Pino Daniele e Napoli, tra musica e “carte sporche”

A dieci anni dalla scomparsa del cantante, il libro di Pietro Perone ne racconta il messaggio e l’eredità

“Un Pino non da cartolina” era il titolo con cui Il Mattino sintetizzò la visione di Napoli nell’estetica di Pino Daniele: non la città del golfo assolato, pizza e mandolino, mare azzurro e spaghetti con le vongole, bensì quella arrabbiata e abbandonata dalle istituzioni; dolente di femminielli e muschilli di camorra; piagata dal lavoro nero, dalla povertà, dal degrado dei vicoli.

Nel decennale della scomparsa del grande artista, lo scrittore Pietro Perone ricorre a quell’immagine per riprendere, attraverso le sue canzoni, la storia del capoluogo campano fino a oggi. Si intitola “Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica, dal Mascalzone latino a Giogiò” il libro appena uscito per San Paolo Edizioni ed ha un doppio filo rosso: raccontare il cantautore attraverso Napoli, e quest’ultima attraverso i suoi testi e la sua eredità.

Un “ragazzo perduto” di periferia

Cronista politico e giudiziario del Mattino, spesso in prima linea sulle grandi inchieste di mafia, Perone rivela come l’idea del libro gli sia venuta alla notizia della morte di Giogiò, ovvero Giovanbattista Cutolo, il giovane musicista ucciso nel 2023 a due passi dal Teatro Mercadante da un minorenne – uno dei tanti “ragazzi perduti” della periferia – per uno scooter parcheggiato male. Giogiò frequentava il conservatorio musicale che lo stesso Daniele a suo tempo sognava, ma per cui non aveva le possibilità economiche. Decenni dopo, scrive Perone, Napoli rimane una “carta sporca”, amata e odiata, piena di guasti nascosti sotto il restyling del centro storico e l’overtourism che ingrassa i bed & breakfast nell’illusione collettiva che tutto vada per il meglio.

Pino Daniele nel 1982 – Licenza-creative commons

Nel libro c’è l’assunzione di responsabilità collettiva dei “ragazzi del 1981”, i 200mila del mega-concerto in piazza del Plebiscito – tra cui l’autore – che in fondo hanno tradito anche loro le speranze riposte in quella stagione. Ci sono gli inizi di Daniele, le “ziette” piccolo-borghesi che lo hanno sottratto alla miseria, le prime band, l’incontro con James Senese e Tullio De Piscopo che diventerà un lunghissimo sodalizio, gli esordi con gli album “Nero a metà” e “Vai mo’”. Voce calda e liriche potenti, quel sound unico che unisce echi di soul, jazz e rock alla canzone napoletana, capace di attrarre l’attenzione di star internazionali come Pat Metheny, Eric Clapton, Bob Dylan.

I valori del cantautore

E ci sono le delusioni. A partire dall’amarezza – confidata al critico musicale Federico Vacalebre, con cui giravano la città in moto – per

Pietro Perone – Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica, dal Mascalzone latino a Giogiò

la burocrazia e l’inerzia istituzionale che gli ha impedito di realizzare il sogno di una scuola di musica per giovani. Daniele non faceva politica eppure la facevano i suoi testi. E Perone racconta bene la rottura con la sinistra, ai cui valori il cantante è sempre stato vicino: nel 2009, con l’emergenza della spazzatura straripante e dei roghi tossici in città, sostiene la linea dura del governo Berlusconi, che spedisce a Napoli Guido Bertolaso, si dice d’accordo persino con il Carroccio.

Apriti cielo: lo stesso che aveva inserito ne “O scarrafone” il verso “Questa Lega è una vergogna” intuendo il pericolo per il Sud, lo stesso che aveva dovuto risarcire Umberto Bossi per averlo chiamato “uomo di merda” in conferenza stampa. A sinistra gridarono al tradimento, il governatore Antonio Bassolino – uomo sanguigno – lo affrontò a muso duro. Eppure, Daniele aveva fatto quello che faceva sempre: l’interesse di Napoli.

Il contenuto dell’opera di Perone

L’autore indaga anche il periodo meno noto della vita dell’artista: la decisione, dopo aver lasciato Napoli per Roma, di trasferirsi in campagna insieme all’ultima compagna Amanda Bonini, nella quiete di Magliano in Toscana, angolo della Maremma nel cui cimitero ora riposa. Mentre il Comune gli ha appena dedicato un parco: “Una jurnata ‘e sole”, panchine tra i cipressi e postazioni con i qr code per sentire le sue canzoni. Una voglia di normalità che portava Pino a cena nel locale “Pizza Movie”, in una saletta in cima alla torre con gli amici più cari; a cercare ispirazione nel “giardino senz’acqua” del vivaio dell’amico Luca, tra cespugli di rosmarino e ciuffi di graminacee; fino a investire nello stabilimento “Tuscany Bay” in Giannella per poter pranzare, anche lì, in riva al mare.

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Federica FantozziGiornalista

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