La poesia ci salverà. Forse

Una raccolta di saggi della poetessa Sonia Giovannetti: La poesia, malgrado tutto. Editore Castelvecchi. Nonostante l’annullamento dello spazio-tempo, gli assalti alla cancellazione della memoria, il dominio della tecnica, la smaterializzazione della realtà a beneficio di una realtà "aumentata", ma in realtà "diminuita". Nonostante, malgrado: in questa preposizione-congiunzione c’è la speranza e la fiducia nel futuro della poesia.

Una volta fecero a Sant’Agostino una domanda: che cos’è il Tempo? Il vescovo d’Ippona rispose: io lo so che cos’è, ma se mi chiedi di spiegartelo non lo so. La stessa cosa, per molti aspetti, si potrebbe dire della Poesia.

La frase di Agostino può apparire paradossale, ma esprime un concetto che ha a che fare con l’ineffabilità. Con le cose che si sentono, si percepiscono, si vivono, ma che, portate a un livello di coscienza, di consapevolezza, di teorizzazione, risultano impalpabili, sfuggenti a una definizione.

Già, le definizioni. Sappiamo che definire è mettere confini, delimitare un territorio, e dove ci sono i confini ci sono insieme le colonne d’Ercole, che non bisogna oltrepassare, a che in realtà, come i confini e i limiti, sono fatte per essere superate, perlomeno da quando l’uomo esiste sulla faccia della Terra: egli ha sempre avuto in sé la tensione di oltrepassare e oltrepassarsi.

Tutto questo per dire che la poetessa, o poeta, Sonia Giovannetti ha avuto coraggio nel cimentarsi su un terreno, definire la poesia, che è già di per sé una operazione  ossimorica, perché la poesia è indefinibile per definizione, scusate il gioco di parole, perché appartiene al regno dell’ineffabile, insofferente di confini e finitudine, e sfuggente a ogni tentativo definitorio.

Della poesia si può dire ciò che si dice dello Spirito: soffia dove vuole (e aggiungeremmo: quando vuole); la poesia, ma anche l’arte in generale, e in fondo anche la scienza, ha a che fare con la scintilla di divino, e con l’ansia di trascendenza, consapevole o no,  che è nell’uomo. E fin dai poemi omerici il poeta si rivolgeva alle Muse, che in fondo erano dee, e nell’invocarle aspettava che l’ispirazione che da loro promanava “piovesse” sul poeta o gli infiammasse l’anima.

Sonia Giovannetti, all’attivo diverse raccolte poetiche, che unisce alla musicalità del verso una robusta tempra speculativa, da cui traspare un grande amore per la filosofia, sembra consapevole delle difficoltà di penetrare la sostanza, l’essenza della poesia, non ignora la natura noumenica ( per usare un lessico kantiano) della poesia, la natura più profonda, e perciò fa una operazione di circumnavigazione intellettuale cogliendo tutte le sfaccettature fenomeniche e fenomenologiche del fare poesia.

Dove non sono possibili le definizioni – di per sé limitanti e limitative – si può bene procedere con le operazioni di descrizione della poesia e del fare poetico.

E perciò l’autrice enuncia la nozione di poesia, di arte, non solo come un fare ma anche come un conoscere, secondo la nota formula vichiana: verum ipsum factum. Si conosce solo ciò che si fa. Una formula che ha, lo diciamo di passaggio, feconde implicazioni anche nella scuola attiva e nella didattica.

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“La poesia, malgrado tutto” è una raccolta di saggi che l’autrice, pur continuando a poetare, ha scritto nell’arco di tre anni: un tempo sufficiente per garantire una certa compattezza e coerenza di fondo. Anche se, nota la stessa poetessa, nel corso dei tre anni si è un po’ attenuato il pessimismo sulle sorti della poesia, in un mondo globalizzato, dominato dai social, dall’inaridirsi degli spazi di umanità e di vera comunicazione tra le persone, per passare a una visione più fiduciosa nella capacità della poesia di servirsi, in forme nuove e inedite rispetto al passato, delle possibilità offerte dalla stessa tecnologia.

Nei saggi, l’autrice mette n relazione la poesia e il tempo; i rapporti della poesia con l’arte e la scienza; il dispiegarsi della poesia nel rapporto bipolare ragione e sentimento; la relazione tra poesia e politica; tra la poesia e la filosofia.

Colpita da un aforisma di Alain ogni pensiero comincia con una poesia, Giovannetti sottolinea le radici germinative del fare poetico che è nutrito in primis di pensiero, come del resto ci insegna il mito. In principio c’era il mito: e che cosa erano i miti se non figurazioni poetiche e immaginifiche di profonde verità che hanno a che fare con la vita umana e la storia?

Di qui a dire che la radice della filosofia, e in parte della scienza, è la poesia, il passo è breve. Questa natura primigenia della poesia fa dei poeti dei visionari, dei rabdomanti del sottosuolo umano, dei disvelatori del mistero della vita e della morte, dei precursori e dei profeti. Perché oltre al pensiero nel poeta c’è immaginazione, di cui non solo l’artista ma anche lo scienziato ha bisogno nella sua ricerca.

È il possesso di queste facoltà a fare di un uomo un artista o uno scienziato.

Sulla testa di quante persone nel corso dei secoli è caduta la mela, prima di Newton? E non è successo niente. Ma Newton si pose il problema, mosso da curiosità e spirito di immaginazione, quale poeta della scienza: ricercò, penetrò, come fa il poeta, nel labirinto della natura e delle sue leggi, e scoprì la legge gravitazionale. Lo stesso Einstein dirà quanto l’intuizione sia stata la molla scatenante della sua straordinaria creatività, ci ricorda Sonia Giovannetti.

Come lo scienziato scopre le regole che governano il mondo della natura, e da Freud in poi anche quelle della psiche, così, con intuizione e immaginazione ma anche con lampi del pensiero, il poeta scopre “leggi” che governano le emozioni, l’animo degli uomini, le loro passioni, le gioie e i dolori.

E nello scoprire queste leggi, il poeta crea “nuovi mondi”, spesso anticipando la scienza. La poesia e i poeti furono banditi, diciamo pure snobbati, nella visione del governo dello Stato concepita da Platone, anche se – nota con qualche arguzia Giovannetti – il filosofo greco li bandi usando un linguaggio poetico, com’ è del resto nella vis linguistica e lessicale dei suoi Dialoghi. Poi, possiamo aggiungere, nel corso dei secoli a smentire Platone ci pensò Lorenzo il Magnifico, poeta e reggitore di Firenze, e ai tempi nostri Leopold Senghor, poeta e presidente del Senegal.

La poesia e i poeti furono però rivalutati da Aristotele, al punto di vedersi assegnata una dote in più rispetto agli storici: Tra lo storico e il poeta la vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere.  in realtà, ci permettiamo di osservare che anche la poesia racconta fatti realmente accaduti, la guerra di Troia, per es) “Perciò – argomenta Aristotele, citato da Giovannetti – la poesia è qualcosa di più filosofico ed elevato della storia”.

“Sono stata molto colpita – afferma l’autrice di La poesia, malgrado tutto  – da questa definizione della poesia come espressione della possibilità dell’accadere delle cose (come anche, lo confesso, da quelli che a me sono parsi i primi timidi accenni a una concezione di autonomia dell’opera d’arte rispetto all’oggetto che la ispira, che anticipa di molti secoli analoghe e più compiute riflessioni dell’estetica contemporanea;  è capitato anche a me di alludere al futuro come presentimento, presagio di cose possibili”. A testimonianza, l’autrice cita questi versi della sua poesia Un lampo di sole, tratto dalla raccolta  Dalla parte del tempo:

Parlerà di stelle e di lanterne

Lungo la riva del fiume

Gli argini diverranno foce.

Avremo le mani colme di attese

E qualche cosa di chiaro dentro

 Come un abbraccio che

Tra tanta miseria, riscalderà il cuore

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Sonia Giovannetti appartiene alla schiera degli autori di poesie nutriti di pensiero, e questo spiega la sua predilezione verso poeti filosofi – Leopardi in primis, Montale, Holderlin, Nietzsche,  lo stesso Quasimodo, di cui ama citare un brano del discorso che il Premio Nobel di Modica fece all’Accademia di Svezia: Il politico si occupa dell’ordinamento dell’uomo, il poeta si occupa dell’ordine dell’uomo.

 

Ma, soprattutto, Giovannetti giustamente confuta, nei suoi saggi, il pregiudizio di una certa cultura contemporanea secondo cui solo alla filosofia spetterebbe il privilegio del pensiero, mentre alla poesia quello dell’intuizione e del sentimento. Non c’è, non ci può essere, pare di capire leggendo i suoi saggi, una schematica e precostituita  “divisione del lavoro” nell’ambito della scienza e delle arti e tra le arti e la scienza. Ogni discorso in contrario sarebbe un omaggio indebito a una visione divisoria tra le due culture, umanistica e scientifica, mentre la cultura, rapportandosi alla totalità dell’essere umano, deve ambire a una totalità unitaria pur nella diversa specificità dei suoi metodi e dei suoi ambiti.

La poesia, secondo Giovannetti deve ambire –  e qui cogliamo qualche azzardo “corporativo”, forse dovuto all’entusiasmo con cui esprime le sue convinzioni – a una sorta di primazia, di primato sulle altre arti, in nome di alcune caratteristiche del suo procedere: scoperta di mondi, disvelamento del mistero che circonda l’essere, risposta alla insoddisfazione dell’uomo e alla sua ansia di infinito.

Osserviamo però che alcune di queste caratteristiche della poesia le possiedono anche altre arti: la musica per esempio, ma anche la pittura, per non parlare dell’architettura che uno scrittore ( Carlo Dossi) una volta definì “musica pietrificata”.

Questo asserito primato della poesia sulle altre arti, come massima espressione dell’ineffabile, dell’indicibile, forse si spiega con il fatto che la lingua poetica si esprime con parole e dà la sensazione (a volte illusoria, perché certe poesie sono difficili)  che tutti la capiscano, mentre non tutti conoscono, per esempio,  la lingua della musica: non solo le note ma proprio il linguaggio musicale.

Ad ogni modo, nelle pagine degli scritti di Sonia Giovannetti, che meritano una lettura attenta e analitica, perché densi di pensiero, di riflessioni, di citazioni di poeti, scienziati e filosofi, “si accampano, come di gitto”, per citare un verso di un poeta caro all’autrice, Eugenio Montale, tutte le “manifestazioni”, le rivelazioni, i gesti epifanici della poesia: che non è ornamento, o condimento della vita, non è  – dal punto di vista politico – stampella della politica o megafono, e pur avendo un contenuto sociale e civile anche quando parla dell’interiorità dell’uomo, non suona il “piffero per la rivoluzione”, secondo la formula di Elio Vittorini, che la rifiutava in polemica con Togliatti.

La poesia non è qualcosa che si aggiunge alla vita, ma è l’epifania della vita, un suo meraviglioso, profondo modo di manifestarsi, nel bene e nel male, nel dispiegarsi dei destini umani.

La poesia non è un lusso, un canto sotto un cielo sempre limpido. C’è anche la poesia delle ore tragiche, del crepuscolo dei valori umani, della vita e della storia abitata da mostri. Perciò non è molto convincente Theodor W. Adorno quando disse: dopo Auschwitz non si può più fare poesia. Come dire: davanti all’orrore, il poeta tace. Qualcosa del genere scrisse Quasimodo, riferendosi all’orrore nazifascista: “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore?”

Per poi concludere: alle fronde dei salici per voto anche le nostre cetre erano appese. Oscillavano lievi al triste vento.

D’accordo, ma la poesia non è solo canto di gioia, è anche canto del dolore. E se il poeta tace, non è un buon segno. Le parole dei poeti ci possono salvare, almeno fino a quando, per ricordare i versi di un poeta civile, “il sole risplenderà sulle sciagure umane”

 

Mario NanniDirettore editoriale

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