Sulla sconfitta del Pd si stanno scrivendo e si scriveranno articoli, analisi, ipotesi. E noi stessi daremo il nostro modesto contributo.
Sulle dimensioni numeriche della sconfitta già si stanno pateticamente arrampicando le prefiche dell’autoconsolazione, ma in realtà è difficile negare le proporzioni e il significato di una disfatta storica.
Ma a un ipotetico straniero che volesse capire, con un esempio – del tipo ex ungue leonem – le cause della sconfitta del partito di Letta, basterebbe offrire loro due esempi, due sequenze televisive.
Hanno per protagonisti: Francesco Boccia, ministro uscente delle Regioni, barese, che Emiliano ha imposto in una posizione di sicurezza nella lista elettorale.
Questa la prima scena: Nel salotto televisivo di Porta a Porta, il sondaggista Antonio Noto riferisce domenica sera dopo la chiusura delle urne i dati dei primi exit poll. Mentre gli altri presenti – giornalisti di vario orientamento e qualche parlamentare – abbozzavano un commento di merito, Boccia no. Boccia, per far onore al suo nome, semplicemente bocciava. Ma chi? Noto naturalmente.
Con sorrisini variegati di amarezza e delusione malcelate. Boccia metteva in dubbio Noto, e la cosa in fondo poteva essere nel suo diritto, anche se è strano che un malato – specie grave come nel caso del Pd – si metta a bocciare il medico che gli sta diagnosticando forse una polmonite mentre lui sostiene che solo di raffreddore si tratta.
Ma la scena si è ripetuta altre volte, al punto che uno dei presenti sarcasticamente ha commentato: si è capito, stasera il duello non è tra le coalizioni ma tra Noto e Boccia. Tutto questo avveniva sotto lo sguardo sornione del padrone di casa, Vespa.
Ma la cosa più stupefacente è che a un certo punto Boccia nel contestare, la parola non è proprio esatta ma il senso è questo, le previsioni di Noto, ha annunciato con un’aria da misteriosa sibilla barese: ci saranno sorprese.
Si è poi passati dagli exit poll alle proiezioni, sempre accolti da un Boccia frastornato ma non rassegnato, mentre l’uomo politico barese veniva impietosamente bersagliato sui social con la domanda: e la sorpresa? Dov’è la sorpresa? E altre espressioni colorite, che non riporto.
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Seconda scena, stavolta non nel salotto ma in collegamento con Vespa, dalla sede del Pd appare Debora Serracchiani, che grazie a un discorso generazionale della serie “fuori tutti”, largo ai giovani, stupì un’assemblea del Pd e si è poi fatta strada e carriera.
Forse perché ha la lingua sciolta ( ma vedremo subito che non basta), è stata mandata a commentare a caldo risultati disastrosi del suo partito. Poverina, un compito improbo e c’è da capirla. Ma fino a un certo punto, perché c’è sempre un limite alla improntitudine e ala mistificazione politica.
Ma che ha detto di così strano la Serracchiani? Bastano queste due frasi: oggi il Paese è triste (il Paese o il Pd? Ndr). Lei insomma con il 19 e rotti per cento parlava a nome dell’intero Paese, di un’Italia che solo in un caso su 5 , a essere pignoli un po’ meno, ha votato Pd.
E poi: la maggioranza parlamentare che ha vinto non corrisponde alla maggioranza nel Paese.
Ci sarà pure qualche filo di verità, ma questa frase è stata sempre il comodo rifugio dei perdenti.
Autocritica? Neanche l’ombra. Un retrogusto di supponenza, alterigia morale, scarso senso della realtà.
In Boccia e Serracchiani lo stesso atteggiamento: un mal riposto senso di superiorità, una degnazione verso chi li ha battuti, nessuna autocritica, nessuna intenzione di ritirarsi e forse di dedicarsi a lavori più socialmente utili.
Con questi atteggiamenti, la sinistra – direbbe Nanni Moretti – non vincerà mai.
Simone Massaccesi – Redattore