Moro e altri misteri d’Italia. Parla Paolo Cucchiarelli giornalista d’inchiesta. Parte II

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista al noto giornalista che da anni consuce ricerche su alcune vicende oscure della storia italiana recente ( Strage di piazza Fontana del 1969, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e prima ancora della sua scorta, l’aereo precipitato in mare nel 1980 nel cielo di Ustica). In questa seconda parte Cucchiarelli parla dei suoi incontri con le scuole e dell’importanza che i ragazzi sappiano, si appassionino alle vicende del loro Paese per conoscere la verità

Cucchiarelli, stai facendo anche un grande lavoro nelle scuole per far conoscere ai ragazzi questa vicenda, che altrimenti rischia di essere dimenticata. Quali reazioni incontri? i più giovani cosa ti dicono? Ho visto che hai fatto numerose presentazioni anche presso molti Comuni. Nei prossimi mesi cos’hai in programma?

Le scuole sono il luogo privilegiato del mio impegno, lo ritengo prioritario su tutto. Ho raccontato la morte di Moro anche a ragazzi di terza media che tornati a casa hanno detto entusiasti che loro sapevano come era davvero morto il Presidente, e hanno spinto padri e madri a venire la sera ad ascoltare l’incontro predisposto per gli adulti. Sono andato in tante scuole facendo vedere come Moro è stato ucciso e spiegando perché quella uccisione debba interessare i ragazzi perché gli è stato rubato un pezzo di futuro. Ho scritto le inchieste pensando alle mie figlie, e cercando un regalo per mia figlia Giordana ho individuato con certezza la prima prigione di Moro, informazione poi passata alla Commissione Moro, che a mano a mano si è irritata di tanto attivismo (lettere, memo, osservazioni e proposte, due perizie, tante scoperte come il fatto che il verbale di sequestro fatto il 30 maggio del 1979 in viale Giulio Cesare dove vennero arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda non citava la mitraglietta Skorpion che si suppone abbia ucciso Moro. Questa compare solo nel secondo verbale stilato in questura l’indomani).

Eppure il luogo più bello dove raccontare tutto quello che ho capito e vissuto sono sempre le scuole. Proprio oggi Fb mi ripropone un ricordo di 5 anni fa di uno straordinario incontro con quasi 700 studenti che per quasi tre ore non hanno toccato il cellulare tra lo sbalordimento dei professori. Era a Monopoli. Fu un incontro quasi commovente.

Alla fine una studentessa si avvicinò in lacrime dicendo “nessuno ci aveva mai incoraggiati così”. La saluto e la ricordo. Pochi giorni dopo ricevetti questa mail. “Sono la Professoressa Marilù Giangrande. Grazie per la straordinaria lezione ai nostri ragazzi del Polo liceale di Monopoli. Grazie per il profondo e significativo messaggio sul ‘metodo’! Non conoscevo il suo libro e il suo straordinario lavoro, ne sono rimasta profondamente colpita! Non ho fatto in tempo a ringraziarla di persona, ma ci tengo a dirle grazie per aver fatto luce su un evento che ci ha segnati tutti quanti. Sono la professoressa che annuiva quando lei ha detto che ognuno di noi ricorda esattamente dov’era quando è avvenuto il rapimento Moro: io lo ricordo benissimo e ricordo benissimo quei 55 giorni di pena che si conclusero con quello che per la mia famiglia fu come un lutto privato! La saluto cordialmente e spero che venga ancora a Monopoli a parlare con i nostri alunni. Avevo nove anni quando fu ucciso Moro e capii subito la gravità dell’accaduto dalle reazioni dei miei che erano democristiani e probabilmente avevano capito come sarebbe andata a finire. Amavamo molto lo statista che era venuto diverse volte qui ad Alberobello dove viviamo”.

Tornerò a breve a Monopoli. Ecco, gli incontri con le scuole sono i più belli, vedere ragazzi attenti per oltre due ore e poi vedere che qualcuno si commuove ed emoziona per le parole di incoraggiamento e sostegno che si dicono non ha eguali, neppure la Fiera del libro di Torino vale quell’incontro a Monopoli.

La scuola è il luogo che scelgo, che preferisco, che amo di più.

Secondo te quali sono state le opere di maggior rilievo, ovviamente oltre le tue, che hanno contribuito a svelarci qualcosa su questo mistero italiano? Io penso ad esempio a un libro uscito anonimo molti anni fa, I giorni del diluvio, che è subito sparito dagli scaffali delle librerie e di cui si sono perse le tracce fino alla seconda edizione di una quindicina di anni fa. Certo, nel 1985 era ancora troppo presto e il fatto che l’autore Franco Mazzola fosse stato deputato e senatore (nonchè sottosegretario) creava qualche imbarazzo. Tu a quali altre opere pensi?

Certamente I giorni del Diluvio perché tocca la chiave internazionale che solo ora si sta comprendendo appieno, basta leggere le relazioni della Commissione parlamentare Moro 2. Posso dire che i libri che mi hanno più aiutato in assoluto sono due: Il mandarino è marcio e Obiettivo Moro, perché sono pieni di cose e le cose e non mentono, gli uomini si. Il mandarino di Scarano e De Luca è il primo ed unico, prima di Morte di un Presidente, che abbia segnalato la presenza nella vicenda del Secret team, la struttura occulta dell’intelligence americana. I due colleghi avevano certamente una fonte autorevole che gli ha segnalato l’importanza di quella traccia. Ci sono poi i libri di Sergio Flamigni, ma i due citati sono quelli che mi hanno aperto più prospettive. Meriterebbero di essere ristampati.

La tua storia di giornalista d’inchiesta. Quali sono in particolare gli argomenti di cui ti sei occupato nel corso degli anni? Mi interesserebbe in particolare la questione di Piazza Fontana da cui è iniziato tutto.

Ho scritto una decina di libri. Con Il segreto di Piazza Fontana, stampato in tre diverse edizioni è iniziata la ricerca di un metodo per affrontare i grandi temi irrisolti della nostra storia. Sono partito dalla lettura dei giornali, con la massima attenzione ai primi tre giorni, e mi sono subito accorto che tra le macerie della Banca Nazionale dell’Agricoltura erano stati trovati frammenti di miccia e di un timer: perché due sistemi di attivazione se la bomba era una sola? Da lì è partita la ricerca durata una decina di anni sfociata poi nel libro portato sullo schermo da Marco Tullio Giordana con Romanzo di una strage. Prima che il libro uscisse ma quando era già in stampa, ero all’epoca capo servizio dell’ANSA al Senato, decisi di rivolgermi, per rispetto, ad uno dei cinque senatori che sapevano con certezza diretta come erano andate le cose. Lo vidi alla buvette che mangiava e mi accostai. Gli disse della uscita prossima e gli spiegai in dettaglio tutto, soprattutto le doppie bombe cioè il fatto che Valpreda fosse entrato nella banca dell’Agricoltura con il fascista Bizzarri avendo tutti e due in mano due borse identiche per un attentato antisistema. I fascisti si erano mimetizzati all’insegna del no al sistema coinvolgendo anche frange anarchiche. È una certezza. Le due borse identiche servivano a mimetizzare l’azione.

In quella di Valpreda c’era la bomba da tutti conosciuta, candelotti di gelignite chiusi dentro una cassetta portagioielli e comandati da un timer di lavatrice che dava la certezza dello scoppio a banca chiusa. Bizzarri aveva nella borsa identica per modello marca e colore esplosivo vario sfuso e immerso in questo vi era una miccia che spuntava all’esterno della borsa per pochi centimetri. I due lasciano le borse ed escono. Valpreda ha la certezza che tutto avverrà a banca rigorosamente chiusa; verranno giù poche vetrine e qualche tavolo andrà in frantumi. Un altro fascista che oggi vive all’estero rientra e facendo finta di fumare accende la miccia ed esce rapidamente. Dopo pochi attimi è l’inferno.

Quella persona che sapeva per conoscenza diretta di istituto ascoltò il mio racconto senza mai guardarmi in faccia. Stava mangiando. Appena finito mi disse. “È andata esattamente così (….) ma quando uscirà il libro io ti attaccherò”. E così accadde. E ho sopportato con molta pazienza tutti gli insulti che si sono rovesciati su di me dopo l’uscita del libro che dice esattamente la verità dei fatti. E questo mi basta.

Torniamo a Moro. Nel 1974 egli si recò negli Stati Uniti dove ebbe vari incontri, uno dei quali con Henry Kissinger all’ epoca segretario di Stato il quale lo minacciò ingiungendogli di cessare di perseguire il suo disegno del compromesso storico con l’ingresso del Pci nell’ area di governo, avvertendo che in caso contrario avrebbe pagato un prezzo molto alto. Lo sappiamo dalle dichiarazioni della moglie Eleonora alla Commissione di inchiesta, a quanto sembra dopo questi colloqui Moro avrebbe anche avuto un malore nella cattedrale di Saint Patrick dove si era recato a pregare. Recentemente è anche uscito un libro in proposito. Evidentemente il tentativo di Moro turbava l’equilibrio di Jalta come ad esempio aveva fatto quello di Allende presidente del Cile, che governava assieme ai comunisti e la cui fine è nota. Anche nel campo sovietico il compromesso storico stava per diventare un problema per l’Urss, che davanti ad un governo di solidarietà nazionale democraticamente eletto avrebbe avuto grosse difficoltà a giustificare la sovranità limitata dei paesi satellite. Si veda ad esempio l’invasione della Cecoslovacchia o l’incidente in cui fu coinvolto Berlinguer in Bulgaria nel 1973, rimanendo quasi miracolosamente illeso.  Secondo te, in questo caso si è trattato di un incidente o di un attentato?

Moro non era tutta la Dc come Berlinguer non era tutto il Pci. C’erano resistenze e differenziazioni molto forti all’interno. Tutti e due i leader cercavano di superare Jalta almeno in Italia in virtù della particolare situazione: Il Partito comunista più forte dell’Occidente, il Vaticano, l’essere l’Italia frontiera tra i due blocchi, come la Germania. Come sappiamo e come hanno confermato diversi componenti della famiglia Berlinguer ed esponenti del Pci, il segretario del Pci era assolutamente convinto che di attentato dovesse essersi trattato a Sofia e non certamente di un incidente. Tanto che rifiutò il ricovero in ospedale nonostante diverse botte alle costole e una commozione cerebrale; e si rivolse al nostro ambasciatore a Sofia per rientrare rapidamente con un aereo italiano.

È ovvio che per motivare lo spostamento di questo aereo speciale Berlinguer abbia esternato i suoi dubbi al nostro ambasciatore e questi abbia girato il tutto al ministro degli Esteri. Nonostante libri e articoli, nessuno ha notato che ministro degli Esteri era Aldo Moro, che probabilmente seppe in tempo reale dell’attentato, avvenuto in concomitanza della apertura di Berlinguer su Rinascita alla prospettiva del compromesso storico (secondo la definizione comunista).

Io credo che l’intesa che portò al governo con il Pci nella maggioranza e alla prospettiva di un ingresso a breve nell’esecutivo sia nato grazie a quell’aereo inviato da Moro per andare a riprendere Berlinguer inviso ai suoi. I due politici erano soli sia nel partito, sia nelle rispettive sfere d’influenza. Una storia tragica e bellissima. Parrocchie e sezioni del Pci contro Jalta.

Immagino che ci siano stati per te, durante le ricerche sui vari misteri italiani, tanti problemi, tante difficoltà, qualche minaccia: ne è valsa la pena?

Quando scrivevo il libro su Piazza Fontana, da poco separato, per accogliere le mie due figlie dovevo impilare le cartelline di documentazione fino al soffitto e per cercarne qualcuna, visto quanto era piccolo l’appartamento scelto per rimanere vicino a loro, dovevo prendere la scala. Il giorno dopo la consegna del libro il 15 luglio ebbi la diagnosi di bronco polmonite bilaterale. Insomma è stato un grande sforzo; anche per Moro e Ustica&Bologna. Io non so perché faccio tutto ciò ma so che lo debbo fare. E questo impone scelte anche dure. Lo rivelo qui perché Mario Nanni per diversi anni è stato il mio capo redattore alla redazione politica in Parlamento. Dopo il film su Piazza Fontana (Nanni era già in pensione), il direttore e il vice direttore dell’ANSA chiesero che li invitassi a cena a casa. Mi proposero di guidare la redazione politica più importante d’Italia ma nel giro di due giorni rifiutai perché -dissi- “dovevo scrivere i miei libri”.

Non mi sono mai pentito. Mi ha insegnato molto una mezza intimidazione, un pesante invito a smetterla di intervenire nei lavori della Commissione Moro 2 fattami da due parlamentari in modo umanamente sgradevole. Non dirò mai il nome dei due non per rispetto nei loro confronti ma per il rispetto che porto all’idea di sinistra che ho. Dopo l’ultimo libro sono stato molto male per il grande sforzo fatto in solitudine per il covid lavorando 12 ore al giorno per molti mesi.

Sono stato inquisito per Piazza Fontana ma quello che ho scritto è la verità dei fatti. Ho osteggiato sempre la fiction e la politica intesa come verità pre confezionata. Nonostante tutto, tra mille amarezze e molte ingiustizie, credo che ne sia valsa la pena e per questo sto scrivendo ancora il prossimo libro su Moro.

 

Gianluca Ruotolo – Redattore, Avvocato

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