Sull’ipotesi di una nuova norma ad hoc per il terzo mandato per i presidenti di Regione, Giorgia Meloni si sta berlusconizzando. I cronisti politici più navigati ricordano quante volte negli anni hanno titolato il loro retroscena: “L’ira del Cavaliere sugli alleati”. Immancabile, nel pezzo, la frase con cui il leader del centrodestra avrebbe richiamato gli alleati al senso di responsabilità dopo averli provocati con sapienza politica: “La ricreazione è finita”. Ebbene la premier – che con buona pace di delfini più o meno speranzosi si è presa nelle urne l’eredità della leadership di coalizione – finisce per usare lo stesso metodo. Con una curiosa inversione: bersagli di questa strategia sono i due vicepremier nonché capi dei partiti alleati, ovvero il leghista Matteo Salvini e quell’Antonio Tajani che ha preso le redini di Forza Italia dopo la scomparsa del fondatore mantenendola intorno a un onorevole 9%.
La questione del terzo mandato
Al momento, però, la ricreazione non è ancora finita. E gira intorno a un tema: il terzo mandato per i presidenti di Regione. Questione all’apparenza marginale mentre il mondo brucia per colpa di più di un focolaio, ma in realtà di sostanza: le Regioni sono territorio ampi, popolosi, crocevia di relazioni e – soprattutto nell’operoso Nord – di affari. La vicenda è nota: la Corte Costituzionale ha stoppato su impugnazione del governo le velleità terzo-mandatiste di Enzo De Luca in Campania, ritenendo legittima la legge dello Stato che lo cassa a livello nazionale. Sembrava la pietra tombale sulle analoghe aspirazioni venete di Luca Zaia (che in realtà, grazie all’approvazione dilatata della legge regionale, è già al terzo giro di giostra e sogna il quarto).
Non solo: il consiglio dei ministri ha anche impugnato l’analoga legge della Provincia autonoma di Trento suscitando l’ira di Maurizio Fugatti, ma in realtà puntando al bersaglio grosso: stoppare il giovane e popolare Max Fedriga in Friuli Venezia Giulia. Con un obiettivo per FdI abbastanza in chiaro: candidare in Veneto, a novembre, un nome loro e governare finalmente una grande regione del Nord. E Salvini in tutto questo? I più maliziosi la leggono così: a congresso finito, e riconfermato segretario, il Capitano non avrebbe più l’ansia di placare i suoi “colonnelli”, ricompensabili magari con la poltrona di sindaco di Venezia o Verona. Tanto è vero che il generale Roberto Vannacci, neo-vicesegretario della Lega, aveva tuonato contro il terzo mandato.
Si riapre il dibattito
Giochi fatti allora? Non proprio. Perché Giovanni Donzelli, uomo forte dei Fratelli, li ha riaperti dicendo che la questione va approfondita con “una riflessione seria”. Apertura che ha fatto un effetto energizzante sulla Lega: Fedriga – presidente della Conferenza delle Regioni – ha promesso tempi rapidi, ma poiché per la tornata elettorale del 2025 molto difficilmente il Parlamento avrebbe tempo di esaminare un disegno di legge autonomo (e così controverso), i salviniani rimuginano sulle scorciatoie da tentare. Prima fra tutte: un “testo veicolo”, ovvero un provvedimento di materia para-elettorale a cui agganciare l’emendamento decisivo per rimettere in gioco Zaia & company.
Qui però entra in scena il solitamente placido Tajani – che con Salvini, dal golden power su Unicredit all’Afd fino al ruolo dell’Ue in questi mesi ha battibeccato spesso – al grido di: “Presentino quello che vogliono, noi non glielo votiamo”. Anche se nei corridoi del Parlamento si evocano – come spesso accade – scambi politici: via libera alla norma cara alla Lega se questa si ammorbidisce sullo “ius scholae”, annunciato da Tajani la scorsa estate e rimasto lettera morta.
Equilibri di maggioranza
Insomma, il non fondamentale terzo mandato rischia di diventare il parafulmine di tutte le tensioni tra Lega e Forza Italia. Rimane una domanda: perché Meloni, che tra l’altro nella sua “madre di tutte le riforme” ovvero il premierato prevede un limite di mandati, ha deciso di riaprire una questione morta e sepolta? Da via della Scrofa passa l’ipotesi che sia una mina gettata nel campo largo: rimettere in corsa De Luca, probabilmente con una sua lista perché Elly Schlein ha già scelto Roberto Fico in asse con i pentastellati, significherebbe rendere contendibile la sua regione. Ma davvero la Campania val bene una messa? Oppure, semplicemente, lei li lascia sfogare per poi intervenire, esattamente come faceva Silvio Berlusconi.




