Il presidente taumaturgo.
Ecco quattro motivi per cui non lo è

Mettiamo le mani avanti. Chiunque sarà eletto presidente della Repubblica non determinerà lo sviluppo generale della Nazione. Appartiene al carattere del popolo italiano la credenza, meglio: l’illusione, che l’avvenire della società sia nelle mani di qualche supremo governante. 

L’andamento della discussione, per quanto estenuante e banale, sul miglior presidente possibile sembra dimostrare la fede che gli italiani ripongono nel Quirinale, nell’uomo e nella carica. Che il presidente della Repubblica possegga in diritto o, all’occorrenza, eserciti di fatto una serie di poteri notevoli e addirittura decisivi in certe specifiche contingenze, è fuori discussione. Tuttavia, nessuno di tali poteri è politicamente determinante, addirittura miracoloso. Il presidente non è un taumaturgo. Non opera prodigi economici o sociali. Né può essere riguardato sotto il profilo del salvatore. 

L’enfasi straordinaria quanto ingiustificata che le forze politiche hanno posto sull’ultima elezione presidenziale è stata generata innanzitutto dall’avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi, insediatovi quale demiurgo del Piano di rinascita. Il presidente del Consiglio ha scombussolato il Palazzo sia per le qualità personali, sia per il mandato ricevuto, sia, soprattutto, per l’ingombro sulle aspettative dei partiti e sulle aspirazioni dei concorrenti. Come un pericoloso calabrone penetrato nell’alveare, ha fatto impazzire le api.

L’iperbolica esagerazione del processo elettorale del presidente della Repubblica ha pure altre cause, che emergono per contrasto. La prima delle quali sta nella sostanziale impotenza delle forze politiche, attestata pure dall’inconcludente chiacchiericcio che affligge da settimane pure gli interessati. L’impotenza delle forze è un bell’ossimoro. Non in politica però, dove le leggi fisiche non valgono. Se i partiti non riconnettessero al presidente della Repubblica la virtus portentosa miracolorum auctoris non si sarebbero dati un tal daffare da aver dimenticato tutto il resto, soprattutto il peso dei macigni sulle spalle della nazione. Un peso che dovrebbero sentire pure loro.

Una seconda causa consiste nell’intento di dissimulare l’impotenza accreditando presso il popolo l’idea vigliacchetta che l’andamento della cosa pubblica, al dunque, non dipende o non dipenderà da loro ma da lui, dal presidente della Repubblica, l’autocrate che di lassù ha il vero potere di fare che a loro è negato non dalla propria incapacità ma dalla pania del sistema istituzionale.

La terza causa riguarda la posizione stessa del presidente, che i politici dicono di volere super partes purché parteggi per loro. Sennonché, come non è taumaturgo, così il presidente della Repubblica non è neppure iperboreo. Quindi cercare di scusare il ritardo o l’impasse della scelta con l’estrema difficoltà di trovare un taumaturgo iperboreo risulta fragile pure come finzione.

La quarta causa ha a che fare con una sorta di rifiuto della responsabilità e con un certo piacere dell’estenuazione, che confluiscono nella sindrome dell’ultimo momento, tipicamente italiana. Nulla impedisce, come pure è accaduto in passato, sebbene per eccezione, che il fatidico eligendo venga individuato per tempo e votato alla prima chiama. 

Se potessimo parlare fuori dai denti, come imporrebbe la “verità effettuale” cara a Machiavelli e come sconsiglia invece il rispetto dovuto all’altissima magistratura, confesseremmo che tutta la barocca procedura appare bizzarra quanto meno perché viene votata una persona che non risulta formalmente candidata (sic!) ma in pectore, mentre gli elettori disquisiscono di figurini ideali e i media rimbombano di vane cicalate. 

Insediare il capo dello Stato ha la sua importanza, parimenti per i rappresentanti e i rappresentati. Ma risolve poco o nulla dei gravissimi problemi generali del Paese, che il presidente della Repubblica, anche volendo, non può risolvere né spetta a lui risolvere.  Problemi che l’indomani restano lì, tali e quali.

 

Pietro Di Muccio – Direttore emerito del Senato della Repubblica, Ph.D. dottrine e istituzioni politiche 

 

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