Ucraina, Impressionante somiglianza con la guerra Iran-Iraq del 1980

Svolta shock a Ramstein e “scontro” tra gli “alleati” sulle armi da inviare. Drammatica replica, con gli “stessi” attori: potenze imperiali, Onu, armi “ad libitum”, morte e distruzione di massa. Dopo undici mesi, un possibile accordo tra le parti passa solo attraverso l’accettazione del principio della “riduzione del danno”

Ci sono abbondanti livelli di distonia nel crudele conflitto russo-ucraino. Allo scadere dell’undicesimo mese di guerra, non c’è nessuno sulla faccia della Terra che in questo momento riesca a dire una parola decisiva sulla “terribile questione”. Forse soltanto Putin, della cui “esistenza in vita” Volodymyr Zelensky comunque nutre qualche dubbio. Che, evidentemente, gli potrà essere fugato solo con l’esibizione di un suo regolare certificato anagrafico.

Putin

Una dichiarazione “monstre”, quella di Zelensky che, a questo punto, vale quanto una qualsiasi altra, e cioè nulla, nello stillicidio di violenza del conflitto in corso. E, certo, lasciandola riposare nel novero di predilezioni e personali vaticini. Anche pericolosamente avventata (nel momento in cui da parte russa viene rilanciata, con video, la notizia di un Putin non soltanto vivo e vegeto, ma  che anche per quest’anno non ha rinunciato alla tradizionale nuotata in acqua gelata), relegando così la sua uscita  nella categoria della disperazione e infelicità per le sorti del suo popolo.

Ed è lo stesso Zelensky che nei prossimi giorni si appresta a sbarcare al Festival di Sanremo, sia pure in collegamento da remoto, per dire le stesse cose dette ad almeno una ventina di Parlamenti europei e assise internazionali. Certo, tutto può essere utile in questa congerie, ma obiettivamente non si vede tutta questa opportunità e presenza in quel contesto, verosimilmente piazzata in mezzo tra la canzonetta di Elodie e quella della rediviva Anna Oxa.

“Nel frattempo”, la situazione peggiora di giorno in giorno, l’Ucraina viene armata con le armi più sofisticate e in questo clima di “guerra aperta” (c’è ancora qualcuno che si illude o finge che non siamo in questa condizione?), se non tutto, buona parte del mondo guarda attonito e si vede scivolare addosso una sorta di ineluttabilità, il fattore-tempo che è tutto a suo sfavore, di fronte alle conseguenze di un conflitto che si dilata. Undici mesi di guerra non sono bastati a sedersi al tavolo, a parlare di pace, alfabeto sconosciuto di tanti tristi attori e col solo Papa Francesco che si batte con forza ma che, in certi ambienti che contano, è anche apertamente commiserato.

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Il punto: la “qualità” delle armi all’Ucraina

Succede, dunque, che tutte le analisi si concentrino sulla “qualità” delle tante armi che puntualmente l’Ucraina riceve dall’Europa tutta e Stati Uniti e sulla minaccia mai ritirata da parte russa di usare l’arma atomica. Dall’altra, la Russia che tiene sotto scacco l’Ucraina e la bombarda quotidianamente, avvalendosi del suo enorme arsenale.  Con una novità assoluta: che l’Ucraina, grazie ai nuovi armamenti, e di continuo sollecitati, riesce ora a rispondere e contrattaccare, spingendosi in territorio russo.

E a Ramstein, in Germania, presso la base statunitense, il blocco occidentale, con aperti contrasti, sta decidendo in queste ore quali armi fornire all’Ucraina, se i potentissimi carri armati Leopard 2, jet o qualcos’altro ancora. Il segretario della Difesa americana Lloyd Austin sull’argomento è stato chiaro: “É  un momento decisivo per l’Ucraina e per tutto il mondo” Non c’è bisogno di essere analisti militari per dare nome a questa gravissima situazione: c’è una guerra in corso nella vecchia Europa! Da undici mesi, aperta a ogni soluzione!

Ma in giro, anche nelle più alte istituzioni, si registra cattiva volontà e, soprattutto, poca memoria. E tutto accade con una profonda lacerazione del patto etico, variamente declinato in tanti Stati, di non dover prendere le armi per risolvere controversie. Meno ancora si è immaginato, se non letterariamente, quanto “già” è successo in Ucraina per la cui vicenda con ogni probabilità dovranno essere chiamate nuove generazioni per risanare quel Paese. Tutto ciò a significare che, ammesso che domattina si depongano le armi, il disastro già causato con morti e devastazione, potrebbe essersi portato dietro rivendicazioni di ogni sorta, odio, altre guerre, latenze, terrorismo. Di qui, la grande responsabilità delle forze in campo e delle potenze planetarie.

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Quelle impressionanti somiglianze con altri conflitti

Guardando al passato e volendo trarre qualche insegnamento, impressiona la “somiglianza” del conflitto ucraino con la guerra Iran-Iraq del 1980. Miscelando le varie situazioni ne esce un quadro fosco che, anche allora, avrebbe dovuto indurre i protagonisti a fermarsi dopo i primi colpi di mortaio. Non è stato così. Otto anni di guerra scatenata per “futili motivi”. L’Iraq sconfessò il trattato siglato nel 1975 che regolava i confini e attaccò l’Iran. Le postazioni furono presto fissate: l’Iraq a fianco dell’URSS, l’Iran sostenuto dagli USA. L’esito fu spaventoso: una immonda carneficina nell’indifferenza generale; colpì allora la debolezza dell’ONU, mentre l’Urss e gli Usa furono pronti a spalleggiare le parti, armandole fino ai denti. Non può non vedersi la sostanziale “somiglianza” con la guerra in corso, sia per quanto riguarda il contenzioso (come Putin per l’Ucraina, l’Iraq di Saddam Hussein scatenò la guerra per rivendicare  la titolarità di alcuni territori nell’allora Iran, volendo sfruttare la ritenuta debolezza di quel Paese, nella fase di transizione tra la caduta dello Scià e l’arrivo dell’Ayatollah Khomeini), sia per le enormi perdite sul campo di battaglia, sia ancora per l’incertezza dell’azione- Onu nel cercare una via d’uscita.

Khomeini

Una guerra che nelle intenzioni dell’Iraq di Saddam Hussein doveva essere un fulmineo blitz (così nella testa di Putin nel voler conquistare l’Ucraina), ma che procurò solo morte e distruzione. Anche i contendenti di ieri, per la situazione odierna, sembrano voler richiamare molto di quanto oggi succede e in qualche modo risultano sovrapponibili: Iran e Iraq si scannavano con tutte le armi in loro possesso e con le tante che gli venivano offerte dalle due grandi potenze che stavano a guardare uno dei più devastanti mattatoi che la storia contemporanea ricordi. Le sorti della guerra, inizialmente a favore dell’Iraq, furono poi sovvertite dall’Iran che (per ragioni non così imperscrutabili) venne anche “frenato” dagli Stati Uniti di Ronald Reagan (dunque, si accontentarono di una vittoria dimezzata), anche per il timore di un possibile contagio islamico.

Saddam Hussein

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La debolezza e le difficoltà dell’ONU

In quella situazione, l’ONU incontrò grandi difficoltà (ancora analogia con la situazione ucraina) e soltanto dopo diversi tentativi, riuscì a imporre il cessate il fuoco. Alla fine, accettato, solo perché i due Paesi erano letteralmente in ginocchio. Sul terreno, le vite spezzate e conseguenze socio-economiche che ancor oggi perdurano. Resta la considerazione che il conflitto Iran-Iraq, per tutti gli artefici coinvolti, è stato uno dei capitoli più vergognosi della storia militare mondiale, lasciando incancrenire il conflitto. Si era nel 1985, quinto anno di guerra (sarebbe durata altri tre), quando il segretario generale dell’Onu Perez de Cuellar fece l’ennesimo tentativo di pacificazione, ma a causa dell’intransigenza iraniana che esigeva la condanna dell’Iraq come aggressore, il pagamento dei danni di guerra e la messa da parte di Saddam Hussein, il tentativo fallì. Le due grandi potenze (Usa-Urss) non trovarono l’accordo.

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Il “balletto” degli ambasciatori convocati: prima l’iraniano poi l’italiano. Poi tutto come prima

Se proprio vogliamo trarre il bilancio di quella guerra-mattatoio, queste le note e gravi conseguenze: oggi l’Iraq è un paese stravolto, sempre in bilico, dove le fazioni si combattono senza sosta; Saddam Hussein, un tempo alleato (realpolitik) e poi visto come nemico dagli americani, fu catturato con l’operazione “Alba Rossa” a Tikrit, suo paese natale, e impiccato. L’Iran di questi giorni è il frutto velenoso di una teocrazia feroce, fuori dalla storia, che impicca i suoi ragazzi, ma questo non le impedisce di avere regolari rapporti con tutte le democrazie del mondo. E, dunque, anche con l’Italia, Che una volta convoca l’ambasciatore iraniano per “chiarimenti” (impiccagioni), per poi vedersi convocare dall’Iran il suo omologo a Teheran, ugualmente per “chiarimenti” (nessuna interferenza –hanno ammonito– per quanto succede nel loro Paese).  Pari e patta e tutto come prima.

Per quanto detto, si potrebbe anche accogliere l’obiezione che la situazione ucraina è comunque ben diversa dalla terribile guerra mediorientale. Ma sino a che punto lo si può dire? Anche allora (come oggi), veniva detto che da un giorno all’altro la guerra poteva essere fermata e invece siamo in piena escalation militare con in piedi l’opzione nucleare. Insomma, non si vede una via d’uscita. E, dunque, mano alle armi e stravolto l’ordine mondiale con il ritorno degli imperi, reali o potenziali. É  il caso di Russia, Stati Uniti, Cina popolare, e qualcun altro ancora. É  quello a cui assistiamo!

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Che fare? Il prossimo vertice Ue-Ucraina rischia di lasciare le cose come stanno

Il 3 febbraio a Kiev si terrà il vertice Ue-Ucraina per dirsi probabilmente cose che già si sanno. Non mancano gli auspici e la speranza di scongiurare un sostanziale nulla di fatto rispetto alla cessazione del conflitto. Resta sul tavolo la posizione ucraina che rivendica (punto fondamentale dell’accordo richiesto da Zelensky), sino all’ultimo metro quadrato di terra invasa da Putin, Donbass e Crimea compresi. Accordo che su queste basi sembra improponibile.

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La “riduzione del danno” nozione medica applicata alla guerra

Resta la prospettiva della “riduzione del danno”, concetto traslato e preso in prestito della sfera medico-sanitaria, psicologica, dove però, per riuscire nel tentativo, tutti gli interlocutori dovranno essere credibili e dotati di ogni buona volontà. Compito di estrema complicazione, ma alla fine non c’è niente di diverso da fare. Solo l’autorevolezza mostrata potrà risolvere gli immani problemi post-guerra, con il fattivo coinvolgimento delle popolazioni locali, l’accoglimento di istanze. Ciò servirà per temperare pulsioni difficilmente contenibili. A tal proposito, per un’altra “somiglianza” e analogia e per non agire al buio, rimandiamo all’”eterno” conflitto israelo-palestinese e a quanto è successo il 4 novembre 1995 con l’assassinio di Yitzhak Rabin ( Primo ministro d’Israele e Premio Nobel per la Pace 1994) che si era fatto promotore di un processo di pace ben avviato (“Accordi di Oslo”del 1994). Progetto subito stroncato da un fanatico religioso ebreo che gli sparò addosso alcuni colpi di pistola durante un comizio a Tel Aviv. Anche in quel caso le armi ebbero la meglio. Oggi, per la situazione israelo-palestinese si può solo parlare di “pax armata” piena di pericoli.

Sono trascorsi 28 anni da quell’assassinio e, prima ancora, decenni di ostilità e guerra tra le parti, sempre nella difficile ricerca di una pacifica convivenza nell’area. E si tratta di Stati che fanno pienamente parte di quella geopolitica governata da attori di prima grandezza. Come si vede, c’è materia a sufficienza per sapere come doversi comportare.

 

Luigi NanniGiornalista

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