Collezioni e musei

Le gioie di collezionare per creare musei: un petroliere per la California e una famiglia di industriali farmaceutici per Milano

 

Nel 1957 la rivista “Fortune” riconobbe lo status di “uomo più ricco degli Stati Uniti” al petroliere Jean Paul Getty. Nel 1965 a settantadue anni Getty pubblicò The Joys of Collecting, una raccolta di aneddoti sulla passione che lo divorò dal 1930 per oltre trentacinque anni, nonostante Getty fosse divorato contemporaneamente anche da un’avarizia manifestata in forme a volte grottesche (si veda la fine di questo articolo). Le gioie di collezionare è un libriccino organizzato in sei capitoli tematici, ad esclusione del primo: Gli esordi; Creare una collezione; Antichità greche e romane; Un capolavoro di Rembrandt; Collezionare dipinti; Mobili e oggetti d’arte.

Getty si convince di avere comprato il suo primo capolavoro nel 1938 a quarantasei anni a un’asta Sotheby’s a Londra che disperde una collezione reale francese. Getty compra una copia della Madonna di Loreto di Raffaello pagandola 40 sterline e chiedendo a vari esperti conferma di possedere l’originale perduto di Raffaello. Resta sempre convinto di avere messo a segno un vero colpo da collezionista. Il quadro, assicurato, stava nella residenza in stile Tudor di Sutton Place nel Surrey, in Inghilterra.

 

Getty a Sutton Place ammira la sua copia di metà Cinquecento della Madonna di Loreto credendola un originale di Raffaello.

 

Getty dichiara spesso di avere assecondato la sua passione per l’acquisto di opere d’arte non solo per sé stesso ma anche per il bene pubblico (un principio spesso alla base della trasformazione in museo di raccolte importanti, pur se esistono anche spesso meno nobili motivazioni legate a sgravi fiscali, a ragioni di immagine o a vantaggi di vario genere, a seconda della normativa del paese in cui avvengono le costituzioni di collezioni private in musei o fondazioni; della maggiore collezione di opere d’arte antica in possesso di un’unica famiglia, i Torlonia, che destinarono a un museo pubblico la loro raccolta oggi costituita in Fondazione, “Bee magazine” ha parlato qui: https://beemagazine.it/il-vecchio-e-meglio-del-nuovo-un-capitolo-della-storia-del-museo-pubblico-raccontato-dalla-collezione-torlonia-una-collezione-di-collezioni/).

Getty sceglie la California per aprire il suo museo, allestendolo nella Getty Villa a Pacific Palisades, tra Los Angeles e Malibu, dove Getty volle ricreare la Villa dei Papiri a Ercolano per l’arte antica, romana, etrusca e greca. Si è aggiunto il 16 dicembre 1997 su una collina di Los Angeles (https://www.getty.edu/) il nuovo complesso del Getty Center progettato da Richard Meier che ospita il Getty Research Institute, diretto dal 1994 al 1999 da Salvatore Settis (si veda anche oltre).

 

La villa di Norma Desmond nel film Sunset Boulevard. Costruita nel 1924 da William Jenkins per $ 250.000, fu comprata da Jean Paul Getty per la sua seconda moglie che, in seguito al divorzio, la affittò alla Paramount per le riprese del film.

 

La Getty Villa sorge sul sito di una delle tante ville che fino a metà degli anni Quaranta “furono teatro della stravagante mondanità di Hollywood. Molte delle dimore che appartennero ad attori e attrici tra i più celebri sono state vendute e suddivise in appartamenti più modesti e più agibili. Altre sono state demolite, sia per l’impossibilità di mantenerle intatte, sia per la mediocrità delle costruzioni, che appena dopo due o tre decenni cadevano a pezzi. È il caso, ad esempio, della sontuosissima villa che tutti abbiamo visto in Viale del tramonto. Io stesso, che avevo aspramente rimproverato al suo vecchio proprietario, J. Paul Getty, di averla fatta radere al suolo (dopo che tra le sue mura era stato girato quel film) mi sono poi dovuto arrendere all’evidenza quando ho avuto tra le mani il rapporto dei tecnici col preventivo di un eventuale restauro: le spese avrebbero di gran lunga superato il costo dell’edificio che oggi si innalza sul luogo di quella reggia barocco-californiana”.

 

Jean Paul Getty (1892-1976; a sinistra) e Federico Zeri con Ethel Margaret Campbell, Duchessa of Argyl, a Londra nel 1972.

 

Così Federico Zeri (Mai di traverso, Longanesi 2008, p. 57) racconta la nascita della Getty Villa sulle macerie di uno dei luoghi del sogno cinematografico americano. La familiarità che permetteva a Zeri di rivolgersi a Getty “aspramente” quando egli considerava il suo parere professionale superiore alle inclinazioni, alle opinioni e alle decisioni del magnate di cui era consulente derivava da una lunga consuetudine, che divenne a suo modo un’amicizia.

In numerosi articoli sulla stampa periodica italiana e in interviste, Zeri e altri storici dell’arte che lo hanno accompagnato da Getty hanno raccontato delle notti passate a Sutton Place declamando i classici latini col padrone di casa e interrogandosi sulla lettura prosodica e metrica; del gettone che ogni ospite doveva tirare fuori di tasca sua per usare il telefono installato appositamente in casa; delle colazioni e delle cene parchissime ma magari servite per sole due persone in vasellame d’oro; delle opere d’arte di media ma anche di alta qualità che ornavano Sutton Place.

Sopra tutte l’Ercole Landwsone e la Fortuna di Salvator Rosa (rinvio ancora alla lettura di Zeri, Mai di traverso, pp. 271, 274, e all’articolo di Alvar González-Palacios, Un cupo soggiorno a Sutton Place, da Getty, “Alias. Il Manifesto”, 23 ottobre 2021: https://ilmanifesto.it/un-cupo-soggiorno-a-sutton-place-da-getty). Fa sorridere e riflettere sul carattere del miliardario Getty che egli abbia posseduto il grande quadro del pittore e poeta di satire napoletano che ebbe qualche guaio con la giustizia quando a Roma dipinse questa allegoria della Fortuna che, pur vedendoci benissimo, dispensa ricchezze, corone e porpore cardinalizie a bestie ripugnanti, immeritevoli e incapaci (della storia del quadro ho scritto in Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti nell’Italia del Seicento. II. Salvator Rosa, Firenze, Edifir, 2014, pp. 312-318, 348-349: https://www.lafeltrinelli.it/tra-napoli-milano-viaggi-di-libro-floriana-conte/e/9788879706056?inventoryId=4398440&queryId=9d5ec004360ae526d065f30d6d126478) .

 

Salvator Rosa, La Fortuna dispensa beni indiscriminatamente, 1657 o 1658, olio su tela, 200, 7 x 133 cm, J. Paul Getty Museum.

 

Sulla statua appartenuta a Lord Landwsone tra 1792 e 1805, comprata da Getty nel 1951 e dal 1970 donata al museo da lui fondato (p. 37, a cui si aggiunga la scheda della statua sul sito del museo: https://www.getty.edu/art/collection/object/103QSP) Getty scrive: “Uno dei miei maggiori trionfi, peraltro talmente inaspettato che neppure avevo avuto l’ardire di sognarlo, è stato l’Ercole Landwsone. Esistono prove che questa grande statua di marmo pentelico, alta quasi due metri, fosse una delle preferite del più sofisticato fra tutti gli imperatori romani, Adriano”.

 

Ercole Lansdowne, II secolo d.C., J. Paul Getty Museum.

 

 

J. Paul Getty, Le gioie di collezionare, Traduzione di Elena Balzano, Cahiers, Monza, Johan & Levi, 2021.

 

A circa sessant’anni dalla prima pubblicazione, The Joys of Collecting dell’uomo d’affari che fu il più ricco del mondo sono ripubblicate in italiano con il titolo Le gioie di collezionare da Johan & Levi editore in una collana promettente, i Cahiers, edita dalla Fondazione Luigi Rovati. La Fondazione è una delle realtà più interessanti e poliedriche nel panorama italiano: creata da Giovanna Forlanelli, direttrice generale del colosso farmaceutico Rottapharm Biotech, è intitolata a Luigi Rovati, medico e ricercatore fondatore della Rottapharm, umanista e collezionista (1928-2019), suocero di Forlanelli.

La Fondazione è inizialmente destinata a studiare il rapporto tra cultura e salute (lo dice Forlanelli a Virginia Ricci nell’intervista per “Io Donna” del 29 ottobre, p. 64), lavora in collaborazione con la casa editrice Johan & Levi, creata a Monza da Forlanelli nel 2005 per pubblicare in particolare biografie di artisti, mercanti e collezionisti, fonti per la storia dell’arte contemporanea e saggistica su collezionismo, museologia e museografia. La collana Cahiers si distingue nella ricca pubblicazione editoriale della casa editrice monzese perché è specificamente dedicata alle ripubblicazioni su tematiche legate all’antico e alle vicende legate al collezionismo.

Dal 7 settembre la Fondazione Rovati ha aperto al pubblico un museo a Milano che è “un’infrastruttura culturale della Fondazione Luigi Rovati” “pensata con la finalità precisa di costruire progetti di utilità sociale” e con otto principi metodologici, cioè dei “codici: utilità sociale, conoscenza, espansione, inclusione, creazione, spazio, estetica e relazione”, ha precisato Forlanelli (intervistata da Ada Masoero per il “Giornale dell’Arte” numero 431, settembre 2022, p. 26). Per allestire il museo la famiglia Rovati ha acquistato un palazzo ottocentesco in Corso Venezia 52, affidandone nel 2015 la ristrutturazione a Mario Cucinella.

I lavori erano destinati ad allestirvi la collezione etrusca di famiglia appositamente comprata durante i cinque anni precedenti la conclusione dei lavori di ristrutturazione per esporla nel palazzo.

Cucinella nel sotterraneo ha realizzato una struttura espositiva in pietra serena che evoca una tomba etrusca dentro cui è esposta una collezione di arte etrusca molto importante. Alla collezione etrusca la famiglia Rovati-Forlanelli ha unito opere di arte contemporanea, acquistate o commissionate appositamente, che fanno parte della collezione permanente e con essa dialogano per temi comuni e tecniche, non sono lì per caso come invece spesso accade nei sempre più frequenti accostamenti espositivi di arte antica e contemporanea: per esempio, il piatto in ceramica policroma con due guerrieri che combattono di Lucio Fontana, esposto nella sezione sui guerrieri etruschi; la testa di Medusa di ceramica policroma di Arturo Martini, praticamente un unicum, esposta nell’ambiente poco distante nello stesso ipogeo.

 

 

 

Al primo piano, The Etruscan Scene: Female Ritual Dance, una tela ad acrilico ed inchiostro serigrafico del 1985 di Andy Warhol rappresenta una scena di danza femminile etrusca. Il salone d’onore è occupato da un’opera site specific interamente ideata da Giulio Paolini (nel frattempo vincitore del Praemium Imperiale 2022 per la pittura: una sorta di premio Nobel per le arti visive); tele di Luigi Ontani decorano la sala da pranzo, nella quale sono esposte anche opere di Lucio Fontana; Francesco Simeti ha creato altre opere site specific ispirate agli arazzi che decoravano il corridoio.

 

La Sala Paolini nel piano nobile del museo della Fondazione Rovati.

 

La Sala decorata da Luigi Ontani al piano nobile.

 

In una città internazionale come Milano, la Fondazione fa adesso da tramite e collegamento con i musei etruschi storici in Italia (quello di Villa Giulia a Roma, quelli di Bologna, di Firenze, di Volterra, di Tarquinia).

Nella sede di Monza in via Valosa di sopra (https://biblioteca.fondazioneluigirovati.org/homepage) la Fondazione ha allestito una biblioteca che custodisce a disposizione degli studiosi un importante nucleo librario del quale è un punto di forza la biblioteca personale dell’etruscologo Giovannangelo Camporeale (Molfetta 1933-Firenze 2017), che insegnò da professore ordinario all’Università di Firenze, fu lucumone dell’Accademia etrusca di Cortona e presidente dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici.

La figlia Elisa, storica dell’arte addottorata alla Scuola Normale di Pisa e dai vari interessi scientifici e didattici, ha ceduto la biblioteca del maggiore studioso di etruscologia italiano alla Fondazione Rovati per mettere a disposizione del pubblico più vasto possibile l’officina di lavoro quotidiano dello studioso. Il fondo bibliografico di etruscologia del professor Camporeale è il più cospicuo e la sua cessione alla Fondazione si è unita ad altri fondi: quello donato dagli eredi del professor Emilio Arrigoni (1939-2020), già titolare della cattedra di Geografia storica del mondo antico all’Università Statale di Milano; quello del professor Luigi Beschi, ordinario di archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università di Firenze; il fondo archeologico donato dal professor P. Gregory Warden della Franklin University.

La biblioteca è la naturale integrazione delle attività del museo, ospita 15mila opere tra studi, fonti e riviste scientifiche di etruscologia, arte e archeologia, storia del paesaggio, topografia antica, storia delle religioni, storia e discipline antichistiche, geografia del mondo antico e saggi di storia dell’arte, in particolare contemporanea. I libri della biblioteca della Fondazione sono consultabili, su prenotazione, anche presso la sede del museo a Milano; arricchiscono in questo modo i fondi archeologici limitati dell’Università Statale di Milano, offrendo un servizio pubblico alla città, agli studenti e agli studiosi, anche perché si tratta di un luogo di studio, di ricerca e di ritrovo facilmente raggiungibile.

Insomma, un giorno di pioggia a Milano anche se non siete storici dell’arte o dell’archeologia e se siete in Corso Venezia potete scegliere di scampare al temporale rifugiandovi nel museo della Fondazione Rovati. Nella zona dei giardini pubblici commissionati dal figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo Lorena a Giuseppe Piermarini vi trovate dentro un’area urbana di grande rilievo, dove stanno palazzi della nobiltà locale, il museo civico di Storia Naturale, la Galleria d’arte moderna e il Civico Planetario “Ulrico Hoepli”, quest’ultimo proprio di fronte all’ingresso del museo della Fondazione: a differenza di Emma Stone e Colin Firth che trovano il Planetario di Nizza come unica alternativa per scampare al temporale improvviso in Magic in the Moonlight, voi potrete scegliere anche di ripararvi dentro un museo di dimensioni accoglienti organizzato come una dimora preziosa e ricco di opere in peculiare relazione fra loro.

 

Colin Firth ed Emma Stone nel Planetario di Nizza in Magic in the Moonlight, regia: Woody Allen. Produzione: Gravier Productions, Dippermouth (USA-Francia, 12014).

 

La Fondazione Rovati ha affidato a un professore universitario di notorietà scientifica mondiale, Salvatore Settis, già direttore del Getty Research Institute, il coordinamento del Comitato scientifico: “Le collezioni d’arte etrusca e contemporanea visibili dal 7 settembre sono il cuore e la porta d’accesso della Fondazione Luigi Rovati, ma non ne esauriscono gli scopi. Ne fanno parte anche lo stretto legame con la città e le sue istituzioni, l’offerta di nuovi spazi di dialogo multidisciplinare, la centralità di idee e attività legate all’utilità sociale. Una progettualità culturale che intende dispiegare in ogni caso lo stesso livello di qualità e d’impegno che le opere in mostra rendono a tutti evidente” (così Settis a ridosso dell’apertura al pubblico del museo).

Affidare a uno studioso di valore scientifico riconosciuto e calato nei problemi del suo tempo la cura di una collezione privata da esporre al pubblico è una linea non sempre praticata da collezionisti che scelgono di trasformare in fondazioni e musei aperti al pubblico il proprio patrimonio privato. La scelta operata dalla presidente della Fondazione e della casa editrice che ha pubblicato anche la traduzione delle memorie di collezionista di Getty è in linea con il suggerimento dello stesso petroliere (si badi, nella citazione che segue, che in soli sessant’anni i titoli e le professioni di “professore” e “dottore” evocati da Getty con rispetto non solo sono svalutati sul mercato del lavoro italiano, ma sono addirittura vilipesi e irrisi dalla maggior parte degli imprenditori, e dei governanti, arricchiti del nostro paese, insieme a tutti i mestieri legati all’arte e all’immaginazione):“Vorrei sottolineare che gli storici dell’arte che insegnano in college e università costituiscono una categoria di esperti che, per qualche strano motivo, i collezionisti tendono a ignorare. Forse alcune persone si lasciano impressionare da titoli come “professore” e “dottore”, e pertanto sono timorosi all’idea di contattarli, oppure a qualcuno potrebbe non essere mai venuto in mente che uno storico dell’arte sia disposto a mettere la sua conoscenza al servizio di qualcosa che non sia l’insegnamento o la compilazione di tomi. Persino chi colleziona opere su scala modesta commette un errore non rivolgendosi a questi straordinari esperti ed esponenti del mondo accademico. […] Naturalmente questo genere di consulenze viene effettuata dai docenti al di fuori delle ore di lavoro, pertanto è del tutto etico e anzi abituale retribuirli in maniera ragionevole. Tale retribuzione naturalmente varia in base al tempo dedicato e alla difficoltà delle ricerche, oltre che al valore dell’oggetto per il quale si richiede la consulenza. […] Non cesserò mai di ribadirlo, ricorrendo a uno slogan del mondo degli affari: ‘Prima di investire, indaga’” (pp. 88-89).

“Prima di investire, indaga” è il motto del petroliere. Del resto, J. Paul Getty è pur sempre colui che è passato alla storia per avere chiesto al proprio figlio, John Paul Getty Jr., la restituzione di un debito con un interesse del 4%. Getty figlio si indebita con il padre miliardario perché questi lo aveva estromesso formalmente dagli affari di famiglia in quanto Getty Jr. era dipendente da alcool ed eroina. Condivideva le dipendenze con la moglie Talitha, nipote del pittore Augustus John (amico e ritrattista della mitica marchesa Luisa Casati) e a sua volta passata alla storia del costume per essersi fatta fotografare col marito sulla terrazza della casa di Marrakesh per un libro dedicato alle donne più belle del mondo, prima di finire la sua devastata esistenza con una overdose da eroina a Roma.

 

Patrick Lichfield, Paul and Talitha Getty, Marrakech, Morocco, per il libro The Most Beautiful Women, 1969.

 

Il prestito chiesto da Getty figlio a suo padre serviva a pagare il riscatto per il rapimento più mediatico del Novecento, quello del giovane John Paul Getty III, figlio e nipote dei due Getty. E di certo il riservato e burbero Getty sarebbe stato infastidito se avesse previsto che sarebbe diventato protagonista di serie e film nei quali appare prevalentemente come un vecchio tirchissimo e insensibile, non come il collezionista filantropo che cercava di sembrare scrivendo le sue memorie sulle gioie di collezionare (ma grazie a Getty Sr. Donald Sutherland lascia una delle sue interpretazioni di cattivo più memorabili della sua carriera: vedere Trust, la serie diretta da Danny Boyle, per credere).

 

Donald Sutherland interpreta J. Paul Getty in Trust, regia: Danny Boyle. Produzione: Cloud Eight Films, Decibel Films, Snicket Films Limited, FX Productions (USA, 2018).

 

Floriana Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it; Twitter: @FlConte) e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia

 

 

 

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