Nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso il proprietario di una vastissima area boscata retrostante alla piccola spiaggia di Portoselvaggio avanzò un progetto di lottizzazione che avrebbe interessato la vasta radura, denominata “la Lea” esistente fra il bosco e la scogliera. Quel progetto di lottizzazione fu efficacemente contrastato da un’azione di sensibilizzazione e di opposizione nella città e nel Consiglio Comunale. Messi sull’avviso da alcune scritte murali eseguite da studenti universitari tornati a Nardò dalle città in cui studiavano, i giovani di Nardò si informarono adeguatamente e poi si mobilitarono per sensibilizzare le organizzazioni politiche neritine, in particolare PSI e PCI, affinché si opponessero alla lottizzazione.
A proposito, andrebbe ricordato innanzi tutto un articolo redatto dal giovanissimo Marcello Tarricone e pubblicato su un giornalino studentesco che fu letto in molti ambienti e contribuì a sensibilizzare buona parte dell’opinione pubblica. Nel PSI e nel PCI, che negli anni precedenti si erano mostrati alquanto tiepidi verso il progetto di lottizzazione, prese il sopravvento una fortecoscienza ambientalista che fu la base della successiva battaglia per la salvaguardia dell’area di Portoselvaggio. Vale anche la pena di ricordare il forte ostruzionismo posto in essere dai consiglieri comunali socialisti, comunisti e dal consigliere missino, volto aritardare l’eventuale voto favorevole alla lottizzazione da parte della maggioranza dc. Da ricordare anche un seguitissimo comizio pubblico tenuto dall’Avv. Pantaleo Ingusci in difesa di Portoselvaggio e l’opera instancabile di sensibilizzazione dell’Avv. Salvatore De Vitis, all’epoca Presidente della Sezione Salento Ovest di Italia Nostra. Successivamente, il progetto di lottizzazione e lo scempio ambientale che ne sarebbe derivato vennero sventati, DEFINITIVAMENTE, con l’approvazione della legge regionale istitutiva del “Parco regionale naturale di Portoselvaggio e Baia di Uluzzo”, una legge redatta, presentata e fatta approvare nel 1980 ad opera principalmente di Luigi Tarricone (PSI) e di Antonio Ventura, all’epoca rispettivamente Presidente del consiglio Regionale e Capogruppo PCI nello stesso Consiglio.

C’entra davvero Renata Fonte con Portoselvaggio?
Tutto ciò avvenne quasi quattro anni prima dell’assassinio della povera Renata Fonte. Le ricostruzioni successive delle dinamiche e delle ragioni che portarono all’uccisione di Renata risentirono di motivazioni e obiettivi che nulla hanno a che fare con la storia vera della salvaguardia di Portoselvaggio, perseguita da migliaia di cittadini e da decine di rappresentanti dei consigli comunale e regionale. Aver collegato l’uccisione di Renata Fonte con la battaglia per impedire la cementificazione di Portoselvaggio ha costituito un grave anacronismo (e quindi un falso storico) ed ha offerto obbiettivamente una specie di alibi all’incapacità (?) – da parte di chi di dovere – di individuare le responsabilità di primo livello (superiore a quello di Spagnolo, un farabutto collegato con i vertici provinciali del suo partito), pure adombrate ma non sufficientemente indagate nel corso della lunga vicenda giudiziaria scaturita dalla morte di Renata, che probabilmente ebbe il solo torto di confidarsi con le persone sbagliate.
È del tutto condivisibile l’argomentazione secondo la quale la morte della Fonte non può che essere collegata alla sua funzione pubblica, politica e amministrativa, come venne evidenziato anche nella trasmissione “Telefono giallo” condotta alcuni anni dopo l’assassinio da Corrado Augias. Infatti, una telefonata da Nardò nel corso di quella trasmissione adombrò l’ipotesi che la lottizzazione contro la quale si era battuta la Fonte sarebbe stata quella che, nell’area di Bellimento, era stata già tracciata abusivamente ma che non ebbe compimento dopo la morte di Renata. Sulla base di tutto ciò, si rivela senza fondamento (né storico né logico) la narrazione secondo la quale il sacrificio di Renata sia da collegare alla salvaguardia di Portoselvaggio.
Anche i tentativi insensati di collegare l’azione della Fonte con l’allargamento dell’area protetta di Portoselvaggio-Uluzzo alla Palude del Capitano, portati avanti da chi si è mosso (con interesse?) negli anacronismi, sono incomprensibili, tenuto conto che questo allargamento è stato realizzato nel 2006, quindi ben ventidue anni dopo la morte di Renata.
La testimonianza e il sacrificio di Renata non sono stati dimenticati
Avverto l’obbligo di sottolineare che la testimonianza e il sacrificio della nostra concittadina non sono stati né isolati né dimenticati. Un monumento funebre, l’intitolazione di una Scuola e una targa apposta in uno dei luoghi più suggestivi del nostro territorio, sono la dimostrazione evidente che non ci si è dimenticati del sacrificio di una donna che ha perseguito con onestà e determinazione gli interessi democratici della comunità neritina. Alla memoria di Renata Fonte, educata alla democrazia, all’antifascismo, all’ambientalismo ante litteram dal grande Pantaleo Ingusci (suo zio), si riservino ulteriori dedicazioni e riconoscenze. Va benissimo! Ma non si falsifichi la storia, speculando su una morte che ci colpì tutti, per i tornaconti di alcuni
approfittatori