Laura Condemi: ripartire riconquistando la fiducia dei cittadini nella giustizia. Guai a perdere la speranza

Intervista a tutto campo sulla magistratura, sul lavoro del magistrato, e sul personaggio. “Una giustizia che funziona garantisce la tenuta democratica di un Paese. Il magistrato deve coltivare il dubbio ma non restarne prigioniero". La riforma del governo? “Persegue una restaurazione gerarchica anche degli uffici giudicanti. È senza respiro e senza modernità, ha una visione burocratica della giustizia”. La prima sentenza da pretore contro l’inquinamento nel Bergamasco: la gente la vide come una eroina.

Laura Condemi, magistrato romano, famiglia di origini calabresi, famosa anche per alcune sue inchieste che hanno fatto clamore sul piano nazionale contro il malaffare della politica, ha già superato la sua settima valutazione di professionalità, con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Siamo in presenza di una protagonista autorevole del mondo della giustizia italiana.

Donna appassionata, fortemente motivata, magistrato per scelta, consapevole di essere un “pezzo dello Stato” al servizio del Paese, Laura Condemi è uno di quei magistrati italiani che ha dimostrato di saper coniugare sempre e comunque il rispetto del diritto con la saggezza delle valutazioni soggettive, e questo – si racconta di lei al CSM- ne fa una giurista di razza. Identico giudizio cogliamo di lei a Piazzale Clodio dove questo giovane Consigliere in Magistratura trascorre ormai quasi tutta la sua giornata.

In questa intervista a tutto campo Laura Condemi racconta le sue passioni ideali, parla del sistema giustizia, spiega cos’è il “dubbio” per un magistrato e perché “il dubbio” accompagna la loro vita per sempre, contesta la degenerazione delle correnti in magistratura, ci ricorda soprattutto che c’è una generazione di magistrati onesti e incorruttibili sotto tutti i profili, ci esprime le sue idee su come dovrebbe cambiare il suo mondo, e avendo lei frequentato anche i concorsi di Stato per la formazione dei giornalisti italiani suggerisce qualche nota anche critica sulla necessità di riformare le regole di accesso al mondo della comunicazione.

Un’intervista non solo sullo stato di salute della sua “corporazione” (Lei però contesta questo termine) ma anche sulla crisi generale che attraversa il Paese, e con lo sguardo rivolto al cielo, perché “guai a perdere la speranza”, e da cui viene fuori l’immagine il carisma, l’equilibrio e la storia personale di una donna magistrato che non ha mai smesso, neanche per un momento,  di credere nella giustizia.

 

Consigliere Condemi, quanto hanno pesato sull’ immagine della sua categoria le varie diatribe sulla magistratura di questi mesi? Penso alle denunce di Luca Palamara e Alessandro Sallusti.

Hanno pesato molto. La magistratura in termini di credibilità è ai minimi storici. Le ripercussioni interne ed esterne della cd. vicenda Palamara, grazie anche al risalto mediatico che ne è stato dato, hanno gettato discredito sull’intera categoria, lasciando un senso generalizzato di sgomento e di diffusa sfiducia nell’opinione pubblica.

Questo tsunami che si è abbattuto sulla nostra categoria, tuttavia, ha comportato inaspettatamente anche effetti positivi, in quanto la presa di coscienza delle pericolose degenerazioni del correntismo, ha innescato un processo positivo di profondo rinnovamento e di autentica autocritica al nostro interno.

Vede, la maggior parte di noi, per fortuna, è stata e sempre rimarrà al di fuori delle dinamiche anomale che si sono verificate in questi ultimi tempi, e sa perché? Perché il corpo della magistratura è un corpo sano. Io ne sono convinta, non solo perché rispondo per me, ma perché ne faccio esperienza quotidianamente. Purtroppo il carrierismo sfrenato di alcuni, incoraggiato dalla riforma ordinamentale introdotta nel 2006 con la Legge Castelli – che oltre a portare alla “gerarchizzazione” delle procure ha anche eliminato l’anzianità come requisito primario per il conseguimento dei posti direttivi – ha condotto negli ultimi anni all’affermarsi, all’interno di tutte le correnti, di prassi malsane, in quanto le legittime aspirazioni di carriera dei magistrati hanno iniziato ad  impattare con la coscienza che l’appartenenza ad un gruppo organizzato forte (e dunque meglio rappresentato all’interno dell’organo di autogoverno) avrebbe reso più probabile il coronamento di quelle aspirazioni. Anche le correnti, realtà bellissime e ricche di fermenti, nate con il fine nobile di rappresentare luoghi di scambio e approfondimento culturale, hanno finito per perdere la propria originaria natura, diventando centri di potere e di distribuzione di incarichi.

Si è innescato un circuito perverso…

Ciò però non significa affatto che in questi anni non siano stati nominati dirigenti capaci e meritevoli. Tutt’altro. Nessuno può tuttavia negare che in alcuni casi, validi colleghi abbiano visto frustrare la propria ambizione a ricoprire un incarico direttivo o semidirettivo a vantaggio di colleghi, magari aventi un profilo professionale equivalente o addirittura inferiore.

Lei crede che si possa ancora difendere la sua corporazione? E in che modo lei lo farebbe?

La nostra innanzitutto non è una corporazione. Mi scuso per questa premessa così tranciante, ma è assai importante partire da presupposti corretti.

L’art.101 della nostra Costituzione recita: “La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Questo articolo è di enorme importanza, perché i nostri padri costituenti hanno inteso con esso garantire l’indipendenza di chi esercita la funzione giudiziaria, e questo rappresenta un principio cardine per qualunque ordinamento democratico. La giurisdizione è una delle tre funzioni tipiche dello Stato e consiste nel dare attuazione alle leggi dell’ordinamento giuridico. I magistrati sono gli organi dello Stato a cui viene attribuita tale funzione e che rappresentano, in posizione di terzietà ed imparzialità, il potere giudiziario.

Resta il dato incontestabile della perdita di credibilità. Ciò che è accaduto, a prescindere dalla sua valenza penale, disciplinare o politica ha comunque gettato un’ombra oscura sulla magistratura e purtroppo questo non ha fatto danni solo a chi la rappresenta, ma soprattutto a coloro in nome del quale la giustizia viene amministrata ogni giorno, ovvero i cittadini. È dalla riconquista della loro fiducia che dobbiamo ripartire. Restando fedeli al giuramento che abbiamo prestato il giorno del nostro insediamento nella prima sede: adempiere sempre al nostro dovere di giudici e di pubblici ministeri, esercitando la nostra funzione in piena autonomia e indipendenza, e con l’unico scopo di servire lo Stato.

Che giornata tipo ha un magistrato come Lei?

La risposta le apparirà scontata; ma credo che nel formularla lei abbia bene in mente che chi le parla è una donna che, oltre a quello di entrare in magistratura, ha coronato fortunatamente anche il sogno di formarsi una famiglia; numerosa per giunta.

Purtroppo per le donne magistrato, così come per tutte le lavoratrici -madri, il nostro paese non offre grandi opportunità, in termini di strumenti e risorse di ausilio alla genitorialità; calibrare e tenere in equilibrio i ritmi intensi del lavoro (con il peso delle enormi responsabilità che esso peraltro implica) con le esigenze concrete legate all’assolvimento dei doveri di madre e di moglie, si è rivelata tante volte un’impresa faticosissima e, confesso, in parte frustrante.

Dal confronto con tante mie colleghe, di cui conosco le capacità, la serietà e l’impegno professionale, è emerso un dato costante e un po’ sconfortante: tutte abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che c’era un prezzo da pagare per aver scelto di essere persone complete e per non aver voluto rinunciare alla realizzazione di una parte importante del nostro essere. Il prezzo è quello della fatica moltiplicata, dello scoramento, dell’ansia, della mancanza cronica di tempo, che a volte si traduce in senso di inadeguatezza, nella sensazione di non saper interpretare bene né il ruolo di madre, né quello di magistrato. Nulla di più ingiusto e sbagliato. In realtà quella parte di noi, quella che coltiviamo e nutriamo con il sentimento, e che apparentemente toglie serenità e tempo al nostro lavoro, è la parte migliore, quella che vale, per certi versi, più dei corsi di formazione e di aggiornamento; perché è la parte che potenzia la nostra umanità, che ad essa dà spazio, che rende più terreni, che  ci consente di praticare ed esaltare la nostra sensibilità e ci impone di metterci in gioco, nel mondo. Cosa c’è di più importante per un magistrato che giudicare un’altra persona con una logica “terrena”, guardando le cose con laicità e nella loro dimensione reale ed umana?

Ho divagato: la mia giornata lavorativa dura molte ore. Inizia con la sveglia alle sette e la preparazione della colazione per mio figlio più piccolo, che ancora va al liceo. Quando lui esce e gli altri ancora dormono, mi concedo il lusso di coccolarmi per 10 minuti con un cappuccino schiumoso, dando un’occhiata alla rassegna stampa. Al mio arrivo in ufficio, i ritmi incessanti non lasciano infatti tregua, a volte nemmeno per una pausa caffè. La giornata è scandita da mille impegni: udienze, turni, riunioni investigative con la polizia giudiziaria, conferimenti di incarico a consulenti tecnici, appuntamenti con avvocati… Fino a sera, sempre che il turno non ti costringa (per fortuna accade raramente) a stare fuori anche la notte. Non mi lamento però. Il mio è un lavoro bellissimo!

Se lei tornasse indietro rifarebbe il concorso in magistratura o farebbe altro?

A questa domanda ho praticamente già risposto. Certo che lo rifarei. Benché tutto il  percorso, a cominciare dalla preparazione a quel concorso, sia stato connotato da fatica e grandi sacrifici, la soddisfazione di fare bene il proprio lavoro e l’orgoglio di servire il proprio paese, traducendo in atto i valori in cui hai sempre creduto, rappresentano  un privilegio ineguagliabile .

Certo, qualche compromesso con me stessa ho dovuto farlo. E sicuramente qualche bel sogno è rimasto nel cassetto! Questa rinuncia ha a che fare con il mio senso artistico…  ma di questo non parlerò: è un segreto.

Come è arrivata a fare il magistrato? Vocazione, casualità, una famiglia alle spalle?

Per caso. Grazie al consiglio di uno zio che aveva “osservato” in silenzio il mio percorso di studi e comprendendo solo dopo aver preso la mia decisione di avere dentro di me un senso innato di giustizia. E sicuramente anche grazie alla presenza incoraggiante della mia famiglia, che mi ha aiutato e sostenuto, sia moralmente sia economicamente. Dunque, vocazione, casualità e famiglia alle spalle. Il superamento del concorso in magistratura, che fortunatamente mantiene negli anni le caratteristiche di una selezione pubblica molto seria e dotata di regole ferree e trasparenti, esige un livello molto alto di preparazione. Benché ai miei tempi si potesse accedere con il solo titolo della laurea in giurisprudenza, anche allora come oggi, era necessario per avere buone chances, arrivare strutturati e dunque integrare il proprio bagaglio di cultura giuridica, non solo attraverso l’approfondimento delle materie d’esame, ma anche frequentando corsi di preparazione specialistici e curando l’aggiornamento della giurisprudenza.

Il che imponeva e impone ancora adesso la necessità di abbandonare per un lungo periodo qualunque altra attività, per dedicarsi alla preparazione del concorso con sacrificio ed impegno. Si parla a volte addirittura di anni. Per questo la presenza di una famiglia alle spalle è indispensabile. E nel mio caso anche di un fidanzato paziente, non geloso del tempo che rubavo alla nostra storia e che non è mai entrato in competizione con la mia aspirazione!!

Come giudica le ultime disposizioni in tema di “presunzione di innocenza”? Lei crede che si tratti di una censura preventiva alla stampa? Insomma, di una sorta di bavaglio?

Siamo andati ben oltre ciò che l’Europa ci aveva richiesto. Siamo stati capaci di imporci regole inutili e nocive. Non so se l’obbiettivo fosse quello di imbavagliare la stampa, ma il rischio di una minore libertà si profila. Il giornalista per pubblicare una notizia relativa ad un’indagine in corso deve oggi attendere che il capo dell’ufficio o un suo delegato organizzi comunicati ufficiali o convochi una conferenza stampa. E non solo. Anche la conferenza stampa deve essere assunta con atto motivato “in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano”. Questa farraginosità e complessità si scontra con l’esigenza che impone oggi ai giornalisti di fornire alle redazioni notizie veloci ed aggiornate; inoltre ritengo criticabile anche la scelta di lasciare ai procuratori la valutazione dell’esistenza o meno di ragioni di interesse pubblico alla pubblicazione della notizia e dunque la discrezionalità nel consentire o meno la diffusione delle informazioni su indagini in corso. Per la verità, benché la legge nasca dal fine nobile di tutelare la persona indagata o imputata, sancendo il suo diritto a non subire la spettacolarizzazione dell’indagine, io credo che si tratti ancora una volta di una legge che nasce dalla diffidenza e dal pregiudizio nei confronti dei magistrati: si è ritenuto forse di poter recidere la “relazione pericolosa” che da anni alcuni ravvisano tra la stampa e gli uffici dei pubblici ministeri. Questo è il messaggio politico che, a mio avviso, si è voluto lanciare.

Lei è stata anche Commissario di esame per i nuovi giornalisti: crede che l’esame di Stato così come si fa oggi sia sufficiente ad accertare la professionalità e la formazione di un cronista?

Mi sono avvicinata per due volte a questa esperienza e l’ho affrontata con molta umiltà. Svolgendo il ruolo che mi era stato assegnato senza la pretesa di avere qualcosa da insegnare, ma con il solo desiderio di portare il mio contributo umano e professionale. E alla fine ho imparato moltissimo. Ho vissuto in simbiosi con i commissari giornalisti per tanti giorni e abbiamo trovato un’intesa perfetta. Ho apprezzato e ammirato l’intelligenza, l’ironia, la curiosità, la brillantezza dell’eloquio, la capacità personalissima di analisi e di sintesi. Nessuno di loro mi ha deluso. Qualcuno mi ha davvero conquistato! E ho capito quanto valga in questa professione la passione, l’entusiasmo, la curiosità, ma anche la voglia di non rimanere mai in superficie e di entrare sempre in profondità nelle cose del mondo.

E credo che sia il possesso o meno di queste caratteristiche che farà o non farà di questi ragazzi dei buoni giornalisti. L’esito dell’esame ha una relativa importanza. E infatti ciò su cui ci siamo concentrati maggiormente nella valutazione di idoneità dei candidati, è stata la capacità di analisi e di ragionamento. Oltre ovviamente alla conoscenza della storia passata e recente, “ferro del mestiere” del giornalista, senza il quale non si può leggere ed interpretare correttamente la realtà del presente. Qualcuno diceva che un popolo senza memoria è come un albero senza radici…

Ricorda il suo primo processo importante?

Ne ricordo tanti. Ma il primo processo di significativa rilevanza mediatica è quello che celebrai a Bergamo, mia prima sede, quando ero un giovane Pretore. Si trattava di un reato contestato al legale rappresentante di una nota acciaieria operante nell’interland bergamasco, avente ad oggetto le emissioni inquinanti prodotte dallo stabilimento industriale che colpivano  da anni le circostanti zone, peraltro assai popolate. Dalla celebrazione di quel processo, seguito molto dalla stampa locale, iniziò una campagna di sensibilizzazione, che portò in qualche modo all’ accelerazione da parte dell’amministrazione delle procedure di imposizione delle prescrizioni volte a ridurre le emissioni tossiche. Ero diventata quasi un’eroina!

Quanto affanno personale c’è dietro una sentenza, ma nel suo caso dietro un’inchiesta penale? Ha mai avuto il dubbio di aver commesso degli errori?

Purtroppo, il lavoro di un magistrato è connotato dal dubbio. Ma il buon magistrato deve coltivare il dubbio senza restarne prigioniero, perché la funzione giurisdizionale consiste nell’ operare delle scelte tra opposte istanze di giustizia, il che peraltro implica inevitabilmente distribuzione di sofferenza. Succede ogni volta che assumiamo una decisione, ogni volta che firmiamo un provvedimento. L’affanno personale, dunque, non può non esserci se lavoriamo con senso di responsabilità e siamo consapevoli delle ripercussioni che l’esercizio della giurisdizione ha sulla vita vera delle persone.

Lei ritiene che la gente comune possa ancora fidarsi del sistema giustizia?

Una giustizia efficiente è garanzia della tenuta democratica di un Paese. Gli italiani hanno diritto ad un’istituzione che sia rappresentata da operatori di giustizia capaci, onesti e seri. Hanno bisogno e desiderano rivolgersi con fiducia alla magistratura. Occorre quindi restituire loro la tranquillità di una tutela imparziale dei loro diritti, che può esistere solo se la stessa è affidata ad un’istituzione pienamente legittimata dal fatto di essere sana ed efficiente. L’efficienza è un presupposto indefettibile. Perché non è accettabile una giustizia lenta, incapace di rispondere con la qualità dei provvedimenti ma anche con tempestività; una giustizia carente di risorse umane e tecnologiche. Una giustizia vetusta e inadeguata spaventa i cittadini onesti e scoraggia gli investitori. Per questo avremmo auspicato una riforma sulla giustizia diversa da quella che si va profilando. Temiamo che il disegno riformatore che il Parlamento sta per approvare si muova lungo una direttrice opposta a quella che auspicavamo, perseguendo una restaurazione gerarchica anche degli uffici giudicanti (contesto in cui potrebbero ancora una volta prevalere le spinte al tanto deprecato carrierismo), ispirandosi ad una visione burocratica del lavoro dei magistrati, concentrandosi sulla necessità del “controllo” e mirando così solo apparentemente ad aumentare la quantità del lavoro svolto. Una riforma che noi riteniamo punitiva, ma soprattutto una riforma senza respiro e priva di modernità, che non ridurrà purtroppo di un solo giorno la durata dei processi.

Speriamo non sia l’ennesima occasione sprecata

 

Pino Nano – Già capo redattore centrale della Rai

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