Elezioni Usa, Mineo: gara aperta, ma prevale la visione del mondo dei Repubblicani

L’ex direttore di RaiNews24: “Harris ha svelato le bugie di Trump, la nuova destra recupera la “disobbedienza civile” e non vuole interventi dello Stato Federale su quelli locali”

Corradino Mineo, siciliano trapiantato a Roma, laureato in filosofia, è giornalista, conduttore televisivo e politico. Assunto poco più che ventenne al “Manifesto”, entra in Rai dalla sede di Torino dove inizia la sua carriera nel servizio pubblico: diventerà vicedirettore del Tg3, corrispondente a Parigi e New York, infine direttore di Rainews24 dal 2006 al 2013. Nello stesso anno si lascia tentare dalla politica e viene eletto senatore del Pd, poi si avvicinerà brevemente a Sel. Con BeeMagazine discute della campagna elettorale statunitense.

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma secondo lei come andrà a finire?

Kamala Harris ha avuto il merito di riaprire la competizione elettorale. È riuscita a mostrare le rughe di Trump – che dopo il dibattito televisivo è apparso stanco e un po’ confuso – e l’odio che gronda dalle sue menzogne, ad esempio sugli immigrati haitiani a Springfield e sui governatori Democratici che consentirebbero l’aborto al nono mese. Ha anche messo in luce il narcisismo debordante dell’ex presidente: dirgli “io penso agli americani, tu a te stesso” è stato un colpo basso efficace.

Eppure?

Il punto è che la visione del mondo dei Democratici è meno in sintonia con il sentimento americano di quella dei Repubblicani. Harris dice: basta odio, vi unirò, restiamo i migliori, tessiamo alleanze e siamo rispettati nel mondo. Si richiama alla “nuova frontiera” di Kennedy o allo “Yes we can” di Obama. Ma queste parole cadono nel vuoto. Gli americani non vogliono essere uniti. Sono pessimisti: vedono il nemico al loro interno. Questo si capisce poco da questo lato dell’Atlantico.

Dove e come nasce questo pessimismo?

Da vent’anni la destra americana ridefinisce la storia spaccandola a metà e prendendone solo una faccia, come il “Visconte Dimezzato” di Italo Calvino. Un certo spirito puritano e intollerante esiste da secoli nella loro società ed è stato necessario per affermarsi, ma accanto alla caccia alle streghe di Salem costruivano Harvard e Yale. Nel 2004 ho visto nascere un fenomeno nuovo e diverso: i Dem credevano che bastasse portare quattro milioni di persone alle urne, e lo fecero, ma Karl Rove ne portò il doppio per George Bush. Erano quelli che condividevano gli attacchi ai medici abortisti e portavano pane e acqua a Terry Schiavo, la donna in coma a cui il marito voleva sospendere la nutrizione artificiale.

Kamala Harris
Kamala Harris
Un movimento che sedimentò?

È una cultura nata a pezzi. Nel 2010 è tornato il Tea Party della guerra di Indipendenza, ovvero la rivendicazione che le tasse non sono dovute se l’azione del governo non è condivisa. In fondo, un recupero della “disobbedienza civile” codificata da Davd Henry Thoreau a metà dell’Ottocento. Anche il tema del rapporto tra Stati e Federazione è tornata in grande spolvero grazie alle sentenze della Corte Suprema che sanciscono la prevalenza dei primi sulla seconda. D’altra parte, il secondo emendamento della Costituzione americana, oltre al diritto di portare armi, considera “necessaria una milizia ben organizzata” per difendersi allora dal Regno Unito oggi dallo strapotere del governo federale: è chiaro che il contesto era diverso da quello attuale, ma la destra legge la Carta come i Talebani leggono il Corano.

È in atto un’operazione culturale prima che politica?

È così. Nelle Costituzioni europee dopo la Rivoluzione Francese c’è il concetto di bene comune, in quella Usa c’è il diritto alla felicità del borghese proprietario, diritto da difendere quando lo Stato gli chieda di rottamare il diesel o introdurre nei programmi scolastici la difesa delle minoranze etniche e sessuali. Nel 2016, con la Brexit, abbiamo visto l’isolazionismo, poi la furia anti-establishment, ora la minaccia della più grande deportazione di massa di immigrati. Il sogno americano vale per chi ha avuto successo, gli altri vanno lasciati fuori dal muro con il Messico. Trump ha recuperato nel discorso pubblico anche i “patrioti” dell’assalto a Capitol Hill: se Washington è la città del peccato, lui ha diritto di cacciare a pedate le forze del male.

Donald Trump
Ma una narrazione così aggressiva funziona?

Su questa visione è stata costruita una nuova destra molto forte. L’idea che Trump possa risolvere i problemi del mondo parlando con Kim e Putin è ovviamente ridicola. Ma la tesi che il bene dell’America coincidesse con il bene di tutti, l’ordine mondiale sancito a Yalta e il mantenimento dell’Onu, sembrano alla destra idee da rottamare. America First e Make America Great Again significano che conta solo il loro interesse. La forza politica e militare Usa non ha più bisogno di alibi. Non servono alleati, bastano i rapporti bilaterali. Non si tratta più di esportare la democrazia. Ci sono i puritani ma non più i missionari.

Se questo è lo scenario, non ci sono molte speranze per Harris…

Non è detto. La destra americana è la madre di tutte le destre: da noi in Europa arrivano i suoi epifenomeni. Ma c’è un pezzo di società che non sa bene cosa vuole però respinge quella visione del mondo. Nel 2020 la scelta del movimento Black Lives Matter di inginocchiarsi davanti alla bandiera, in un gesto non violento di resa, fece infuriare la destra ma funzionò. E adesso, dopo il ritiro di Joe Biden, le tante micro-donazioni di giovani a favore di Kamala hanno rappresentato un intervento salvifico dell’opinione pubblica.

Joe Biden
Come si spiega l’impopolarità di Biden e prima ancora la debolezza dello storytelling dei Dem?

Chi se ne stupisce sostenendo che l’economia va bene, crede ai numeri anziché alla realtà ben più sfaccettata. Che la politica estera non conti nelle scelte elettorali è vero fino a un certo punto: la gente magari non sa dove è lo Yemen, ma percepisce di non essere competitiva nel commercio né rispettata dai partner, e che le conseguenze costeranno lacrime e sudore. La debolezza dei Dem sta nella loro nostalgia del passato che saldava l’interesse imperiale al buonismo dei valori. Ma l’imperialismo non ha più bisogno di ideologie. Oggi il G7 conta il 40% del Pil mondiale, meno dei Brics.

C’è un modo per i Democrats di riprendersi l‘egemonia culturale?

Dovrebbero avere il coraggio di dire agli elettori che l’impero è finito, non sono più una superpotenza, nella competizione con Pechino sacrifici saranno necessari.

Ultima domanda. I due attentati a Trump lo favoriscono nella campagna elettorale?

Sì e no. Si è giocato due carte. Nel primo attentato, il pugno alzato iconico e l’orecchio insanguinato. Nel secondo – che ha molte zone d’ombra perché il cecchino era a 500 metri di distanza senza teleobiettivo – ha incolpato l’odio di Harris verso di lui. Ma questi rigurgiti di violenza inducono molti a ritenere che il pericolo sia proprio il narcisismo di Trump: segnalano che è fuori dal coro, nel bene e nel male.

 

 

Federica Fantozzi Giornalista

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