Il Parlamento, con l’avvento di Draghi, è occupato ad eseguire il mandato conferito formalmente al Governo ma di fatto alla specifica persona del presidente del Consiglio, il mallevadore del debito italiano finanziato solidalmente dagli Stati della Ue. Poi c’è la necessità di fronteggiare la pandemia, una tragedia sovranazionale i cui effetti negativi nessuno al momento può sapere come e quando dureranno intrecciati agli sviluppi delle riforme strutturali che dovrebbero costituire il precipitato politico del “debito buono” invocato dal presidente Draghi con un eccesso forse di ottimismo.
Tanto basta perché tutti riconoscano che la contingenza è straordinaria, seppure contingenza davvero possa definirsi una condizione destinata a durare un decennio. E tuttavia, dal punto di vista strettamente istituzionale, la locomotiva parlamentare che va a tutto vapore quanto ai provvedimenti di attuazione del “Piano di rinascita” e alle misure di contrasto della pandemia, appare invece quasi ferma riguardo a due adempimenti specifici, i regolamenti parlamentari e la legge elettorale: l’uno doveroso; l’altro facoltativo, ma opportuno.
Una legge elettorale in vigore c’è.
Dunque, tecnicamente parlando, non è indispensabile intervenire, sebbene i partiti a sprazzi dicano di volerla modificare in un senso o nell’altro. L’esperienza delle ultime legislature dimostra che in Italia, sebbene debba valere un indirizzo europeo che la vieta, i partiti approvano una nuova legge elettorale proprio nell’ultimo anno dei lavori parlamentari.
Inoltre la legge elettorale “dell’ultimo momento”, come mi piace chiamarla, passa solo se soddisfa non già le esigenze generali intrinseche al sistema politico ma l’interesse elettorale, immediato o atteso, dei partiti che l’approvano, i quali, nonostante i proclami di circostanza, agiscono in base ad intenzioni non dichiarate. In sostanza, nella migliore ipotesi, manca non più di un anno e mezzo alle nuove elezioni. Eppure non risulta che nei partiti e nelle Camere fervano i lavori per cambiare la legge con realistici disegni di modifica.
Atteso che la legge elettorale non è cosa loro, ma l’essenza della democrazia rappresentativa nella quale trova massima espressione la sovranità appartenente al popolo, o i partiti dichiarano di voler conservare la legge elettorale così com’è o iniziano a discuterla in concreto anche sotto la lente dei cittadini.
Sarebbe una cosa seria.
E, parlando di cose serie, per conciliare effettivamente al meglio (se davvero volessero conciliarle, anziché perseguire il proprio tornaconto) la libertà di scelta degli elettori, la governabilità del sistema politico, la rappresentatività del Parlamento, i partiti hanno già sottomano i collegi uninominali a doppio turno con la “variante Sartori”.
Il principe dei politologi suggerì che al secondo turno non accedessero soltanto i primi due candidati più votati ma anche il terzo, in modo da cumulare i vantaggi del collegio uninominale con l’ampliamento delle possibilità di scelta del candidato da eleggere, purché la candidabilità non venga lasciata soltanto ai partiti ma resti aperta ai cittadini che desiderino presentarsi, dimostrando un minimo consenso elettorale accertato.
Qui bisogna sottolineare con forza che l’amputazione dei deputati e dei senatori ha reso indispensabile una legge elettorale che rimetta nelle mani degli elettori la selezione dei parlamentari e ponga fine al sistema che insisto a definire “un’oligarchia temperata dal voto”, qual è la democrazia italiana dove ai segretari di partito è riservato il potere fattuale di selezionare nominativamente, uno ad uno, i membri delle Camere. Il ridotto numero dei parlamentari impone addirittura il rafforzamento (il ripristino, in verità!) del legame tra elettori ed eletti, per poter continuare a parlare seriamente di democrazia parlamentare conforme all’aureo principio del “governo rappresentativo”.
A nessuno sfugge che la “cooptazione” dei parlamentari da parte dei capi politici, già deleteria di per sé, diverrebbe intollerabilmente sbagliata, e forse eversiva, se venisse perpetrata e protratta nel nuovo Parlamento, che impone un rapporto “fisico” tra elettore ed eletto se le Camere devono conservare una decente rappresentatività.
Molto più grave, anzi gravissimo nelle condizioni date, è l’inadempimento parlamentare concernente l’improcrastinabile riforma dei Regolamenti parlamentari, senza i quali Camera e Senato non potranno funzionare a dovere.
L’improvvida modifica costituzionale che ha amputato un terzo dei deputati e senatori non ha toccato, ovviamente, i Regolamenti in vigore, che pertanto sono inapplicabili tal quali nel nuovo Parlamento.
Il minor numero dei membri non implica soltanto una proporzionale riduzione degli organi parlamentari ma comporta ineluttabilmente conseguenze sulle specifiche funzioni dei rappresentanti.
Pertanto la riscrittura delle norme direttamente implicate dalla composizione delle nuove Camere costituisce dovere ineludibile delle Camere attuali. Eppure non risultano iniziative organiche in tal senso. Non sembra avvertita come dovrebbe la necessità istituzionale di provvedere presto e bene, per non arrivare con l’acqua alla gola.
Tutt’altro.
Addirittura girano voci maliziose secondo le quali la riforma dei Regolamenti, alla stregua del sequestro di persona a scopo di estorsione, sarebbe da considerare l’ostaggio che scongiurerebbe l’anticipato scioglimento del Parlamento, nel sottinteso che le nuove Camere non potrebbero essere convocate in carenza di Regolamenti appropriati e funzionanti.
La riluttanza dimostrata e il ritardo accumulato nel doveroso ed urgente adeguamento dei Regolamenti alla mutata composizione delle Camere sono viepiù riprovevoli perché, anche qui, il buon andamento dei lavori parlamentari è sì interesse dei rappresentanti ma altrettanto dei rappresentati.
Sarebbe perciò benefico che all’elaborazione delle norme da parte di senatori e deputati potessero concorrere con contributi autonomi, magari acquisiti in apposite “udienze legislative”, anche gli studiosi, a vario titolo, della materia.
*Direttore emerito del Senato della Repubblica
PH.D. Dottrine e Istituzioni politiche