Prima di raccontare ai lettori come funziona la Scuola Primaria oggi in relazione ai piccoli studenti meno capaci o, per meglio dire, “diversamente capaci”, facciamo un salto nel tempo e andiamo a vedere quale fosse l’ambiente di apprendimento 40-50-60 anni fa.
Fino agli anni 70, alla maestra di Scuola Elementare era affidata una classe piuttosto numerosa (fino a 35-40 alunni), una classe molto variegata quanto a potenziali capacità di apprendimento proprie di ciascun bambino.
Nonostante le differenze a volte piuttosto evidenti tra gli alunni, i piccoli condividevano la stessa insegnante “unica”, lo stesso spazio di apprendimento, le stesse metodologie di insegnamento.
Questi tre aspetti messi insieme acuivano ancora di più le diversità e, man mano che si procedeva nel percorso scolastico, chi era meno capace rimaneva indietro, qualche volta anche nell’aula, dove occupava una postazione sempre più lontana dalla cattedra.
Occorre sottolineare un fatto molto triste che ha caratterizzato la Scuola fino agli anni 70: la responsabilità dello scarso rendimento scolastico ricadeva tutta sui piccoli studenti che venivano regolarmente rimproverati a scuola come a casa.
A nessuno veniva in mente che le cause di quell’insuccesso scolastico fossero originate da altro.
Gli studenti “incapaci” venivano colpevolizzati… non erano in grado di apprendere perché non erano abbastanza concentrati e attenti oppure non studiavano abbastanza.
Essere considerati “incapaci” di apprendere era sicuramente demotivante e così gli alunni “incapaci” erano portati allo scoraggiamento, alla disaffezione verso lo studio, al disinteresse verso la Scuola ed, in ultima analisi, all’allontanamento dalla Scuola stessa.
Non si può dire che in quegli anni non vi fossero docenti più sensibili ed attenti di altri ai bisogni educativi dei propri alunni. Erano proprio quegli insegnanti che cercavano di adottare qualche strategia didattica di supporto agli studenti “difficili”, spinti dalla preparazione professionale e dall’affetto che comunque si generava tra docente e alunno.
Tali insegnanti non erano comunque obbligati o condizionati da alcuna legge ministeriale che orientasse l’attività educativo-didattica.
Abbiamo dovuto attendere gli anni 70 affinché le cose cominciassero a cambiare ed abbiamo assistito così ai primi interventi normativi che riguardavano però ancora soltanto studenti con disabilità.
È indispensabile ricordare che in Italia le scuole speciali, riservate ad alunni esclusivamente con disabilità, sono state abolite a partire dal 1977.
Nel 1975, il documento Falcucci, redatto dalla commissione con a capo colei che poi sarebbe diventata ministro dell’Istruzione, Franca Falcucci, ha posto la Scuola italiana all’avanguardia per i tempi, sancendo per la prima volta il diritto per tutti i bambini con disabilità di ricevere una educazione e una istruzione adeguate alle loro capacità. In esso si ritrovano i principi ispiratori della Legge 517/1977.
Nel 1977, la Legge 517 (Legge Malfatti), ha abolito finalmente le classi differenziali disponendo che gli studenti con disabilità fossero inseriti nelle normali classi, composte da non più di 20 iscritti, con il supporto di insegnanti specializzati. Con questa legge la Scuola italiana ha gettato le basi per tutte le leggi future sull’inclusione scolastica, superando la logica della separazione.
Ma la legge cardine sulla disabilità e sul diritto delle persone disabili è arrivata nel 1992. È la Legge 104/92 che tratta, tra le altre cose, anche del diritto dei bambini con disabilità di ricevere una istruzione adeguata alle proprie condizioni e capacità.
L’istruzione viene finalmente intesa come tramite per l’integrazione sociale della persona con disabilità: questo concetto è ribadito in più punti all’interno della legge 104/92.
L’ARTICOLO 8, per esempio sottolinea l’importanza di disporre adeguate dotazioni didattiche e tecniche, prove di valutazione, e personale qualificato per garantire alla persona con handicap il diritto allo studio.
L’ARTICOLO 12 ribadisce che l’istruzione deve essere un diritto tutelato a partire dalla scuola materna fino all’università.
Tra i commi, si prevede che per ogni studente con handicap venga realizzato un profilo dinamico-funzionale preposto alla formulazione di un Piano Educativo Individualizzato (PEI). Realizzato dagli operatori delle unità sanitarie locali assieme al personale insegnante specializzato della Scuola, sulla base delle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell’alunno, e aggiornato periodicamente, il profilo mette in rilievo sia le difficoltà di apprendimento dovute alla situazione di handicap, sia le possibilità di recupero, oltre alle capacità individuali che devono essere sostenute e rafforzate.
Nel 2009 sono state emanate dal MIUR ulteriori Linee Guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità.
Nel 2015 è arrivata la Legge 107 (la Buona Scuola).
Nel 2017 il Decreto legislativo n°66, riguardante l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, sarebbe dovuto entrare in vigore il 1 gennaio 2019. Tale data è stata poi rinviata dalla Legge di Bilancio 2019 al primo settembre 2019 in previsione di alcuni correttivi.
Ed infatti nell’autunno del 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato le attese disposizioni integrative (Decreto Legislativo n°96).
Nel decreto è stata confermata la correzione annunciata: a quantificare le ore di sostegno è ancora il PEI, stilato però da un gruppo di lavoro operativo più esteso che, oltre a comprendere i docenti, gli operatori socio-sanitari, i genitori, lo psicologo, include un rappresentante del Comune e perfino lo studente stesso quando è maggiorenne. Per la prima volta si parla di diritto all’autodeterminazione e alla auto-rappresentanza. Il PEI diviene parte del progetto individuale. La Scuola entra nel progetto di Vita.
Con questo provvedimento si concretizza un meccanismo di tipo partecipativo, per stabilire non solo le ore di sostegno, ma anche quali strumenti materiali e quali attività didattiche servono allo studente con disabilità per superare le barriere che gli impediscono la piena partecipazione alla sua formazione. In tali scelte si afferma il principio, riconosciuto dalle Nazioni Unite, per cui la disabilità è data non solo e non tanto dalle condizioni di salute della persona ma da quanto il contesto sia in grado di garantire la massima autonomia e uguaglianza. Se il contesto è senza barriere e più ricco di opportunità, cambia il modo in cui la persona vivrà la propria condizione di disabilità.
Insomma, negli anni, tanto è stato pensato e fatto nella Scuola in favore degli alunni con disabilità diagnosticata.
Tuttavia, nella Scuola, esistono altre forme di disagio scolastico, derivanti nella maggior parte dei casi da disagio sociale. Si tratta di bambini che vivono in famiglie economicamente svantaggiate oppure in famiglie nelle quali si verificano rapporti conflittuali. Può tuttavia trattarsi anche di bambini affetti da qualche patologia meno evidente che comunque provoca una forma di apprendimento rallentata o inappropriata.
La Scuola di oggi, in particolar modo la Scuola Primaria, si attiva molto anche in questa direzione. I piccoli studenti vengono osservati quotidianamente dai docenti che lavorano in team e, proprio per questo, hanno modo di dialogare circa le modalità ed i livelli di apprendimenti ed i comportamenti dei propri alunni. Le eventuali forme inadeguate ed inusuali di rendimento scolastico vengono comunicate ai genitori, appositamente convocati. I genitori comprensivi e reattivi interpellano specialisti privati e/o delle strutture socio-sanitarie ed ecco che, per il 95% dei casi, vengono fuori varie diagnosi come la dislessia, la disortografia, la discalculia oppure il disturbo dell’attenzione o l’iperattività. Queste le forme più comuni. La Scuola prosegue nel suo intervento e fa richiesta alla ASL o all’Ambito di Zona del supporto di un Educatore.
E a questo punto impattiamo con una realtà che non è quella che vorremmo, quella che sarebbe necessaria.
Le figure di supporto nelle Scuole, quali sono gli Educatori, sono sempre meno e tendono a scomparire per ragioni incomprensibili.
Accade un fatto veramente inaccettabile:
Le Scuole sottolineano la necessità di Educatori che supportino l’attività educativo-didattica in classi dove sono presenti alunni BES o DSA (con Bisogni Educativi Speciali o con Disturbi Specifici dell’Apprendimento).
La Politica, alquanto sorda alle richieste che vengono dal mondo della Scuola, opera scelte che vanno in direzione contraria…Anziché formare ed ingaggiare nuove figure di supporto, sta facendo scomparire quei pochi Educatori rimasti sul territorio che, attualmente, dividono il proprio orario di servizio tra 2/3 alunni BES o DSA, riducendo il proprio intervento ad un supporto quasi insignificante.
E allora, come si opera nella Scuola Primaria, quando coesistono nello stesso ambiente di apprendimento 18/20 alunni normodotati (diversi comunque tra loro) e alunni BES o DSA (di numero variabile, da 1 fino a 3/4 unità)?
Nella migliore delle ipotesi, si ha il supporto di un Educatore. In caso contrario ciascun docente (che nella sua ora di lezione è “solo” nella classe) si rende multitasking e, contemporaneamente, organizza l’attività per gli alunni normodotati e l’attività differenziata per ciascun alunno con problemi di apprendimento presente nel gruppo classe.
Il risultato di un siffatto ambiente di insegnamento-apprendimento è il seguente: il docente risente di un sovraccarico di lavoro, il processo di apprendimento è discontinuo e rallentato per tutti i piccoli studenti, paradossalmente anche per chi ha capacità superiori alla media che purtroppo non possono essere valorizzate e sfruttate adeguatamente.
Guardando le cose in maniera più ampia, si può facilmente constatare che questa maniera di fare scuola porta ad un rendimento scolastico generale appiattito e tendente verso il basso, ad una tipologia di apprendimento meno motivante ed efficace di quanto potrebbe essere, e ad un annientamento delle eccellenze.
La Scuola ha sicuramente l’obbligo di assicurare il diritto allo studio a tutti gli alunni, capaci e “meno capaci”, di supportare e guidare tutti i giovani verso un progetto di vita, fin dalla Scuola dell’Infanzia.
Tuttavia ha anche il dovere di individuare, valorizzare e spronare gli studenti iperdotati, oltre all’obbligo di sviluppare in loro il senso dell’inclusione e dell’integrazione, il senso civico e di appartenenza, affinché siano essi il motore della Società, della Cultura, dell’Economia.
Sono proprio loro che devono occuparsi di creare un contesto sociale senza barriere e più ricco di opportunità in cui la persona con disabilità può vivere la sua condizione adeguatamente e dignitosamente.
La Scuola dovrebbe rivedere ancora una volta i propri moduli organizzativi e le proprie strategie di insegnamento. Dovrebbe applicare i criteri dell’Inclusività sempre e per tutti….altrimenti si corre il rischio di spostare il disagio scolastico dai “meno capaci” ai “più capaci” arrecando un danno notevole alla Società.
Paola Carrozzini – Docente d’Inglese- Scuola Primaria