Nunca satis. Sulla missione della Chiesa. Rilettura di una storica omelia di Benedetto XVI sulla “Cattedra di Pietro”

Come dell’amore, che mai ci si stanca di vivere, cantare e di parlarne in tutte le forme possibili dell’ingegno umano, anche di Cristo, nunca satis; anche della Chiesa, nunca satis (mai abbastanza). Ovviamente non mi riferisco semplicemente al parlarne dei media (che non di rado ne trattano in modalità inadeguata), ma al parlarne alto, profondamente significativo, tanto più perché le umanità della Chiesa sono sotto gli occhi di tutti e catturano il centro delle cronache.

 

 

 

 

Mi sono deciso a scrivere qualcosa ritrovandomi tra le mani una ormai storica omelia di Benedetto XVI del 2012.  Era di questi giorni. Normalmente i Pontefici in questa circostanza, cioè il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro di antica tradizione, usano conferire la berretta cardinalizia ai nuovi porporati. La data era, dunque, assai intrigante per parlare della missione della Sede Apostolica, ma, ciò che più conta qui dire, è il significato della “Cattedra” di Pietro in sé. E ciò mi appare tanto più opportuno in un tempo in cui sono in atto numerose spinte, anche all’interno della Chiesa, che strattonano la Cattedra di Pietro per indurla dalla propria parte, accusandola di venir meno alla missione affidatale da Cristo o ritenendola prevaricatrice.

La questione non riguarda l’ambito socio-politico, ossia semplicemente quell’agire in consonanza ai tempi e ad una modernità che facilmente si contrappone a presunti ritardi storici (card. Martini) o di chi vedrebbe rotture con la tradizione.  Ma riguarda la fede della Chiesa e in particolare della Sede Apostolica. Benedetto XVI ebbe modo più volte di intervenire in merito, e lo fece con somma autorità, anche culturalmente parlando.

Gesù, disse una volta quel Pontefice, costruisce la Cattedra di Pietro, come una pietra, una roccia, e l’affida proprio a Pietro, perché in lui costituisce il fondamento visibile su cui è costruito l’intero edificio spirituale della Chiesa secondo l’insegnamento che ricaviamo dal Vangelo di Matteo (16, 16-19). Ratzinger annotò che al riguardo può aiutarci un testo rabbinico, direi assai bello, in cui si registra un simpaticissimo soliloquio dell’Altissimo: Il Signore disse: Come posso creare il mondo, quando sorgono questi senza-Dio che mi si rivoltano contro? Ma quando Dio vide che doveva nascere Abramo, disse ancora: Guarda, ho trovato una roccia, sulla quale posso costruire e fondare il mondo! Perciò Egli chiamò Abramo: una Roccia.

Ora, siccome a Cesarea di Filippo, Simone per primo confessa Gesù come il Cristo, divenendone poi anche il testimone più autorevole della sua risurrezione, come Abramo lo chiamò roccia, Pietro, pietra.  Così il primo compito di Pietro e dei suoi successori sarà sempre quello della professione di fede in Gesù, il Cristo, e, al tempo stesso, l’unità della fede, senza la quale la Chiesa stessa perde la propria identità e la propria missione, trasformandosi in una società semplicemente umana.

La fede della Chiesa non può essere diversa dalla fede di Cristo e in Cristo, e il magistero petrino è chiamato a consolidare la fede nei fratelli; un servizio umile che non di rado si dipana tra la realtà umana di ogni pontefice e la realtà soprannaturale garantita da Cristo stesso; quest’ultima è la garanzia che serve a superare ogni barriera e ogni estraneità, creando la comunione tra le molteplici differenze.

Si evidenzia così anche il primato dell’amore, sia in senso eucaristico, cuore della fede (ma così spesso oggi trascurato dai battezzati), sia nell’attenzione ai poveri, cioè quei “poveri di Dio” (non in senso sociologico) e quei “poveri di umane necessità”: diritti violati, carenza di beni, esclusi o emarginati (nel vero senso sociologico).

Benedetto XVI ne ha ampiamento parlato nella sua ancora attualissima enciclica Caritas in veritate, rilevando che «In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli, nella verità del suo progetto.  Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14, 6)» (n. 1).

In termini estremamente chiari poi ribadiva che la Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere il vivere. Nel 2010 mi colpì molto un breve articolo di Ida Magli, un’attenta studiosa di antropologia culturale e dei fenomeni connessi alla sfera del sacro (tra l’altro autrice di un Gesù di Nazareth), la quale rilevava che in una società come la nostra la Chiesa senza Gesù sta morendo; poi, facendo suo l’interrogativo del poeta Thomas Elliot, si domandava «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?».

Ecco, parlare di Cristo e della sua Chiesa, nunca satis! Quelli della mia generazione lo sanno bene perché noi siamo “nati” in un Concilio che per la prima volta trattava della Chiesa teologicamente ed in cui Cristo appariva «Luce delle genti» (Lumen gentium) e la Chiesa come «Sacramento dell’incontro con Dio»; ne eravamo profondamente affascinati e lo siamo ancora. Un entusiasmo tra i “nipotini” del Concilio alquanto scemato?

 

Fernando Card. FiloniGran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Prefetto emerito della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli

 

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