SuperJet addio? Il punto di Alegi sul destino dell’aereo italo-russo

Il destino di Superjet International si decide entro il 31 luglio. La società nata dalla collaborazione italo-russa rischia la liquidazione. In gioco ci sono 110 posti di lavoro e un patrimonio di competenze per l’aerospazio italiano

Conto alla rovescia per il Superjet 100 il velivolo regionale nato dalla collaborazione italo-russa e oggi in crisi, vittima degli sconquassi geopolitici, dell’inerzia istituzionale e dell’incertezza aziendale. A meno di un intervento risolutivo entro il 31 luglio, la base italiana di Tessera (a due passi da Venezia) dalla joint venture Superjet International, che si occupa dell’allestimento finale dell’aero, dagli interni alla verniciatura, e della consegna al cliente con relativo addestramento, rischia la liquidazione e con essa il futuro dei suoi 115 dipendenti italiani. Come ci ha spiegato il professor Gregory Alegi, giornalista, docente di studi strategici ed esperto di aviazione: “Dietro Superjet stava l’idea di traghettare l’industria russa verso standard e mercati occidentali, una delle tante conferme del fatto che l’Occidente non nutriva ostilità preconcetta nei confronti della Russia”. Oggi, la società – partecipata al 90% dalla russa United Aircraft Corporation (Uac, gruppo Sukhoi) e al 10% da Leonardo – è infatti bloccata da due anni in un limbo: le sanzioni europee seguite all’invasione russa dell’Ucraina hanno congelato le quote societarie detenute dal socio di maggioranza e i beni dell’impresa, impedendole di operare e perfino di pagare gli stipendi.

Il Superjet 100

Nato nell’agosto 2005 a seguito della firma di un memorandum di intesa tra l’Agenzia federale russa per l’industria, Sukhoi Aviation Holding, gruppo Finmeccanica ed Alenia Aermacchi, il Superjet 100 (allora definito Russian Regional Jet – RRJ) contemplava la progettazione, lo sviluppo, la produzione, la commercializzazione ed il supporto di una famiglia di nuova generazione di jet regionale da 75-100 posti. All’inizio la proprietà italiana era al 51% dell’allora Finmeccanica attraverso Alenia Aermacchi. Nel corso del tempo l’azienda ha ridotto la sua partecipazione fino all’attuale 10%, lasciando la restate parte ai russi di Sukhoi. “Di fronte all’interesse russo a mantenere le proprie capacità di progettazione e produzione – ha continuato Alegi – nonché allo stato già avanzatissima realizzazione, all’allora Alenia toccò il compito di certificare, commercializzare e sostenere il velivolo. Sotto molti aspetti era la parte più difficile, perché si tratta delle aree nelle quali l’industria italiana è più debole.”

Il primo SuperJet a Venezia nel 2012. Foto Alenia

I primi dubbi

Il Superjet, tuttavia, non ha mai sfondato sul mercato occidentale, anche per la forte dipendenza dalla componente russa. Per Alegi: “Il primo inciampo fu il rifiuto di Alitalia di impegnarsi per l’iniziativa italo-russa, cui fu preferita la famiglia brasiliana Embraer. Benché giustificato dalla lentezza dei tempi di certificazione, l’incapacità italiana di ‘fare sistema’ colpì negativamente i russi. Ma era solo l’inizio: vendere un velivolo russo con supporto italiano si dimostrò sempre molto difficile, costringendo a ripiegare su clienti sconosciuti o a loro volta poco affidabili.”

Il piano industriale

Eppure, un piano industriale c’è. E anche un investitore pronto a rilevare la maggioranza della società: si tratta del fondo emiratino Mark AB Capital, che ha messo sul tavolo 470 milioni di euro per rilanciare l’attività tra Abu Dhabi e Venezia, promettendo fino a 550 posti di lavoro. Ma l’operazione è ferma. A bloccarla è il Comitato di sicurezza finanziaria (Csf), l’organismo tecnico del Mef che deve autorizzare lo “scongelamento” delle azioni russe, oggi nelle mani dell’Agenzia del Demanio. Uno stallo burocratico che – hanno denunciato i sindacati di recente – rischia di trasformarsi in un fallimento industriale.

La scadenza di luglio

Il tempo stringe. Dopo mesi di tentativi diplomatici, incontri e rassicurazioni, ora il conto alla rovescia è scandito da una data: il 31 luglio. Se entro quella scadenza non arriverà il via libera al prestito ponte, Superjet International non avrà più liquidità. Lo scenario più probabile? Liquidazione o insolvenza, con lo stop delle attività e la perdita di un know-how che resta, ancora oggi, strategico per il Paese. Fim, Fiom e Uilm hanno lanciato un appello urgente al governo e in particolare ai ministeri dell’Economia e del Made in Italy: “Non si può lasciare soli 110 lavoratori. Serve un prestito ponte di sei milioni per tenere in vita l’azienda e pagare gli stipendi fino a quando non sarà possibile completare il passaggio di proprietà”. Una richiesta che trova eco anche tra le istituzioni locali e l’associazione delle imprese. Tuttavia, registrano oggi i lavoratori italiani della società, l’esperienza maturata rende la realtà veneta una delle poche in Italia capaci di progettare, allestire e manutenere un jet civile. Un patrimonio di competenze che potrebbe essere reimpiegato nel settore in crescita della difesa e dell’aerospazio, dove la domanda di profili tecnici è in aumento.

Il nodo Leonardo

Di fronte a questo scenario, il MIMIT ha ribadito più volte la volontà del governo di aprire all’ingresso degli emiratini, ma ha anche ricordato che le decisioni finali spettano al Comitato tecnico del Mef. E da via XX Settembre, per ora, è arrivato solo un no. In questa impasse, sale la pressione su Leonardo, che detiene appunto il 10% della società. La speranza espressa dai lavoratori è che Monte Grappa decida di farsi carico degli asset e del personale, riportando parte delle attività sotto controllo italiano. Una possibilità che, secondo i sindacati, garantirebbe continuità produttiva a Tessera e salvaguardia occupazionale. “La cosa più triste del tramonto di Superjet – ha concluso Alegi – è il rischio che il mercato lo legga o trasformi nella conferma dei propri pregiudizi verso l’Italia e la sua industria. Questa sarebbe una vera disgrazia: cornuti e mazziati”.

Foto: Alenia

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