Sono arrivato in Vaticano dalle Filippine, dove ero Nunzio Apostolico da un anno (2006-2007), all’inizio di luglio 2007. Lì mi aveva destinato, dopo Bagdad, Papa Benedetto XVI, Sommo Pontefice dall’aprile del 2006. Al mio arrivo a Roma, il Papa non era ancora partito per Lorenzago per un breve periodo di ferie e gentilmente mi ricevette in udienza privata. Ero emozionato; mi parlò della Segreteria di Stato dove, come Sostituto, ero chiamato a coadiuvare la missione del Papa: un’ampia responsabilità, a quel tempo, che includeva numerosi uffici. Fui Sostituto fino al maggio del 2011.
Avevo già incontrato Benedetto XVI nel maggio del 2006 dopo aver lasciato l’Iraq e prima di partire per Manila. Allora non ebbi alcuna premonizione della durata del mio mandato nelle Filippine che sarebbe stata di appena un anno. In quel primo incontro ebbi la sensazione di avere di fronte un uomo dal grande talento intellettuale. Mi parve un uomo positivo, mite, sereno e, per così dire, curioso delle mie esperienze in Cina (1992-2001) e poi in Iraq (2001-2006), specialmente riguardo alla situazione dei cristiani che, a quel tempo, dopo la caduta di Saddam Hussein, venivano sistematicamente attaccati da gruppi terroristici.
Benedetto XVI, venuto dalla Baviera nel 1981, si era integrato nella complessa realtà romana e italiana; da uomo di Chiesa e poi da Papa, aveva una chiara e articolata visione della fede in quanto avvenimento cristiano e razionale. La realtà socio-politica italiana, con la sua laicità acquisita specialmente nel dopo-Concilio, rappresentava, per lui, un campo di osservazione e di studio: nel complesso esercizio delle relazioni tra parti diverse e contrapposte, era sacrosanto sia l’ascolto delle diverse opinioni, sia il rispetto dell’altro, criteri indispensabili per non cadere in vacue controversie e inaccettabili intolleranze; non sempre, in verità, l’opinione pubblica comprese Benedetto XVI nel suo intento e, per questo, egli sopportò offese e rifiuti, non ultimo dei quali da alcuni docenti e studenti dell’Università La Sapienza di Roma dove era stato invitato a parlare per l’inaugurazione dell’Anno accademico del 2008 (17 gennaio 2008); sapevo che per la circostanza avrebbe preparato un discorso di dotta razionalità (come per il famoso discorso di Regensburg ai Rappresentanti della Scienza sulla ragionevolezza della fede); quel testo poi fu letto nella seduta inaugurale non dal Papa ma dal Pro-rettore dell’Università. Per Benedetto XVI, uomo che aveva speso la sua vita nell’insegnamento e nell’esercizio dello studio, fu un fatto sconcertante. Il mondo politico ed accademico ne fu allibito e Napolitano gli scrisse bollando l’accaduto come inaccettabile manifestazione di intolleranza.
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Il suo Pontificato, in senso temporale, si svolse tra gli ultimi mesi della presidenza di Carlo Azeglio Ciampi (18 maggio 1999 – 15 maggio 2006) e quella del Presidente Giorgio Napolitano (15 maggio 2006 – 14 gennaio 2015); con essi ebbe relazioni di profonda stima, rappresentando – direi – il più elevato e rispettoso rapporto tra un Pontefice romano e la massima Istituzione della Repubblica Italiana. Scoprirono affinità, coltivarono rispetto e senso di fiducia.
Già il 20 novembre 2006, qualche mese dopo la sua elezione, con grande tempismo e sensibilità, il Presidente Napolitano era stato in Vaticano; fu un incontro con Benedetto XVI che diede inizio alla bella relazione tra le due supreme cariche della Chiesa Cattolica e del Popolo Italiano; il 4 ottobre 2008 Benedetto XVI restituiva la visita andando al Quirinale; disse: «È con vero piacere che varco nuovamente la soglia di questo palazzo […] Entro in questa Sua residenza ufficiale, Signor Presidente, simbolica casa di tutti gli italiani, con memore gratitudine per la cortese visita che Ella ha voluto rendermi nel novembre 2006 in Vaticano, subito dopo la Sua elezione alla Suprema Magistratura della Repubblica Italiana».
Devo dire che, a mio parere, con il Presidente Napolitano si instaurò oltre all’amicizia tra due capi di stato, un’affinità d’animo non comune; li univa l’onestà intellettuale, la complessa tematica sull’uomo, così al centro della loro lunga attività di insegnamento teologico e di vita pastorale per l’uno, e di fine politico e cultore delle libertà per l’altro, nell’ambito di quella libertà etica rispettosa e al tempo stesso religiosa e laica. Napolitano vedeva in Benedetto XVI l’uomo dei grandi valori cristiani espressi in una sintesi moderna e originale e ciò lo intrigava profondamente; Benedetto XVI sapeva bene che un laico illuminato, come il Presidente Napolitano, sarebbe stato per lui un buon compagno di viaggio durante il cammino in cui la Provvidenza e la Storia li avevano accomunati.
Li accomunava, inoltre, pur da punti di partenza e da esperienze differenti, ma non contrapposte, una profonda sensibilità e una lucida riflessione sul futuro dei Paesi dell’Unione Europea; per questo, un gesto, che a tutti parve altamente simbolico, fu il dono al Pontefice, in occasione della menzionata visita del Papa al Quirinale, di una pregiata riedizione del De Europa, della Biblioteca Apostolica Vaticana. Nella Prefazione alla preziosa edizione, Il Presidente Napolitano scrisse di vedere «un parallelismo implicito tra la figura di un grande uomo italiano, Enea Silvio Piccolomini, che ebbe la ventura di vivere e di conoscere in profondità la Germania e divenne poi Papa, con quella di un grande uomo di cultura tedesco, Joseph Ratzinger, che ha vissuto più di trent’anni in Italia ed è divenuto Papa con il nome di Benedetto XVI», a cui questa edizione è dedicata. Ed aggiunse: «Ma come non collegare anche la prospettiva europea di Enea Silvio, la sua conoscenza profonda della geografia e della storia del continente di cui per tanti anni era stato protagonista, con lo spirito, l’attenzione e la cura che l’attuale Pontefice pone nel sottolineare l’esigenza di una definizione precisa e aggiornata dell’identità di questo nostro continente?».
Li accomunava, ancora, la passione per la cultura e, in particolare, la buona musica, tanto che più volte il Presidente Napolitano volle offrire a Benedetto XVI concerti musicali di altissimo valore nella Sala Nervi. A questi si aggiunse il concerto del 5 febbraio 2013 organizzato dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede in onore del Santo Padre e del Presidente Napolitano; quell’evento appare oggi quasi un commiato: «In questi sette anni – disse il Papa che l’11 febbraio 2013 avrebbe annunciato di rinunciare al ministero petrino – ci siamo incontrati più volte e abbiamo condiviso esperienze e riflessioni». E concluse: «Pregherò per l’Italia». Napolitano aveva appena saputo personalmente dal Pontefice che stava per rinunciare al Soglio Pontificio, ma, come poi disse ai suoi collaboratori, non capì che la rinuncia sarebbe stato così immediata. Ma ne rimase commosso e ammirato.
Anche verso le istituzioni italiane Benedetto XVI nutriva un obbligo non di formale cortesia o di simbolica relazione, ma di profondo rispetto e attenzione; quei luoghi che ricordano pagine liete e tristi della storia del Papato, di promozione dell’arte e della cultura e che ora ospitano enti fondamentali della pubblica amministrazione del Popolo Italiano. Vorrei qui raccontare un episodio significativo nei confronti di una pagina drammatica dell’Italia verso cui Benedetto XVI, con assoluta discrezione e altrettanta chiarezza, manifestò i suoi sentimenti. Nel 2010, il Papa era in visita pastorale a Palermo (3 ottobre); si percorreva l’autostrada che dall’aeroporto porta alla città; si era passati da Capaci, il punto in cui il giudice Borsellino era stato ucciso dalla mafia con la sua scorta. Parlai con il Papa e feci presente se riteneva opportuno che al ritorno ci si fermasse per una breve preghiera silenziosa. Fu completamente d’accordo: portammo un cesto di fiori bianchi e, all’insaputa dei più, il Pontefice, scese dall’auto e davanti al cippo che ricorda la strage, nel crepuscolo di una sera tersa, pregò in silenzio e depose il cesto di fiori; un evento che passò quasi inosservato dai media, ma che fu di grande importanza per Benedetto XVI e profondamente commovente anche per me che assistevo a questa sua attenzione delicata.
La storia dell’Italia non gli era indifferente, né pertanto ignorò di citare, ad esempio, la “questione romana”, per ribadire che essa era stata composta in modo «definitivo» e «irrevocabile» con i Patti Lateranensi (11 febbraio 1929), divenuti l’emblema di due sovranità vicendevolmente rispettose e pronte a cooperare per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e la convivenza civile: concetti che Benedetto XVI volle presenti nel Messaggio al Presidente della Repubblica Italiana in occasione dei 150 anni dell’unità politica dell’Italia.
Con quel messaggio il Papa proponeva una lettura degli avvenimenti che legano l’Italia e la Santa Sede a partire dal Risorgimento, in termini positivi perché, a suo dire, quel fenomeno non rappresentava un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo e talora anche alla religione in generale; al tempo stesso non negava il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste; affermava, inoltre, che non si può sottacere l’apporto di pensiero – e talora di azione – dei cattolici nella formazione dello Stato unitario, tanto che non mancarono grandi figure di pensatori, laici e religiosi, che fecero proprio il principio di una sana concezione liberale, secondo il detto “Cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa”; infine, rilevò l’apporto fondamentale dei cattolici italiani all’elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 e più recentemente all’Accordo di revisione del 1984 del Concordato dei Patti lateranensi, noto con il nome di “Accordo di Villa Madama” che ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia (cfr. Messaggio di Benedetto XVI a S.E. l’Onorevole Giorgio Napolitano, Presidente delle Repubblica Italiana in occasione dei 150 anni dell’Unità Politica d’Italia, 17 marzo 2011).
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In alcuni degli incontri cosiddetti di Tabella, che in quanto Sostituto della Segreteria di Stato avevo ogni martedì pomeriggio con il Pontefice, più di una volta Benedetto XVI mi parlò del suo stupore davanti all’abisso, come amava dire, della coscienza umana e del mistero di essa. Grandezza e miseria dell’uomo e incommensurabile mistero della Redenzione! Lasciava allora trasparire tutta la sua radice agostiniana e la sua formazione sui testi di Romano Guardini, che, diceva, “fu all’origine della mia formazione umana e sacerdotale”.
Attraverso questa filigrana antropologica e teologica, Papa Ratzinger guardava sempre alle persone. Quanti, nel contatto con lui e nella sua illuminata parola hanno ritrovato la fede contro l’immagine che non di rado si voleva dare come di un ecclesiastico freddo, distaccato o addirittura privo di sensibilità! Per certi aspetti, anche il Presidente Napolitano mi sembrava non ostentare i propri sentimenti, pur non essendo assolutamente un persona distaccata o peggio indifferente. Non solo nel pensiero, quindi, ma anche nei modi di fare, il teologo e papa tedesco e il grande politico e capo di stato italiano sembravano essere particolarmente vicini.
Per quanto riguarda Benedetto XVI, non ho mai visto in lui, in verità, un atteggiamento di superiorità. Sempre chiedeva un parere, che a volte faceva poi suo; mi piace a questo punto ricordare l’incontro, dopo un’Udienza del mercoledì, con una bimba a cui aveva chiesto: Come ti chiami? Benedetta, rispose; poi le disse: Sai anch’io ho lo stesso tuo nome, abbracciandola con tenerezza tra la commozione dei suoi genitori! C’era sempre in lui un misto di stupore, di inquietudine e di meraviglia; e quanti incontrava avevano la percezione non di uno sguardo inquisitore, ma dolce e affettuoso.
Certamente Papa Benedetto XVI non era un uomo avvezzo alle dialettiche del governare, eppure se ne occupava con grande attenzione, fidandosi dei suoi collaboratori; come teologo, gli stava profondamente a cuore la natura e la missione della Chiesa, nonché il fenomeno dell’incredulità nel mondo occidentale. Il suo pensiero non indulgeva su tendenze sociologiche o psicologiche accattivanti, ma sul fenomeno della crisi etico-spirituale della società e quella dei valori senza i quali si era già consumato il dramma più doloroso del secolo ventesimo: la guerra e lo sterminio di popoli e di minoranze etnico-religiose. Purtroppo il male non si è fermato al secolo ventesimo e nuovi mali hanno continuato ad affacciarsi sul ventunesimo, che sia Papa Benedetto sia il Presidente Napolitano, hanno iniziato con la pesante, e al tempo stesso preziosa, eredità del secolo precedente.
A me pare che, il Presidente Napolitano e Benedetto XVI abbiano vissuto pienamente il loro secolo, avendolo attraversato simultaneamente con i suoi drammi, le sue angosce e conquiste; c’era tra di essi, dunque, una carica di affinità, anche se ognuno visse quel secolo o alla luce di una fede chiara e cristallina, o di una visione politica pensierosa e carica di umanità. Benedetto XVI ammirava del Presidente Napolitano proprio la sua rettitudine e intelligenza politica, il senso dell’equilibrio e quel rispetto alto che aveva non solo per le istituzioni repubblicane, ma anche per la Chiesa. Se mi è permessa una confidenzialità, anch’io durante il mandato del presidente Napolitano ebbi la sensazione di un uomo giusto e intellettualmente coerente; al termine del suo mandato, volli inviargli un semplice biglietto: Grazie, Signor Presidente.
In un ipotetico Cortile dei Gentili, dove Benedetto XVI avrebbe collocato il Presidente Napolitano? Forse in quell’area antistante la porta del Tempio, magari attento a sbirciarvi, ad ascoltare e a interrogare in linea con quell’attitudine laica rispettosa che è l’anticamera della fede, dalla quale il Presidente era affascinato e culturalmente attratto, specialmente nella testimonianza che ne dava Benedetto XVI. Di quel Tempio, la Chiesa, Papa Ratzinger fu custode attento fino a quel 28 febbraio 2013, allorché, come un lampo storico che squarcia il cielo da oriente a occidente, scelse di scendere dal Soglio di Pietro.
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Una volta divenuti emeriti, Benedetto XVI (il 28 febbraio 2013) e il Presidente Napolitano (il 14 gennaio 2015), ebbero modo di incontrarsi riservatamente nella solitudine del Monastero intra moenia Vaticana dove Joseph Ratzinger si era ritirato: i due uomini erano ormai fisicamente fiaccati nel corpo, ma intellettualmente vivi e lucidi.
Nella piccola saletta al primo piano in cui egli riceveva i suoi visitatori e i suoi graditi ospiti, Joseph Ratzinger, il teologo che aveva parlato di Dio come nessuno nei secoli più recenti (sarà Dottore della Chiesa?) incontrava Giorgio Napolitano, amico onesto e attento al discorso spirituale; e piace pensare che i due, dopo aver attraversato il secolo ventesimo si preparassero all’eternità, «guidati dalla luce della stessa stella» (Avvenire, 6.8.2023).
Cardinale Fernando Filoni – Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Già Sostituto alla Segreteria di Stato, poi Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli