Parole, gesti, silenzio. I segni distintivi della comunicazione di papa Francesco c’erano già tutti la sera del 13 marzo 2013 quando un “vescovo chiamato quasi dalla fine del mondo” si è affacciato alla loggia delle benedizioni.
Indossava solo la veste bianca, ha pregato con la folla per il papa emerito, ha chiesto al popolo di pregare in silenzio per lui.
Vescovo e popolo, Chiesa ospedale da campo, pastori con l’odore delle pecore, lotta alla cultura dello scarto, non si è mai visto un sudario con le tasche, terza guerra mondiale a pezzi, misericordiando.…
Lessico e metafore di papa Bergoglio si impongono con efficacia e immediatezza, nonché per l’uso di neologismi che a volte innovano l’italiano imparato dalla nonna, a volte – è il caso di “spuzza” – rilanciano termini desueti. Il suo linguaggio attira simpatie e critiche, non tanto di puristi quanto di chi rimpiange il grande intellettuale tedesco che lo ha preceduto, o afferma che il nuovo papa non è all’altezza della formazione intellettuale, vanto della Compagnia di Gesù.
In realtà la radicale predicazione evangelica delle omelie del mattino, oltre a garantirgli la vicinanza dei fedeli, manifesta la sua solida base teologica, e regge alle critiche dei tradizionalisti cattolici. Il linguaggio di papa Francesco, come osserva padre Federico Lombardi, «mischiando vivacità, dinamismo popolare ed esperienza latinoamericana, rivela la capacità di trovare formule efficaci, che dicono qualche cosa di profondamente vero, anche se non in modo tecnicamente raffinato».
Per Bergoglio «Il linguaggio dei gesti è una buona forma di comunicazione». E innumerevoli sono i gesti posti in oltre otto anni di regno: dalla scelta di non abitare nell’appartamento dei papi al baciare i piedi dei governanti sudanesi per implorarli alla pace; dalla visita alla guida spirituale degli sciiti nel mondo ayatollah Al-Sistani, in Iraq, ai tanti viaggi alle periferie del mondo, per “toccare le ferite” di poveri e migranti.
Non solo gesti che segnano la storia: le telefonate a malati o genitori che hanno perso figlioli, i rimproveri scherzosi lasciati in segreteria telefonica alle suore che non hanno risposto, il battessimo amministrato al bimbo di due adolescenti romani, il rifiuto di indossare i mocassini rossi o la mozzetta richiesti dal cerimoniale, il portare personalmente la propria borsa salendo in aereo.
La comunicazione del papa gesuita usa molto anche i silenzi, come dimostra la preghiera silenziosa con il popolo della sera dell’elezione, e le tante durante gli Angelus o le udienze generali.
Il silenzio certo più incompreso dai media, è quello della visita al lager nazista di Auschwitz, nel 2016. Francesco ritenne che ad Auschwitz Wojtyla e Ratzinger avessero già detto tutto, non parlò in pubblico e lasciò scritto sul libro dei visitatori: «Signore, perdono per tanta crudeltà». Le due ore nel lager in silenzio risultarono impossibili da capire ai siti web, che riempirono le schermate con parole pronunciate dal papa in altre occasioni.
«Non posso comunicare senza silenzio», ha spiegato papa Francesco al non credente francese Dominique Wolton, ma «il silenzio non è come l’amido sulle camicie», «è tenero, affettuoso, caldo, caloroso, è anche doloroso nei momenti difficili, non si può avere una comunicazione di qualità senza una capacità di silenzio».
Alla tenerezza del suo silenzio hanno fatto riferimento alcune vittime di abusi da parte di preti.
Se da arcivescovo di Buenos Aires ha concesso pochissime interviste, da papa Bergoglio ha cambiato completamente atteggiamento, sia rilasciando interviste a una moltitudine di soggetti, di media grandi e piccoli e correndo il rischio di inflazionare i propri interventi, sia affrontando con energia le conferenze stampa in aereo, durante i viaggi internazionali.
Si è calato con entusiasmo nella fossa dei “leoni”, come li ha definiti in volo verso Rio nella prima missione internazionale; ha recuperato dallo stile di Wojtyla il saluto a tutti i giornalisti, uno per uno; ha spostato la conferenza stampa vera e propria al ritorno, per evitare che temi estranei al viaggio ne condizionassero lo svolgimento, come è accaduto in particolare a Benedetto XVI durante una trasferta in Africa. Nella “fossa dei leoni”, ha spiegato Francesco a Wolton, avverto una certa pressione, prego, cerco di essere preciso”, “ci sono stati anche scivoloni”.
Il papa latinoamericano, cioè, si assume il rischio di essere frainteso o di sbagliare, o, come nei colloqui personali, di veder divulgati i propri contenuti da persone che ovviamente li interpretano dal proprio punto di vista. Se pensiamo a quanto riferito dal presidente americano Joe Biden del suo incontro con Bergoglio del 29 ottobre, circa il placet del papa a ricevere la comunione, – che i vescovi americani sembravano inclini a negargli, per il rispetto di Biden verso la legge statunitense sull’aborto – è difficile pensare che al papa sia dispiaciuta la pubblicità data ai contenuti dell’udienza.
Caso a parte sono i colloqui con il fondatore di ‘’Repubblica’’ Eugenio Scalfari, nei primi anni pubblicati sul quotidiano come interviste, attribuendo a Bergoglio tesi eccentriche sull’inferno e sulla divinità di Cristo. Dopo almeno cinque precisazioni vaticane sul fatto che i virgolettati non erano attribuibili al papa, ora Scalfari riferisce i contenuti di incontri o telefonate all’interno dei suoi articoli. Non sappiamo se abbia concordato questa soluzione con Francesco, che non si è mai preoccupato del clamore suscitato dalle “interviste”.
Queste sono più un problema per i suoi collaboratori: «Meglio, così Francesco parla meno», ha commentato un cardinale di rango, rilevando i problemi vaticani di fronte ai contenuti e gli impegni che questo papa riserva alla propria esclusiva gestione, con riservatezza e libertà. Bergoglio si conserva sempre uno spazio di discernimento, per aprire nuove strade allo Spirito, e al suo staff non resta che corrergli dietro.
*giornalista, vaticanista