Un insospettabile antidoto alla malinconia, le “Memorie” di Casanova

Un interessante spunto tratto dall’opera del Veneziano, che conobbe i grandi del suo tempo. Ce n’è per i giornalisti dell’epoca, per i giovani d’oggi e per i teorici del "non è colpa mia".

Quando sono di umore malinconico talvolta uso questo rimedio, che vivamente consiglio.

Prendo la “Storia della mia vita” di Giacomo Casanova e leggo qualche pagina a caso. Quasi si trattasse di un compendio di vaticini.

E casco sempre bene, perché l’essenza vera dell’opera è un inno alla vita e alla ricerca della possibile gioia. E nel contempo un concentrato di arguzia e di sublime ironia. Conosciamo così poco Casanova in Italia che abbiam finito per regalarlo ai francesi.

Nelle loro antologie letterarie difatti da tempo è inserito tra i grandi del ‘700. Se non fosse stato per Piero Chiara non avremmo neppure la sua opera integrale in italiano, dato che Casanova scrisse le Memorie in francese perché all’epoca era la lingua comune europea.

Ma non è questa la sede per trattare delle sfortune che hanno perseguitato il grande veneziano dopo la morte. A partire dalla manipolazione del suo manoscritto, così che, col tempo, del figlio di modesti commedianti veneziani che seppe, grazie al suo spirito e al suo ingegno, entrare in contatto con i grandi del suo secolo restò solo la fama di grande amatore. Certo lo fu, ma chi cercasse nei suoi scritti un manuale del perfetto seduttore farebbe un buco nell’acqua.

Dunque giorni fa ho aperto a caso il terzo volume, nella edizione dei Meridiani di Mondadori, e sono incappato nell’incontro tra Casanova, in viaggio in Russia, e l’imperatrice Caterina II, detta la Grande. Il veneziano (che mori nel 1798) aggiustò le sue memorie dopo la di lei morte, nel 1796, e fa una osservazione di straordinaria modernità sul ruolo del giornalismo (intendendosi qui il giornalismo di cronaca).

Leggete: “In uno di questi giornali moderni in cui il giornalista viene meno al suo principale dovere per attirare l’attenzione di chi legge su di sé, osando svelare il suo pensiero senza preoccuparsi del fatto che il lettore potrebbe esserne danneggiato, ho letto che Caterina II è morta felice come è vissuta. E poiché, come tutti sanno la zarina si è spenta di morte improvvisa, il giornalista chiamando felice quel tipo di morte, ci fa capire, senza dircelo, che è quello che desidererebbe per sé. D’accordo, ognuno ha i suoi gusti e possiamo augurargli di morire come vuole, ma se è necessario supporre, affinché questa morte sia felice, che colui che ne è stato colpito la desideri, chi gli ha detto che Caterina l’abbia voluta?”.

Casanova, che definì la morte “…un mostro che caccia dal teatro lo spettatore prima della fine di uno spettacolo che lo interessa enormemente. Basterebbe questo per detestarla”, ci fornisce in poche righe una riflessione piena di spunti sul ruolo dei giornalisti e sulla cronaca separata dalle opinioni, temi più che mai attuali.

E lo fa in tempi in cui le gazzette erano cosa per pochissimi. Eccoci dunque al senso di questo scritto, che non ha pretese scientifiche sulla figura complessa e dibattuta o sull’opera dell’avventuriero, filosofo e scrittore. No, qui si vuole insinuare un’idea. Quella di fare leggere Casanova nelle scuole, di indicarlo ai giovani come un filosofo sul quale riflettere.

Perché in questi tempi tanto cupi, in cui si sente costantemente di ragazzi con gravi problemi di depressione o peggio, l’idea di una bella dose di entusiasmo casanoviano non è così peregrina.

Dotti commentatori e alcuni psicanalisti hanno catalogato Casanova come un povero bastardo di talento, afflitto da malinconia, smanioso di elevarsi socialmente, dimenticando il suo irresistibile istinto per la ricerca della umana gioia e dei piaceri non solo materiali della vita.

Ma soprattutto, quegli studiosi, hanno dimenticato la sua capacità di risorgere dai momenti bui, il suo entusiasmo verso l’avventura, le sfide impossibili, in parole povere il domani. Tutte qualità oggi latitanti e non solo nei ragazzi. Viene da rispondere, di fronte ai mille problemi, alle tante angosce, agli infiniti dubbi della nostra quotidianità: Casanova farebbe così!

Una filosofia, quella del figlio della Repubblica di Venezia ormai al tramonto, che è come “un bacio dai bei modi grossolani”: spiccia, pratica, vivissima. “Riderai – scrive rivolgendosi al lettore nella prefazione alle Memorie – quando saprai che tutte le volte che è stato necessario non mi sono fatto scrupolo di ingannare gli stupidi, i bricconi o gli sciocchi…Mi rallegro sempre quando ripenso a tutte le volte che li ho fatti cadere nelle mie reti, perché sono insolenti e presuntosi al punto da sfidare !o spirito…Diversi dagli sciocchi invece sono gli ignoranti, i quali essendo tali solo per difetto di educazione, hanno tutta la mia stima. Ne ho incontrati taluni che erano molto per bene e che nella loro ignoranza non erano privi di spirito. Assomigliano a occhi che sarebbero  bellissimi senza la cateratta”.

Lo spirito di iniziativa, la voglia di conoscere e farsi conoscere, la legittima ambizione a operare nel mondo non restando solo un apatico osservatore, sono gli elementi che i giovani dovrebbero abbracciare subito per uscire dai tempi amari e nebbiosi. E soprattutto si dovrebbe imparare la lezione casanoviana sulla responsabilità personale: “Non vorrei – scrive – far soffrire”… l’immenso numero di coloro che ogniqualvolta va loro qualcosa di traverso gridano ‘non è colpa mia’. Bisogna lasciare loro questa piccola consolazione, perché senza di essa si detesterebbero e ciò li porterebbe a pensare al suicidio. Per quel che mi riguarda, ben sapendo di essere sempre stato come la causa principale di tutte le sventure che mi sono capitate, mi sono trovato con piacere in condizione d’essere lo sco!aro di me stesso e in dovere di amare il mio precettore”.

Un punto di vista straordinario, in questi tempi di vittimismi, scaricabarile e piagnistei.

 

Maurizio Lucchi – Giornalista

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