Guzzanti: Tra giudici e Governo è scontro, ma la magistratura non è un potere, è un servizio

Secondo Paolo Guzzanti gli inevitabili scontri tra Magistratura e Governo nascono dal fatto che quest’ultima viene considerata un potere, non un servizio. E che la Costituzione italiana non mette al centro il concetto di libertà, ma quello di lavoro

Atto dovuto o atto voluto? Le possibili frizioni tra Governo Meloni e Magistratura sono la dominante politica di questi giorni. Prima con l’approvazione del testo sulla separazione delle carriere alla Camera, accolto malissimo dai magistrati. Poi con l’annuncio dello stesso Presidente del Consiglio di essere indagata, insieme ai ministri Nordio e Piantedosi, e al sottosegretario Mantovano (delegato si Servizi Segreti), per il controverso caso Almasri. Secondo la Meloni all’origine dell’indagine c’è la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti. Si tratterebbe di un “atto dovuto”, un passaggio inevitabile dati i reati denunciati: favoreggiamento e peculato (per il rimpatrio di Almasri è stato usato un volo di stato), verso il Tribunale dei Ministri.
Indipendentemente da cause, effetti ad esiti, l’atmosfera sembra quella di uno scontro tra poteri. Beemagazine ha chiesto il parere di Paolo Guzzanti, politico che ha attraversato stagioni importanti, saggista colto, e giornalista di lungo corso. Guzzanti ha recentemente pubblicato “La grande truffa, Potere e magistratura: perché siamo un paese senza verità” (Piemme)

Atto dovuto o atto voluto quindi?

Non sono un “giurisprudente”, ma il punto non è il merito giuridico, il punto è la risonanza e l’uso di un atto.

Quindi?

È chiaro che è un gesto da mettere in relazione con la questione della separazione delle carriere dei giudici. 

Alla quale lei è favorevole?

Ma naturalmente. I magistrati hanno tutti la toga nera, quello che accusa e quello che giudica sono uguali. Mentre se entri in un tribunale di un paese anglosassone chi fa l’accusa è un avvocato, che lo fa di mestiere o per un periodo. La figura del pubblico accusatore non ha niente a che fare con quella del giudice giudicante.

Due filosofie opposte

Sa qual è la questione vera?

Ci dica

La magistratura non deve essere un potere, come nella famosa divisione esecutivo, legislativo, giudiziario. Deve essere un servizio pubblico.

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È paradossale, e anche faticoso, che si debba spiegare questo concetto: in una democrazia il potere sta tutto (non ne avanza manco lo zero virgola) soltanto in mano al al popolo elettore. Poi ci sono le altre cose: le regole, la Costituzione, il Presidente della Repubblica, tutto ciò che costituisce l’apparato dello Stato, che è volto a dare le garanzie ai cittadini. E lo scopo della giustizia è appunto rendere giustizia ai cittadini, non favorire un insieme di persone, per quanto prestigioso e autorevole. Spiego meglio, non è che tra i magistrati non ci siano ottime persone, che fanno il loro lavoro con spirito, appunto, “di servizio”…

Una volta un giudice disse che il ruolo della legge deve essere “residuale”, cioè che deve arrivare dopo la politica, la cultura, e i normali mezzi del vivere civile.

E invece a volte svolge un ruolo “suppletivo” rispetto a una mancanza d’essere della politica, o almeno vorrebbe farlo. Ripensiamo a Mani Pulite… 

Nel dettaglio, a cosa?

Il famoso “pool” il quale ricattò il Parlamento di fronte al decreto Biondi del ‘94, dicendo “o ritirate il decreto o noi il pool ci dimettiamo in massa” mettendo in crisi tuttal’organizzazione della Magistratura. Purtroppo il Parlamento non seppe tenere la sua posizione, non seppe sfidare i magistrati del pool. Avrei voluto vedere se una cosa del genere l’avessero fatta i militari. Sarebbe stato visto come un putsch. 

Cosa ne è seguito?

31 anni nei quali certa magistratura è intervenuta su tutto e tutti. Non tutta, eh. Ma il procuratore di Napoli, Gratteri, fa conferenze in cui spiega perfino come si debbano educare i figli. C’è una certa vocazione all’intrusività, e al personalismo, da parte di certe frange della Magistratura, ammettiamolo. 

Un ruolo più politico-culturale che di servizio, quindi…

Mettiamola così: ci sono due servizi particolarmente delicati, che sono la difesa e la giustizia. Sono talmente delicati che in tutti i paesi le persone che li svolgono hanno un’uniforme, sia la divisa dei militari o la toga del giudice. Queste uniformi sono simboli. Significano lo spogliarsi della propria individualità, e dei propri personalismi, per rappresentare lo Stato, cioè i cittadini. Così, almeno, dovrebbe essere. 

C’è un motivo “strutturale” italiano per cui questo avviene con difficoltà? 

Ecco, se si riscrivesse la prima parte della Costituzione le cose starebbero in modo diverso. Lo dico da anni, spudoratamente, e molti mi prendono per un pazzo completo. La Costituzione italiana non è fondata sulla libertà, è fondata sul lavoro. Alla libertà ci arriva, mi sembra, all’articolo quattro, quando parla di libertà di associazione. 

Per cui posso iscrivermi all’associazione, al partito, al sindacato, alla bocciofila, ma il punto di partenza non è la mia libertà personale?

Esattamente questo è il problema. 

Una sorta di imprintig collettivista?

Poi, in quel clima, tra il PC e la Dc, i preti, il Papa, Stalin, L’America pronta alla guerra. chi ha fatto la Costituzione merita un monumento. È stata una grande sintesi. Ma ormai di un’altro mondo, di un altro paese, di un’altra epoca, che non c’è più. Quella italiana è una costituzione di un paese estinto, perché per fortuna e nel bene e nel male, l’Italia ha trotterellato verso la democrazia. 

Quindi c’è più necessità di libertà individuali?

Userei più il concetto di “persona”. La dignità della persona, il bambino, il vecchio, il malato, il giovane, bello, brutto, povero, ricco, è la singola persona che merita di essere tutelata. Invece abbiamo una Costituzione che è “fondata sul lavoro”, ma il lavoro non c’è. Il vero problema è che il tema della libertà non è stato assunto fino in fondo.

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