Liliana Segre e Elena Cattaneo v/s Giorgia Meloni

Pur di conservare il potere sarebbe perfino capace di diventare intelligente, sospirò il qualunquista inconsapevole. Ma enunciò un paradosso, perché cupidigia del potere e sagacia dei legislatori non sono parallele.

Fatto sta che il cambio costituzionale proposto dagli attori del premierato è reformatio in peius. La discussione in Aula del disegno di legge costituzionale, presentato dal presidente del Consiglio dei ministri e dal ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa (al maschile nella relazione, sebbene siano due signore), è iniziata come uno scontro tra donne al vertice delle istituzioni: Elena Cattaneo e Liliana Segre, senatrici a vita, versus Giorgia Meloni, detta Giorgia, presidente del Consiglio.

Sgombriamo innanzitutto il campo dall’equivoco malizioso che hanno fatto aleggiaresull’avvio del dibattito in Assemblea della riforma costituzionale. Il primo articolo del progetto uscito dalla Commissione abroga il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, il quale stabilisce che “Il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.

Significa che la riforma Meloni, se approvata, toglierebbe dalle mani del capo dello Stato la facoltà di conferire quello che a tutt’oggi può essere considerato il più alto onore della Repubblica in riconoscimento dei meriti conseguiti da cittadini italiani che hanno illustrato la nazione. I maligni hanno voluto insinuare che le critiche severe di Segre e Cattaneo contengano un sottofondo di amarezza e risentimento per la cancellazione della categoria a cui appartengono, come se, invece di orazioni per la Repubblica, pronunciassero ciascuna un discorso pro domo sua.

Ma l’insinuazione, oltre che ingenerosa, è pure infondata, perché l’abrogazione non tocca minimamente la loro posizione, dal momento che il progetto contempla una disposizione transitoria (articolo 5) in base alla quale “Restano in carica i senatori a vita nominati ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, nel testo previgente alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.”

Dunque premierato o non premierato, Elena Cattaneo e Liliana Segre resteranno in carica. Gl’Italiani devono augurare alle due senatrici la più lunga vita perché i loro interventi sulla riforma Meloni non solo hanno illustrato il Senato e l’intero Parlamento ma anche fornito la prova che l’abolizione dell’istituto dei senatori a vita rappresenta un evidente errore del progetto.  Le loro voci sono state potenti e convincenti per contenuto quanto abbellite dalla forma eloquente, inconsueta nelle aule parlamentari degli ultimi lustri quasi che la gloria dell’oratoria greca e romana fosse andata perduta per sempre nell’eloquio dei rappresentanti.

Sono voci libere per intima fede nelle loro certezze personali, che hanno sentito di dover esprimere per obbligo morale e politico, al quale dunque avrebbero obbedito comunque. E tuttavia è consolante suppore che possa aver giovato precisamente l’esser, quelle voci, le voci di due parlamentari il cui status le sottrae ai beneplaciti dei partitanti. Il che, poi, costituisce parte integrante della libertà dei senatori e deputati di “esercitare le funzioni senza vincolo di mandato” (articolo 67).

I discorsi delle senatrici Cattaneo e Segre sono eccezionalmente importanti perché attaccano alla radice il progetto costituzionale.

Non si limitano a criticarne gli aspetti controversi, ma da questi ricavano la conclusione che il progetto è intrinsecamente sbagliato. Detto altrimenti, ritengono che con l’acqua sporca occorra buttar via il bambino. Il progetto è “allarmante” per la senatrice Segre, categorica: “Non posso e non voglio tacere.”

Per la senatrice Cattaneo,  il progetto “aprirebbe una deriva plebiscitaria.” L’opposizione radicale al progetto è l’unica compatibile con la radicalità del progetto, che all’apparenza sembra modificare soltanto la nomina del presidente del Consiglio, rimettendola direttamente nelle mani del popolo, ma di fatto sovverte l’intera forma di governo e modifica sostanzialmente la figura del presidente della Repubblica, per conseguire uno scopo, cioè la stabilità del presidente del Consiglio, che il progetto invece pregiudica perché, cementando il Parlamento ed il Governo nell’elezione contestuale, irrigidisce il rapporto tra i due organi costituzionali, sicchè simul stabunt aut simul cadent. Toglie elasticità alla vita delle due istituzioni, ignorando incredibilmente che gli alberi più robusti sono i più flessibili.

Dice la senatrice Cattaneo, una scienziata adusa al ragionamento: “Non regge al vaglio della logica, ancor prima di quello della democrazia avanzata, pensare che il Parlamento, eletto contestualmente al presidente del Consiglio e quindi sostanzialmente per trascinamento, non abbia alcuna sostanziale forma autonoma di controllo sull’attività del Governo, mentre il Governo può determinarne sia l’attività legislativa sia, in ogni momento, a discrezione del presidente del Consiglio, lo scioglimento. Non è logico.”

L’attacco ai fondamenti stessi del progetto fa giustizia della posizione possibilista dei tanti che, dentro e fuori del Parlamento, inclinano ad un collaborazionismo consistente nel prospettare e proporre emendamenti che dovrebbero servire, nell’intenzione, ad eliminare difetti che inficiano il progetto al punto di renderlo inaccettabile.

Purtroppo consimili difetti non sono poi identici nel giudizio dei possibilisti, sicché sommandoli portano alla stessa pregiudiziale avanzata e dimostrata dalle senatrici Cattaneo e Segre. L’aver messo il carro del premierato davanti al bue della legge elettorale è una pecca inemendabile. Se il progetto costituzionale impone alla legge elettorale (questa sconosciuta!) di assegnare sempre un premio “che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio”, la senatrice Segre ne deduce con logica socratica che nessuna legge ordinaria, pena l’incostituzionalità, potrà mai prevedere una soglia minima per l’assegnazione del premio. E con sferzante acribia conclude: “Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.” Ricordiamo agli immemori che la “legge Acerbo” spianò la strada al fascismo.

Il progetto sul premierato assume un postulato implicito ma falso: il governo deve essere stabile per essere forte. Ma non è affatto debole adesso. La senatrice Cattaneo osserva: “La funzione legislativa, che per Costituzione spetta in via esclusiva al Parlamento, è diventata ormai, al contrario, quasi totalmente appannaggio del Governo, che ne dispone a piacimento e, se necessario, in modo tombale, con l’uso sistematico della decretazione d’urgenza combinata ai maxi emendamenti e al voto di fiducia, strumenti che dovrebbero essere eccezionali e invece sono divenuti la regola dei nostri lavori. Quindi l’elefante nella stanza che oggi si finge di non vedere non è solo ciò che è contenuto nel testo in discussione, ma soprattutto quello che nel testo non c’è, vale a dire la necessità di restituire forza, dignità, autonomia a un Parlamento indebolito.” Del “Parlamento al contrario” e del “Parlamento degradato” il progetto costituzionale si occupa al solo fine di degradarlo ancor più rimettendone la vita all’arbitrio del presidente del Consiglio, padrone dei ministri e della legislatura.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. È il fondamento della nostra democrazia. Il Governo gode della fiducia del Parlamento, che rappresenta il popolo. Il Parlamento insedia il Governo e il presidente della Repubblica. Il progetto costituzionale perverte questo modello dei Costituenti. Infatti il presidente del Consiglio, essendo insediato direttamente con l’elezione, sarà espressione della sovranità popolare mentre il presidente della Repubblica sarà espressione della sovranità parlamentare, nella migliore ipotesi, ovvero della stessa maggioranza governativa, nel peggiore dei casi, cioè dopo la sesta votazione per eleggerlo, come stabilisce il progetto innovando i quorum di votazione per il Quirinale.

I sostenitori del progetto indulgono a ritenere che: primo, il presidente della Repubblica così eletto, al quale nella sostanza hanno tolto il potere di scioglimento delle Camere ed il potere di nominare il Governo, non può affatto considerarsi “declassato”; secondo, tale assetto non configuri un “bicefalismo spurio” tra presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, foriero di attriti e conflitti. Il tutto per impedire quello che considerano un male estremo del sistema: il potere presidenziale di formare governi tecnici o di unità nazionale con maggioranze diverse da quelle uscite dalle urne. Come se non fossero pur esse, appunto, maggioranze che legittimano il Governo bensì nominato dal Quirinale ma nondimeno perfezionato costituzionalmente dalla fiducia parlamentare. Se credono questo, non dobbiamo stupirci che scambino per bellezza la deformità del progetto. Infatti, parlando in generale, i cattivi costituzionalisti somigliano agli idraulici, il quali la sanno lunga di tubi e rubinetti, però non hanno a cuore la qualità dell’acqua che ne sgorga.

 In un lontano passato, quando un deputato pronunciava un discorso che i colleghi reputavano notevole o addirittura memorabile, gli tributavano l’onore dell’affissione, gridando in Aula: “Affissione! Affissione!”. Il discorso veniva attaccato nelle bacheche della Camera e se ne ordinò addirittura la pubblicazione negli albi comunali. Nel riportare qui sotto il testo dei discorsi delle senatrici a vita Cattaneo e Segre è come se riprendessimo, al tempo di internet, l’antica usanza dell’affissione.

Pietro Di Muccio de Quattro

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