Il Fogolar Furlan di Roma ha recentemente presentato il libro Rosalie Montmasson tra i Mille di Garibaldi e le donne del Risorgimento. L’ autore, il prof. Marco Pizzo, è direttore del Museo Centrale del Risorgimento e direttore dell’Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento del Vittoriano, oltreché curatore di numerose mostre ed autore di decine di pubblicazioni.
L’ iniziativa è stata curata da Mariarosa Santiloni direttrice della rivista Presenza Friulana.
Un nuovo sguardo sul Risorgimento
Rosalia Montmasson, nata con il nome di Rose nel 1823 da un’ umile famiglia in Savoia, fu moglie di Francesco Crispi, futuro presidente del consiglio del Regno d’ Italia che aveva sposato nel 1854 quando lui era un giovane rivoluzionario di belle speranze. Rosalia lo aveva seguito a Malta, in Francia ed in Inghilterra, restandogli sempre accanto mentre erano inseguiti dalle polizie di mezzo mondo. Oggi viene ricordata come l’unica donna ad aver partecipato alla spedizione dei Mille, travestendosi da militare ed imbarcandosi con i garibaldini a Quarto la notte tra il 5 e 6 maggio 1860, a quanto sembra contravvenendo all’ordine del marito.
Successivamente, sul suolo siciliano, alla spedizione si aggiunsero altre donne. Tra queste la veneta Antonia Masanello, che, vestita da uomo, a sua volta si imbarcò con il marito Bortolo Marinello il 19 giugno 1860 con la c. d. “quarta spedizione” di rinforzo a Garibaldi guidata dal modenese Gaetano Sacchi; oltre a lei la famosa Marzia che forse fu Luisa Attendolo Bolognini, soldatessa al seguito del marito Biagio Perduca, capitano garibaldino. Secondo altri Marzia sarebbe stata invece la giovanissima senese Rosa Strozzi vedova del capitano Vincenzo Santini, caduto difendendo la Repubblica romana.
Il racconto dei Mille
Al Sud si recò anche la contessa piemontese Maria Martini Giovio della Torre, figlia trentenne del conte di Salasco ben nota per la sua capacità nel maneggiare la sciabola, che aveva conosciuto Garibaldi sei anni prima a Londra. C’ era anche la palermitana Lia, compagna di Narciso Cozzo, e l’anglo-italiana Jessie White-Mario, come scrive lo stesso Garibaldi nel suo racconto “I Mille”. Quest’ ultima era una giornalista britannica naturalizzata italiana, infermiera in quattro campagne con Giuseppe Garibaldi e tra le più importanti documentariste del Risorgimento, che venne soprannominata da Giuseppe Mazzini la “Giovanna d’Arco della causa italiana”. Di famiglia ricca, sposata con l’ italiano Alberto Mario, pubblicò importanti indagini sulla vita nei quartieri più poveri di Napoli e sulle condizioni dei solfatari siciliani.
Altre donne guerriere con Garibaldi furono Giuseppa Bolognara Calcagno detta Peppa la bombardiera o la cannoniera, una siciliana molto coraggiosa che portava i pantaloni della divisa e che venne anche decorata con la medaglia d’ argento; un’altra sua collega andò a combattere in stato interessante, indossando anche lei, orgogliosamente, la divisa. Queste donne vennero arruolate e pagate entrando a tutti gli effetti nel ruolino militare.
Il prof. Pizzo ha ricordato che a fine anni sessanta dell’Ottocento il nuovo Regno d’Italia riconobbe una pensione ai partecipanti alla spedizione dei Mille; erano esattamente 1089, ma tra tanti eroi qualcuno pensò di approfittare e vennero presentate più di centomila domande.
Nell’elenco i titolari di pensione ai sensi della legge 22 gennaio 1865, n.2119, sono segnati con asterisco.
La Spedizione dei Mille ebbe un fotografo ufficiale. Parliamo del famoso Alessandro Pavia, che nel 1862 ebbe l’idea di realizzare un album con i ritratti di tutti i Mille, un volume simile ad un album di nobili figurine. Nel 1867, dopo cinque anni di ricerche e di viaggi per l’ Italia, Pavia era riuscito a raccoglierne poco meno di 850, Successivamente raccolse altri ritratti, ma gli Album venduti furono pochi, anche per l’elevato costo dell’opera: ben 400 lire.
Lo sbarco a Marsala
I primi due esemplari de
L’Album dei Mille sbarcati a Marsala vennero donati uno al re
Vittorio Emanuele II di Savoia e l’altro a Giuseppe Garibaldi, a cui l’intero progetto era dedicato. Oggi l’Album, anche per la sua rarità, ha un valore economico notevole e nel Centenario dell’Unità d’Italia il nipote di Alessandro Pavia propose al Comitato di acquistare le lastre originali.
Secondo il prof. Pizzo tra il 1840 e il 1850 il panorama socio-politico italiano era radicalmente mutato ed allo stesso tempo iniziava a cambiare anche il ruolo della donna. In tale contesto, prima dei Mille e dopo i moti del 1848, è importante ricordare la Repubblica Romana nata il 9 febbraio 1849, che richiamò alla sua difesa patrioti da ogni parte d’Italia e non solo, oltre ad alcune donne valorose. Infatti, tra i 938 soldati morti per difendere la Repubblica Romana, sei erano donne. La Repubblica cadde il 4 luglio in seguito all’invasione dell’esercito francese chiamato da Pio IX, ma lasciò comunque un’importante eredità storica.
Tra i difensori stranieri della Repubblica va citato Andrès Aguyar, detto “il Moro” di Garibaldi perché ex schiavo nero uruguaiano. Aguyar era seguace di Garibaldi fin dalla battaglia di sant’Antonio del Salto del 1846 e per quanto non sapesse né leggere né scrivere il 1° maggio 1849 fu nominato tenente di stato maggiore; venne purtroppo ucciso da una granata francese il 30 giugno del 49 mentre combatteva in un vicolo di Trastevere. Accanto a lui caddero anche Luciano Manara capo di stato maggiore garibaldino ed il capitano Goffredo Mameli, autore del testo del nostro inno nazionale.
Un inciso. Dal 21 Maggio 2024 – un po’ in ritardo – tra i busti del Gianicolo che ricordano i Patrioti italiani e stranieri del Risorgimento troviamo anche quello in onore di Aguyar, il Moro di Garibaldi. Meglio tardi che mai.
L’intervento di Ruotolo
A questo punto è intervenuto Gianluca Ruotolo, consigliere del Fogolar responsabile per la cultura, che ha ricordato la figura di Colomba Antonietti, donna eroicamente caduta in difesa della Repubblica Romana. Colomba era una popolana, moglie del conte Porzi cadetto delle truppe pontificie il quale aveva aderito alla Repubblica; la moglie per seguirlo si era tagliata i capelli ed aveva indossato l’ uniforme da bersagliere. Lo stesso Garibaldi, nelle sue Memorie, ricordava con partecipazione la sua tragica fine:
«La palla di cannone era andata a battere contro il muro e ricacciata indietro aveva spezzato le reni di un giovane soldato. Il giovane soldato posto nella barella aveva incrociato le mani, alzato gli occhi al cielo e reso l’ultimo respiro. Stavano per recarlo all’ambulanza quando un ufficiale si era gettato sul cadavere e l’aveva coperto di baci. Quell’ufficiale era Porzi. Il giovane soldato era Colomba Antonietti, sua moglie, che lo aveva seguito a Velletri e combattuto al suo fianco».
Ruotolo ha anche commemorato la figura del carissimo amico Enrico Luciani, profondo conoscitore della storia garibaldina e presidente per decenni del circolo Amilcare Cipriani. Enrico fu soprattutto presidente onorario del Comitato Gianicolo da lui fondato e promosso nel lontano 1999 per difendere la memoria e il ricordo della Repubblica Romana. Con la sua pipa ed il suo sorriso schietto e contagioso Enrico si era impegnato tantissimo, giorno per giorno, per far conoscere ai giovani i principi di libertà e democrazia nati da quegli avvenimenti storici, che lui sentiva profondamente vicini. Per questo Enrico ha portato sul Gianicolo centinaia di ragazzi e di studenti a rendere omaggio al mausoleo garibaldino ed al monumento equestre.
La guerra di indipendenza
Il prof. Pizzo, dopo aver a sua volta citato Enrico Luciani, il suo entusiasmo ed il suo grande contributo, ha poi ricordato che ad un certo punto Garibaldi si era reso conto di come l’Unità d’Italia si potesse completare solo con Vittorio Emanuele II. Fu quindi necessario seguire un processo politico di matrice moderata ed entrare in un sistema di alleanze, come dimostrerà la seconda guerra di indipendenza e poi la Spedizione dei Mille di cui la Montmasson fu una delle protagoniste.
In quest’ottica un altro personaggio femminile da studiare è la Virginia Oldoini, contessa di Castiglione e cugina del conte di Cavour, che fu una donna dalla bellezza straordinaria. Il re Vittorio Emanuele la incontrò segretamente nel novembre 1856, conversando con lei oltre due ore e convincendola ad entrare nel servizio segreto piemontese. Il sovrano le affidò una delicata missione a Parigi, dove la contessa, a soli 19 anni, divenne intima dell’imperatore Napoleone III con cui ebbe una relazione, spingendolo a sostenere la causa italiana.
La contessa era una donna moderna ed al di sopra della morale comune; diceva di non tenere minimamente conto del giudizio altrui, amava sopra tutto la sua libertà ed amava dire “Io sono io e me ne vanto”. Oltre che per questioni storiche il personaggio è molto interessante anche per motivi di costume, dato che venne immortalata dai celebri fotografi Pierson & Mayer ogni giorno della sua vita fino all’ultimo; si racconta che da anziana avesse fatto coprire tutti gli specchi della sua casa velandosi anche il volto, ma restando sempre disponibile a farsi fotografare.
Tutte queste donne, con le loro differenze, ci fanno capire che le cose stavano cambiando e che c’era una società in movimento. Ma non dimentichiamoci di Rosalia. Dopo le imprese dei Mille il marito Francesco Crispi esplose come politico, diventando deputato per 14 legislature, ed ebbe grande successo anche come avvocato; lei lo seguì sempre, ma ad un certo punto il matrimonio entrò in crisi. Nel 1871 Crispi si innamorò di Lina Barbagallo, vedova trentenne da cui ebbe anche una figlia.
Un matrimonio mai avvenuto
I rapporti con Rose divennero molto difficili e Crispi, che aveva già denunciato come non valido il matrimonio celebrato a Malta, nel 1875 riuscì a trovare un accordo attribuendo a Rose un assegno annuale; ella riconobbe di non essere mai stata legalmente sposata e se ne andò.
Crispi nel gennaio 1878 si sposò con Lina Barbagallo; i suoi avversari politici riuscirono a trovare il suo atto di matrimonio a Malta ed un mese dopo il giornale Il Piccolo pubblicò un articolo accusandolo di bigamia. Lo scandalo montò ed il 6 marzo Crispi dovette dimettersi da ministro dell’interno, seguito due giorni dopo dall’ intero governo. Ci fu un processo clamoroso per bigamia dal quale egli uscì assolto, ma politicamente molto indebolito.
Rosalia Montmasson rimase a Roma e gli ultimi anni condusse una vita modesta e ritirata, fino alla sua morte nel 1904; al funerale, l’unico uomo delle istituzioni a renderle onore fu il senatore Luigi Cucchi, anche se Rosalie fu molto ricordata dai Romani visto il suo impegno nella difesa della Repubblica.
Noi abbiamo migliaia di lettere di Francesco Crispi ma non abbiamo lettere di Rosalia, solo pochissimi biglietti. La storiografia italiana è forse maschilista, lascia tracce solo di figlie, madri e sorelle negli epistolari come per esempio in quello di Ippolito Nievo dove ebbe un grande ruolo la madre Adele.
Per quanto riguarda gli epistolari femminili Mariarosa Santiloni, direttrice della rivista Presenza Friulana, ha valorizzato la figura della madre di Nievo, la nobildonna Adele Marin che tra l’altro aveva anche frequentato l’università di Padova ed era anche imprenditrice avendo fondato una coltura di bachi da seta. Adele, che aveva con Ippolito un rapporto strettissimo, poi si dedicò al sociale ed aiutò anche i figli militari che conducevano vita brillante e compravano cavalli costosissimi. C’è un grande archivio di documenti dal 1820 al 1910 con varie generazioni che si incrociano in cui l’ 80% sono scritture femminili; ci sono anche le lettere d’amore di Crispi a Rosalie Montmasson, a cui oggi la storia ha reso giustizia.
Gianluca Ruotolo