Non avremo una donna al Quirinale fino a quando la politica sarà un dominio maschile. Pari opportunità? È stato fatto grande cammino, ma il mondo è ancora a misura d’uomo. Basta vedere che succede nel mondo del lavoro. La riforma costituzionale di Renzi? Aveva difetti ma sarebbe servita. Carente la selezione delle classi dirigenti. Consigli ai giovani deputati? Studiare molto, sentire le ragioni degli altri, darsi il senso del limite. Sulla magistratura: non credo a riforme catartiche, ma a una autoriforma nell’esercizio della funzione all’insegna di indipendenza e imparzialità. Il Parlamento attuale? Produce poco di propria iniziativa.
Onorevole, senatrice, più volte ministra, presidente di Commissione (Giustizia e Affari Costituzionali del Senato, e Giustizia alla Camera), capogruppo: come la debbo chiamare?
Mi chiami col mio nome, non rivesto più cariche pubbliche.
Anche stavolta, per il Quirinale, è stato votato un uomo. Chapeau al presidente Mattarella, per carità. Ma per vedere una presidente della Repubblica pare che si debba ancora aspettare. Fino a quando?
Fino a quando la politica sarà un dominio maschile e le donne, non solo quelle direttamente impegnate in politica, non saranno in grado di sovvertire l’ordine. Fino ad allora dipenderanno dalla scelta maschile, che può anche essere una scelta “felice”, per carità, ma è appunto una scelta operata da una posizione dominante.
Come le è sembrata la gestione delle candidature femminili , con nomi e cognomi che a un certo punto sembravano prevalere e poi è tutto svanito?
Ho avuto l’impressione netta che le candidature femminili, maneggiate anche senza rispetto, siano state utilizzate per uscire momentaneamente dall’impasse. Come si dice in gergo calcistico, “per buttare la palla in tribuna”.
Lei qualche anno fa è stata tra i probabili candidati, poi ci fu quella infelice battuta di Renzi (chi si fa portare la spesa dalla guardia del corpo non può fare la presidente della Repubblica) e Lei con fierezza replicò dandogli del miserabile. Questo episodio se lo ricorda o l’ha rimosso per carità di patria?
Lo ricordo, naturalmente, anche perché mi toccò difendermi da sola, nel senso che scarseggiò la solidarietà politica. Peraltro il fatto non era neanche vero. Ma per indole personale, e perché credo che sia deleterio per un personaggio pubblico, non ho portato e non porto alcun rancore.
Con Renzi Lei poi in qualche modo ricucì, dando un importante contributo, dalla sua carica di presidente della Commissione Affari Costituzionali, alla riforma della Costituzione, che poi naufragò con il referendum del 2016. Ma almeno l’ha ringraziata di quel contributo?
La politica è opera collettiva, e ognuno fa quello che deve senza aspettarsi ringraziamenti. Peraltro il mio lavoro sulla riforma in continuo, talvolta acceso, confronto con il governo, rispondeva ad un convincimento ed a un giudizio ed era una responsabilità che era giusto che mi assumessi per la funzione che esercitavo.
Visto quel che è poi successo in politica e nel Parlamento, quella riforma sarebbe servita? O c’erano anche dei difetti, che contribuirono a zavorrarla fino a farla affondare?
Resto convinta che le critiche di fondo a quel testo erano, e restano sbagliate. Il testo aveva, naturalmente, dei difetti che avrebbero potuto essere corretti se ci si fosse impegnati in un lavoro comune piuttosto che in un’opera solo distruttiva. Gli ultimi anni hanno ad esempio mostrato i durissimi conflitti tra Stato e Regioni sul tema del contrasto alla pandemia. Una delle accuse principali al testo di riforma costituzionale era che radicava un sistema autoritario che sacrificava la rappresentanza parlamentare perché sostituiva al Senato attuale un Senato delle istituzioni territoriali e rafforzava così il Governo. La situazione odierna ci dice che quegli stessi oppositori hanno ridotto a 200 i senatori, con il rischio assai concreto di penalizzare rappresentanza politica e territoriale. Per non parlare della funzionalità dell’organo. La proposta della riforma era un’altra: differenziare le due Camere per funzioni e fare del Senato un luogo di rappresentanza delle Regioni e degli enti locali, in un Paese che conosce il conflitto tra questi due livelli di governo così acceso da occupare moltissima parte del lavoro della Corte Costituzionale. Non era nemmeno un’idea stravagante: è così in Francia, in Germania… Ma è solo un esempio.
Ora che non è parlamentare – dopo 19 anni da deputata e 12 da senatrice – quale immagine Le arriva dal Parlamento, e quale valutazione ne dà?
L’immagine di un organo che fatica a interpretare sino in fondo il ruolo centrale che ha nell’ordinamento. Mi riferisco al fatto che sia molto scarsa l’attività legislativa di iniziativa parlamentare, che non si interpreti pienamente la funzione di indirizzo politico e controllo, che non si utilizzino appieno le possibilità di lavoro comune delle due Camere.
Di Lei, politici e giornalisti hanno sempre apprezzato la classe, lo stile, l’eleganza e la preparazione, lo dico in un ordine casuale. Valori che mi sembrano scarseggiare nell’attuale modo di fare politica, nello stile e nei comportamenti. Qual è il suo schietto parere?
Come moltissimi altri sono figlia di un tempo della politica in cui i partiti svolgevano la funzione essenziale di formare e selezionare le classi dirigenti. Un approccio diametralmente opposto alla regola de “uno vale uno”.
È stata ministra per le Pari Opportunità nei governi Prodi e Gentiloni: il cammino per la parità effettiva tra uomini e donne secondo Lei a che punto è? Quali sono gli ostacoli ancora da rimuovere, nella mentalità, nella legislazione, nel costume degli Italiani?
È stato fatto un grande cammino, ma il mondo è ancora essenzialmente fatto a misura degli uomini. Guardi al mercato del lavoro: l’inserimento di giovani donne reca con sé, (purtroppo in misura ridotta se guardiamo gli indici di natalità), il fatto che le lavoratrici abbiano figli. Sicuramente la legislazione di tutela della maternità è molto avanzata in questi anni, ma una gravidanza viene comunque vista come una “eccezione” rispetto alla organizzazione del lavoro ed al suo svolgimento, e lo stesso possiamo dire per il lavoro di cura dei figli. Essi dunque incideranno sulla progressione in carriera, sulle mansioni e, di conseguenza anche sulla retribuzione. Accade perché il sistema è misurato sulla figura del lavoratore maschio capofamiglia e le donne sono semplicemente “aggiunte” a quel sistema.
Da ex presidente della Commissione Giustizia, e da magistrata, quali ritiene siano i problemi più gravi che la magistratura deve risolvere in termini di credibilità, di status e di comportamenti?
Sono abbastanza scettica sugli effetti catartici di riforme legislative, se non sarà la magistratura stessa a mostrare come viventi indipendenza, imparzialità, misura nell’esercizio del potere.
La separazione delle carriere, un tema sempre divisivo tra destra e sinistra. Le carriere debbono restare separate? E le cosiddette porte girevoli, dei magistrati che fanno politica e poi tornano a indossare la toga?
Resto dell’opinione che sia molto utile che, prima di esercitare le funzioni di P.M., si sia assegnati ad un collegio giudicante dove, nel confronto con gli altri giudici, si acquisisca professionalità sul tema della valutazione delle prove, così che questa competenza diventi misura nell’esercizio delle funzioni d’accusa. Credo che dopo l’esperienza politica non dovrebbe tornarsi ad esercitare la giurisdizione, ma essere impiegati in altri ruoli. Ho presentato proposte in questo senso e, per quanto mi riguarda, mi sono dimessa quando ho verificato il non gradimento del ministro della Giustizia a farmi svolgere le mansioni di funzionario presso quel Dicastero.
Da siciliana ma anche da italiana: secondo Lei la lotta alla mafia, o alle mafie, alla criminalità organizzata a che punto è? Messina Denaro è ancora la primula rossa. Come si spiega che, con gli strumenti sofisticati di investigazione di cui oggi si dispone, non si riesca a catturarlo?
Il contrasto alle mafie da parte di magistrati e forze dell’ordine è inesausto, e registra continui risultati. Ma le mafie mutano, e mutano continuamente modus operandi, forme e settori di infiltrazione, costruendo e contando su solidarietà criminali antiche e nuove, anche grazie al loro potere ed alla forza dei capitali illeciti.
Senza suggestioni nostalgiche, Le manca l’attività parlamentare?
No, non mi manca. Considero chiuso un ciclo, peraltro molto lungo, del mio impegno pubblico. Ora cerco di restituire quello che ho avuto l’occasione straordinaria di ricevere stando per tanto tempo nelle istituzioni.
Ai giovani deputati, strappati spesso a lavori diversamente utili alla società, quali consigli darebbe per fare bene il parlamentare?
Studiate molto, per conoscere sostanza e radici delle questioni, effetti di una decisione, per imparare della storia e dalla esperienza degli altri Paesi, assumete l’impegno in politica come compimento di un’opera collettiva, ascoltate davvero le ragioni degli altri e di quelli che verranno coinvolti dalle vostre scelte, diffidate degli effetti che il potere che esercitate possa produrre su voi stessi, datevi il senso del limite.
Lei è nata a Modica, la patria di Salvatore Quasimodo. C’è una poesia di lui che predilige?
Lamento per il Sud . La rileggo spesso.
Di cosa si occupa attualmente?
Presiedo Italiadecide, che è un’associazione che lavora sulla qualità delle politiche pubbliche e sulla costruzione della fiducia tra pubblico e privato. Mi occupo, tra l’altro, molto di formazione, in particolare di quella rivolta alle giovani generazioni.
Mario Nanni – Direttore editoriale