Come va davvero il mondo? Ce lo spiega “Barocco Globale”

La mostra Barocco globale (Scuderie del Quirinale, Roma, fino al 13 luglio) fa riflettere non solo sul contenitore di meraviglie che è la Città Eterna, ma anche sul convergere di linguaggi, stili, culture che danno la misura del mondo. Da Matteo Ricci a Van Dyck a Bernini

La mostra Barocco globale. Il mondo a Roma nel secolo di Bernini, fino al 13 luglio alle Scuderie del Quirinale, esplora le relazioni tra Roma e il mondo globale usando come strumento le arti visive, l’editoria e la cultura materiale. Il titolo concentra l’attenzione sul ’600 ma la mostra risale ai prodromi cinquecenteschi per rendere meglio comprensibili un cosmopolitismo e un transculturalismo insiti nel tessuto sociale e politico romano ma poco noti al pubblico non specialista e abituato ai nuovi razzismi.

Francesco Caporale, Busto di Antonio Manuel Ne Vunda, particolare, 1608, marmi policromi. Città del Vaticano, Basilica Papale di Santa Maria Maggiore © Capitolo di Santa Maria Maggiore, Città del Vaticano

“Un tempo io credetti che la sapienza consistesse in una molteplice esperienza, e così non rinunciai a percorrere una distanza di diecimila li [unità di misura cinese che indica un lungo viaggio] per andare a interrogare uomini savi e visitare paesi celebri”. Il gesuita Matteo Ricci scrisse in cinese questa affermazione di vorace voglia di conoscenza al centro della rappresentazione dell’Oceano Pacifico nella xilografia con la Carta geografica completa di tutti i regni del mondo. L’illustre sinologo, fondatore della missione cinese alla fine del XVI secolo, affida a un lavoro cartografico la testimonianza più completa ed emozionante del dialogo culturale instaurato grazie alla sua impresa diplomatica. Ricci, infatti, pubblica la grande carta nel 1602 in collaborazione con Li Zhizao, cartografo e letterato che si occupa dell’incisione delle matrici.

La storia del mondo attraverso la storia dell’arte

La mappa originale completa è presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, ma una stampa su carta in 6 pannelli è esposta fino al 13 luglio nella sala dedicata a La chiesa e il mondo nella mostra Barocco globale, curata da Francesca Cappelletti (Direttrice della Galleria Borghese e a lungo professoressa di Storia dell’arte moderna e dei paesi europei a Ferrara) e Francesco Freddolini (che insegna Storia dell’arte moderna alla Sapienza). Vi si vedono i doni reciproci tra ambascerie e i ritratti memoriali di diplomatici, scaturiti da missioni religiose e colonizzazioni: ritratti in scala al vero, come quello dell’ufficiale savafide ‘Ali-qoli Beg ritratto da Lavinia Fontana nel 1609 in occasione dell’incontro con Paolo V; quello di Nicolas Trigault dipinto dalla bottega di Rubens; i ritratti, che formano un dittico tessuto di sola luce, dei coniugi Shirley eseguiti da Van Dyck (uno dei pregi della mostra risiede nell’avere ottenuto prestiti di opere altrimenti difficilmente visibili). Un insieme inedito per il pubblico è esposto nella vetrina che racchiude fragili paramenti sacri fatti di piume di uccelli vividamente colorate, una tecnica che già nel ’500 suscitava l’ammirazione di Dürer. Il pezzo di punta della teca è la mitra decorata con piume che papa Pio IV donò all’arcivescovo ambrosiano Carlo Borromeo.

Sebastiano del Piombo, Ritratto di cardinale, 1512-1515 ca., particolare, olio su tela, 88×69 cm, Dublino, National Gallery of Ireland, inv. NGI. 783

Quel Gian Lorenzo Bernini che funge da richiamo nel sottotitolo della mostra è rappresentato da un altro dei prestiti rilevanti della mostra: il modello della Fontana dei Quattro Fiumi per Piazza Navona, nel quale la prima versione del Rio della Plata risponde a uno stereotipo iconografico nel quale venivano inquadrati fin dal Cinquecento gli indigeni delle Americhe.

La storia globale illustrata nella mostra attraverso la storia dell’arte non è idilliaca né univoca. È una storia in cui un diplomatico congolese, Antonio Manuel Ne Vunda, è onorato da Paolo V con la prima e unica tomba in una basilica papale, ordinata dal pontefice stesso e ornata da un busto in marmo nero (evocante il colore della pelle africana) e commesso di marmi preziosi ricavato da Francesco Caporale a partire da una maschera funebre. È anche una storia in cui ci sono decine di schiavi con la pelle dello stesso colore di quella dell’inclito ambasciatore che si esibiscono in caroselli come quello in onore di Cristina di Svezia nel cortile di Palazzo Barberini il 28 febbraio 1656: Filippo Gagliardi e Filippo Lauri tramandano, in una tela che testimonia l’estensione anche spaziale dello spettacolo, gli atteggiamenti di nobili e plebei nell’assistere a una rappresentazione, ma soprattutto le sembianze di africani che recitavano il ruolo di amazzoni.

Gitani a Roma? Gitani a Roma!

In questa stessa storia globale, le varianti pittoriche della Buona ventura sono illustrate con donne rom che documentano la presenza di comunità gitane di stanza a Roma. La variante al centro di Allegra compagnia con cartomante giustifica la presenza di uno quadri più seducenti del Seicento caravaggesco globale, dipinto a Roma da Valentin de Boulogne per il nobile siciliano Fabrizio Valguarnera, un goodfella che ordinò il quadro per strada e che era solito pagare le opere d’arte in diamanti (ammiro la zingara, i soldati, le donne, gli strumenti musicali con un amico regista, scoprendo soluzioni compositive e luministiche degne di un moderno set).

Antoon van Dyck, Teresa Sampsonia, Lady Shirley, 1622, olio su tela, 214×129 cm, National Trust Collections, Petworth House (The Egremont Collection), inv. NT 486170

Ulteriore testimonianza della fascinazione europea per il Nuovo Mondo sta nella costante presenza di scimmie come animali da compagnia nei ritratti: l’irresistibile rara platirrina brasiliana nel ritratto di cardinale di Sebastiano del Piombo; la scimmia quasi celata nella lussureggiante Natura morta con paggio africano di David de Coninck; la scimmia con occhi di bragia che rifiuta di stare in posa al contrario della sua padrona, la circassa Teresia Sampsonia conchiusa da Van Dyck nelle stoffe persiane dorate che la ostentano come una reliquia in un reliquiario.

Siamo tutti appoggiati alla cappa dello stesso cielo

Barocco globale dimostra che la storia coesiste con la rappresentazione dello spazio geografico. Proprio quel Matteo Ricci autore della Carta geografica completa di tutti i regni del mondoriteneva la sua opera non solo “uno strumento per viaggiare restando sdraiati nel proprio gabinetto di studio”, ma anche uno strumento visivo che dimostrava già nel 1602 che tutti gli uomini possono riconoscersi come tali nell’oceano delle terre conosciute, senza distinzioni alle quali, oggi, si cerca nuovamente di abituarci. Ricci dimostrava questo assunto con la dedica con la quale destinava la carta allo spettatore: “Offro indegnamente questa carta a tutti coloro che, insieme con me, sono coperti dalla cappa dello stesso cielo e appoggiano i piedi sulla stessa terra”.

Floriana Conte

 

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