Carlo Alberto Giusti: “I ragazzi oggi credono nel nucleare pulito: se sostenibile e condiviso, potrà salvare il pianeta”

Alla guida dell’Unversità Link dal 2021, parla il più giovane rettore d’Italia, appena tornato dal viaggio in Cina al fianco di Mattarella: “Il presidente ha messo tutta la sua forza diplomatica nell’obiettivo di pacificazione. È una scommessa, ma il dialogo può ripartire dalla cultura”

Carlo Alberto Giusti, alla guida dell’Università degli Studi Link dal 2021, a 44 anni è il più giovane rettore d’Italia. Conosce bene gli Usa, che frequenta abitualmente nell’ambito di programmi di collaborazione con atenei americani. Come presidente di Rse Spa (Ricerca sul Sistema Energetico) è impegnato nello studio e nell’analisi di fonti di energia alternative a quelle fossili. Giusti è appena tornato dalla missione di una quindicina di rettori di università italiane che ha accompagnato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Pechino.

Che atmosfera ha trovato nei confronti del nostro Paese negli incontri con il presidente Xi, le autorità e i vostri omologhi cinesi?

Sono un vecchio conoscitore della Cina e tornarci con la delegazione dei rettori è stata un’esperienza importante, arricchita dalla presenza del capo dello Stato, di Romano Prodi che in quel Paese è una personalità molto nota, Pier Ferdinando Casini, John Elkann, e del presidente dell’Ice Matteo Zoppas. L’accoglienza è stata calorosa, e una cena nel Palazzo del Popolo ha favorito il dialogo con i loro rettori sui temi della missione: cooperazione nella ricerca scientifica e accademica, scambi di docenti e studenti. Anche Mattarella mi sembrava lieto di questo focus sull’università e sull’innovazione, dove l’internazionalizzazione è importante.

Mattarella, con garbo istituzionale, ha esortato Xi Jinping a limitare i dazi e non alzare steccati commerciali troppo alti. Donald Trump ha vinto negli Usa promettendoli, e Steven Bannon ha detto esplicitamente che l’Europa deve preoccuparsi. Rischiamo la fine del fatidico vaso di coccio tra quelli di ferro?

Per le prossime settimane va usata prudenza: siamo ancora nella fase degli annunci. Trump sta costruendo la squadra, dove alcune nomine saranno personali ma altre dovranno superare il vaglio del Congresso – un po’ come i commissari europei – e si vedrà se i Repubblicani, che hanno la maggioranza, sono del tutto allineati con il presidente eletto. Certo, se ci sarà un inasprimento dei rapporti tra Usa e Cina il compito per l’Europa sarà più difficile, e saremo colpiti anche noi.

Il presidente cinese Xi Jinpingincontra il presidente italiano Sergio Mattarella a Pechino
Il capo dello Stato Sergio Mattarella con il presidente cinese Xi Jinping a Pechino
(Florence Lo/Pool Photo via AP / LaPresse)
Non è una certezza?

Questo è il tempo della negoziazione diplomatica. Il secondo mandato di Trump mi sembra che si annunci più concreto e attento all’estero perché ha promesso di risolvere le crisi in Ucraina e Medio Oriente. Quando si negozia si mettono le carte sul tavolo con intento strategico: più potenza per ottenere deterrenza. Come quando gli Usa hanno spostato una portaerei per sconsigliare all’Iran di attaccare Israele: lo stesso atteggiamento si manifesta in economia.

Secondo lei, Pechino come si posizionerà rispetto ai muscoli di Trump sul commercio e sulla crisi ucraina?

 A Pechino Mattarella ha auspicato il ripristino dei valori di amicizia tra i nostri due Paesi e delle radici comuni nel diritto e nella storia. È stata una scelta strategica molto importante perché è grazie alla cultura che i Paesi tornano a parlarsi. Il presidente ha messo tutta la sua forza diplomatica nell’obiettivo di pacificazione. È ovviamente una scommessa perché dipenderà in gran parte dai rapporti di Xi con Usa e Israele.

Trump ha vinto promettendo “miraggi”: fine delle guerre, frontiere sigillate, nuova età dell’oro. Cosa succederà in Medio Oriente, dove Netanyahu ha scientificamente portato avanti la sua agenda senza ascoltare quasi mai Joe Biden?

Guardi, come ha scritto Bob Woodward nel suo ultimo libro War, anche se Biden è stato tacciato di eccessiva timidezza verso Israele ha avuto successi importanti evitando in gran parte l’escalation. A volte i successi non si mostrano per ciò che realmente sono ma sono frutto di estenuanti trattative diplomatiche capaci di evitare che certe situazioni degenerino, come in questo caso, in una crisi regionale. Le tante missioni di Antony Blinken e Jake Sullivan hanno avuto un effetto di deterrenza evitando che, almeno per il momento, andasse ancora peggio. Prova ne è che alla fine Al Sisi ha aperto il valico per gli aiuti umanitari. Sempre troppo poco rispetto all’immane tragedia a cui il mondo dal 7 ottobre assiste, ma – ripeto – sarebbe potuto andare peggio e gliene va dato atto.

Carlo Alberto Giusti, rettore dell'Università Link
Carlo Alberto Giusti, rettore dell’Università Link
Davvero? A Gaza è una catastrofe umanitaria, con l’Iran è guerra diretta, l’invasione dell’Idf in Libano ha provocato forte tensione con l’Onu…

Quello che accade a Gaza, distrutta dall’azione israeliana eccessivamente aggressiva, è una tragedia. Ma anche il direttore della Cia Bill Burns aveva un passato diplomatico come ambasciatore in Russia e una caratura personale che ha pesato. L’auspicio è che l’amministrazione Trump si doti di figure di altrettanto spessore da assicurare la concretezza delle proposte che verranno esposte in questa delicatissima fase di negoziazione.

Trump le risponderebbe che ci penserà lui direttamente.

Questo è ciò che ha promesso, e creerebbe un grande problema all’Europa. Se Trump raggiunge un accordo con Putin a spese dell’Ucraina, i costi per sostenere Zelensky e la Nato ricadrebbero interamente su di noi.  Tuttavia, questa è la Nato non più di Jens Stoltenberg bensì di Mark Rutte, che ha già avvertito: tra 5 anni il potenziale offensivo della Russia sarà molto più alto dell’attuale.

Due matrioske con le figure di Vladimir Putin e Donald Trump
Due matrioske con le figure di Vladimir Putin e Donald Trump
A proposito. È vero che l’aumento delle spese per la Nato lo chiedevano già Obama e Biden, ma l’allineamento astrale dell’elezione di Trump e delle nuove regole Ue di bilancio non rappresentano un problema in più per l’Italia?

Sì. È un grosso problema, ma l’Italia ha una carta in più degli altri Paesi da giocare. Quando i generali del Pentagono srotoleranno la cartina geografica, Trump vedrà la Francia in crisi politica, la Germania verso le elezioni anticipate, il Regno Unito con Keir Starmer in difficoltà. L’Italia è l’unico grande Paese con un governo stabile anche nei sondaggi, potrà essere il collettore degli altri in un negoziato utile a tutte le parti: garantire l’impegno europeo nella Nato affinché resti un interlocutore geopolitico autorevole ma abbassare la percentuale delle spese richieste, il 2% del Pil, che è enorme rispetto ad altre priorità quali sanità e istruzione.

A Baku è in corso Cop 29. Trump ha già detto di voler puntare sul petrolio ed è probabile che ritirerà di nuovo gli Usa dagli accordi di Parigi. Emblematica è la distanza tra il premier spagnolo Pedro Sanchez, prostrato dall’alluvione di Valencia, e il presidente azero Aliyev che difende il gas dall’Occidente “ipocrita”.  Non è già troppo tardi per invertire la marcia?

Il tema del climate change è scomparso nella campagna elettorale Usa perché il fracking – che ha salvato l’economia dalle conseguenze energetiche delle sanzioni alla Russia – è una tecnologia molto invasiva per l’ambiente. Eppure, grazie al fallimento di molte aziende siderurgiche e alla diffusione dei veicoli elettrici, le emissioni americane negli ultimi anni si sono davvero ridotte. Questa Cop può rafforzare l’approccio combinato tra energie rinnovabili – che da sole non bastano ad alimentare la grande industria né le big data companies – e il nucleare di nuova generazione, che nel resto del mondo non è un tabù come in Italia.

Di fronte alla prospettiva di un deposito nazionale delle scorie nucleari non c’è una regione o un territorio che non sia insorto. Non è questione di sindrome Nimby: l’Italia non ha un deserto del Nevada, remoto e isolato, in cui collocarlo.

Non ce l’hanno nemmeno Francia, Germania, Svizzera. La crisi climatica è incontrollabile e tutti – non solo i governatori delle regioni finora colpite – saremo chiamati a farci i conti.  Spero che Cop 29 aiuti a superare la diffidenza verso il nucleare che, se fatto con tutti i crismi, è pulito e sicuro. I giovani, infatti, sono favorevoli. Temo solo che Baku sconti l’organizzazione dell’Onu, dove è meno facile concretizzare gli obiettivi rispetto a consessi come il G20.

Una centrale nucleare
Una centrale nucleare
Rinnovabili e nucleare. Manca il terzo lato del triangolo energetico: i combustibili fossili a cui i Paesi produttori di petrolio non si sognano di rinunciare. Chi li convincerà?

Il petrolio prima o poi terminerà.  Azzardo una previsione: l’investimento delle grandi società nel nucleare – purché sostenibile, ben congegnato e condiviso – potrebbe salvare il pianeta. Del resto, già lo usiamo in medicina e radiologia. Un accordo per questa forma di energia che ne escluda l’uso bellico può essere la sfida delle nuove generazioni ai governanti del mondo.

 

Federica FantozziGiornalista

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