ di discussione, e la politica amministrativa che avrebbe bisogno di avvalersi dell’apporto di studiosi della materia, ma anche della conoscenza delle necessità dei residenti, punta alla sua autosufficienza, sulle proprie forze, per approvare quello che è ritenuto un provvedimento-chiave per tutta la città.

Con questo, Palazzo Carafa (Municipio di Lecce), punta a disciplinare tutte le tipologie di esercizi  commerciali che insistono sul territorio cittadino, dando l’idea di voler correre ai ripari dopo tanta disattenzione e ritardo. Allo stato delle cose è difficile fare previsioni sull’efficacia di tale intervento ma soprattutto  convincere il Monsignore che qualcosa cambierà.

 

Luigi Nanni– Pubblicista, analista politico, sociale

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