Cultura

Calabria Italia, il nuovo libro di Santo Strati. L’orgoglio e il riscatto di una gente tenace

“Calabria – Italia”, è l’ultimo libro del direttore di “Calabria Live”, il giornalista calabrese Santo Strati, Vincitore del Premio Rhegium Julii per il Giornalismo 2023 (e 1973) e del Troccoli Magna Graecia alla carriera, cronista di grande esperienza professionale, che in questo suo ultimo saggio racconta la Calabria contemporanea, fatta sì di mille problemi diversi, ma ricca anche di mille risorse e di mille eccellenze diverse. “Persone, eventi, luoghi, sogni, delusioni, speranze di una terra straordinaria”, tutto questo raccontato con grande passione, con un trasporto personale fuori dal comune, con semplicità ma anche con tanta rabbia in copro, con il timore forse di “sporcare” ulteriormente la storia bellissima di una terra come la Calabria e che in passato – dice lo stesso Santo Strati – è stata poco raccontata o forse male raccontata. Direttore, perché ha scelto questo titolo, “Calabria-Italia”? Vede, quando si presentavano davanti agli addetti dell’immigrazione di Ellis Island, che chiedevano la loro provenienza, i nostri emigrati calabresi di inizio secolo non comprendevano la domanda ma la intuivano e rispondevano semplicemente «Calabria, Italia». Lo affermavano con grande orgoglio, ma allo stesso tempo erano timorosi di vedersi marchiare da subito come derelitti che avrebbero pesato sulla collettività. Non conoscevano una parola di inglese e sbarcavano dopo una lunga traversata nell’Oceano durata settimane se non mesi. La “Merica”, il mondo nuovo, li accoglieva e il loro primo saluto esprimeva l’orgoglioso senso di appartenenza – italiani, ma soprattutto calabresi – che nessuno avrebbe mai potuto sottrarre loro. A distanza di oltre un secolo, quelle due parole – Calabria, Italia – messe insieme marcano beffardamente quell’immagine ideale che anni di divario, di questione meridionale ieri, di autonomia differenziata oggi, hanno cercato di smantellare”. Dentro questo suo ultimo saggio il direttore di Calabria Live trasmette a chi lo legge la consapevolezza di poterla

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Politica

Luigi Carnevale, il Prefetto del G7

Luigi Carnevale, Dirigente Generale della Polizia, cresciuto tra Catanzaro Lido e Cardinale in Calabria, dall’8 aprile è il nuovo Prefetto di Brindisi. Un incarico deciso dalla Presidenza del Consiglio che porta da Roma a Brindisi, alla vigilia del prossimo G7, uno dei poliziotti più amati e più seguiti dal Viminale. Il nuovo Prefetto di Brindisi si porta dietro infatti la fama di essere uno dei migliori investigatori della Polizia di Stato. Profilo professionale altissimo. Naturalmente guai a chiedergli del G7, a differenza di come farebbe qualcun altro. Direbbe “No comment”, ma lui neanche questo. Una “mummia” che sorride. Non va oltre. Ma è evidente che la sua nomina e il suo incarico siano strettamente correlati alla delicatezza del G7, e alla necessità di un coordinamento organico e stabile tra i lavori del G7 e i vertici di Governo. “Tra le priorità della Presidenza italiana – ha ricordato la stessa Giorgia Meloni in questi giorni- vi sarà la difesa del sistema internazionale basato sulla forza del diritto. La guerra d’aggressione russa all’Ucraina ne ha intaccato i principi e ha scatenato una crescente instabilità, visibile nei diversi focolai di crisi. Altrettanto importante il conflitto in Medio Oriente, con le relative conseguenze sull’agenda globale. Sarà centrale il rapporto con le Nazioni in via di sviluppo e le economie emergenti. Prioritaria l’attenzione nei confronti dell’Africa. La sfida è costruire un modello di partenariato vantaggioso per tutti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie. Particolare riguardo sarà, inoltre, dedicato alla regione dell’Indo-Pacifico”. Per l’Italia, dunque, sarà un appuntamento di altissimo profilo istituzionale e internazionale. Il Vertice si terrà a Borgo Egnazia, in Puglia, dal 13 al 15 giugno 2024, in una delle più affascinanti località d’Italia e non solo del nostro Paese, in un clima d’accoglienza dell’intera regione Puglia. L’evento vedrà la partecipazione dei Capi di

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Politica

Dossieraggio, intervista a prof. Giuseppe Romeo

Giuseppe Romeo, docente incaricato di Relazioni internazionali presso l’Università del Piemonte Orientale e di Storia delle Relazioni internazionali per il modulo sulla politica estera russa e americana, e di Storia politica dell’integrazione europea per il modulo sulla Difesa europea presso l’Università di Torino, viene indicato oggi come un’Analista politico di rilievo internazionale anche per gli Affari Interni del Paese. Con il suo ultimo libro “La Nato dopo la Nato. Perché l’Alleanza rischierà di implodere”  prova a offrire al lettore un quadro interpretativo della crisi tra Russia e Ucraina all’interno di un’analisi che riguarda l’Alleanza Atlantica, e il suo ruolo nel garantire la sicurezza e difesa continentale di fronte ad una idea ancora poco matura di Difesa europea che stenta ad affermarsi nel quadro delle politiche dell’Unione europea”. Quanto basta per cercarlo, e per cercare di capire con lui quanto sta accadendo in questi giorni in Italia. -Professore parliamo del Dossieraggio e dell’inchiesta di Perugia di cui da giorni sono pieni i giornali. Un suo parere sulla vicenda di questi ultimi giorni? “Guardi, le rispondo fornendo un mio personale punto di vista in una vicenda che, francamente, non mi sorprende e non credo debba sorprendere… purtroppo! Non mi sorprendo perché ogni gioco di potere, di un partito o di una lobby, dopo averne conquistato i termini e compreso i modi per governarlo tende poi a conservarlo. In questo senso, non vedo in che misura ci si meravigli di quanto accade oggi, al netto delle diverse interpretazioni delle norme a tutela della privacy e magari volendo non associare la stessa “profilazione” ad una sorta di dossieraggio consapevole, ma neanche troppo. Non ci sono dubbi che acquisire e conservare, se non utilizzare, informazioni che non rientrano nell’ambito di un’attività investigativa o perché ritenute, in quanto consentite, utili in materia di sicurezza nazionale configuri

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Cultura

Gli ascolti record di Rai Tgr, Alessandro Casarin e Carlo De Blasio

Per la TGR il 2024 si apre all’insegna del trionfo degli ascolti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra la rete digitale e il prodotto finale trasmesso in rete. Il report che mostra la performance complessiva dei 24 siti web della Tgr nel 2023 con il raffronto rispetto al 2022 documenta 123 milioni di contatti, nell’anno appena trascorso, con un aumento -osserva il direttore della TGR Alessandro Casarin– del 107% rispetto al 2022. Si tratta di cifre record che confermano quanto forte sia diventato oggi il legame tra gli italiani e la testata giornalistica regionale. Alessandro Casarin ci fa rilevare che i dati finali sono ancora più esaltanti di quanto non si immagini a prima vista, il report generale parla infatti di “contenuti visitati” pari a 191 milioni di contatti nel solo 2023. Si tratta delle page impressions riguardanti articoli, video, eccetera, consultati dagli utenti, anche qui con un incremento record del 76% sul 2022. Nessuno meglio di così. Nessun’altra testata giornalistica, nessun’altra rete, nessun altro format televisivo. È il caso di dire che la TGR sbaraglia tutti gli altri suoi concorrenti per i contenuti che una volta finiti in rete diventano “dato privilegiato” di milioni di persone in ogni parte del mondo. Il dato è ufficiale solo da qualche giorno, ma gli osservatori di questo mondo della televisione avevano intuito che la TGR si avviava a diventare testata leader degli ascolti generali in Italia dopo l’audizione in Commissione di Vigilanza dello stesso Alessandro Casarin che già nel mese di ottobre scorso aveva preannunciato un trend assolutamente importante e positivo per le sue 21 redazioni regionali. “Mi sia consentito iniziare il mio intervento con lo stato di salute della testata che dirigo da cinque anni. Lo stato di salute deriva dall’attenzione del pubblico, quindi dalla credibilità sul territorio”, ha esordito

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Cultura

“Storia illustrata del Giornalismo Italiano”, di Giancarlo Tartaglia. Oggi Carlo Bartoli e Luigi Contu la presentano a Roma nella sede dell’Odg

“Un tempo per accedere alle immagini -scrive il direttore dell’ANSA Luigi Contu– era necessario avere in mano un giornale o guardare un tg. Oggi il cittadino-lettore, che si trova di fronte all’oceano del mondo digitale, sommerso da un’alluvione di immagini, ha il diritto di essere informato in modo sempre più responsabile, etico e professionale. Ed è questo che rende oggi più che mai insostituibile il ruolo del giornalista”. Finalmente una “Storia illustrata del giornalismo italiano”, e solo un grande storico del giornalismo come Giancarlo Tartaglia poteva affrontare una sfida e un’operazione culturale di questo genere. Parliamo di un saggio di 208 pagine, 138 fotografie, edito da Pacini Editore, storica casa editrice di Pisa, nella collana Storie illustrate, e che oggi intende soprattutto celebrare i 60 anni dall’istituzione dell’Ordine dei Giornalisti Italiani. “Rivedendo le immagini di questi anni e leggendo le parole di Giancarlo Tartaglia-sottolinea nella sua prefazione Luigi Contu, direttore dell’Ansa, che è stata media-partner in questa operazione editoriale del recupero della memoria- si ha infatti la percezione chiara di quanto il nostro mestiere costituisca un patrimonio da non disperdere. Di quanto sia stato e continui ad avere un’importanza fondamentale per capire il mondo in cui viviamo”. Ma proprio i giornali, e i giornalisti, -sottolinea con grande efficacia narrativa lo stesso autore, Giancarlo Tartaglia, oggi Segretario Generale della Fondazione Murialdi– sono stati oggetto della trasformazione economica sociale e politica dell’Italia. Ma ne sono stati anche il soggetto, nella consapevolezza che la libertà di stampa, di critica, di giudizio, di narrazione e valutazione dei fatti sono l’essenza di una sana democrazia     Dopo l’Introduzione di Carlo Bartoli, e la Prefazione di Luigi Contu  ,Giancarlo Tartaglia ha scelto sei capitoli fondamentali per questo suo avvincente diario di bordo, Il ritorno della libertà di stampa, Verso la Repubblica, Gli anni della ricostruzione,

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Cultura

Come la Corte Costituzionale ha via via aperto porte e finestre. Ce lo raccontano Giuliano Amato e Donatella Stasio in un libro scritto a quattro mani

“Queste pagine ripercorrono gli anni della trasformazione della Corte, entrano nelle stanze dov’è maturato il cambiamento e accompagnano il lettore, come in un viaggio, lungo la strada in cui si è srotolato. Ne spiegano il significato politico. Sono cronaca, testimonianza, memoria, analisi di un’esperienza fondativa proiettata nel futuro. Raccontano un pezzo di storia del nostro paese attraverso le storie delle donne e degli uomini che, dentro e fuori il Palazzo, sono stati protagonisti, testimoni, artefici del cambiamento. Tra loro ci siamo anche noi, un costituzionalista e una giornalista, autori di questo libro che nasce da quell’esperienza comune alla Corte, l’uno come giudice e poi presidente, e l’altra come responsabile della comunicazione. Il libro è anche una sorta di racconto autobiografico perché – seppure in ruoli, con responsabilità e punti di osservazione diversi – ciascuno di noi due è stato per molti aspetti anche motore del cambiamento di quegli anni, dai quali affiorano ricordi, sentimenti ed emozioni”. “Storie di diritti e di democrazia, La Corte costituzionale nella società”, 288 pagine, Feltrinelli Editore, è l’ultimo saggio scritto a quattro mani da Giuliano Amato e Donatella Stasio. Il libro è stato presentato alla stampa nella sala di rappresentanza del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Italiani a Roma, testimoni insieme al Presidente dell’Ordine Carlo Bartoli, Luigi Contu, Direttore dell’ANSA, Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale e Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, Ministro di grazia e giustizia del governo Prodi I e presidente della Corte costituzionale dal 14 novembre 2008 al 18 febbraio 2009, e lo stesso ex presidente della Camera Pierferdinando Casini. “Un parterre che ci onora”- esordisce il presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti Italiani Carlo Bartoli, e che ha aperto il dibattito.     Ad aprire la serata è stata la stessa Donatella Stasio con una relazione che ha dato della

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Cultura

Vincenzo Mollica: “Porto in teatro la mia vita”

Roma, Auditorium della Musica, Giovedì 11 Gennaio. Un appuntamento imperdibile con il vecchio giornalista del TG1 Vincenzo Mollica che questa volta porta in scena sé stesso, con uno spettacolo bellissimo e avvolgente, dal titolo “L’arte di non vedere”. “Io non vedo più. Ombre in un mare di nebbia. Più spesso non vedo un tubo, ma continuo a coltivare la speranza. Andrea Camilleri mi ha spronato a non abbattermi, a sviluppare gli altri sensi. Ignoro che cosa sia la depressione. Mi sostengono due pilastri: famiglia e lavoro. Nella vita non ho altro. Mi manca il volto di mia moglie, i suoi occhi azzurri e il suo sorriso, mi manca il volto di Caterina e la sua luce. Sin da piccolo, bastava che chiudessi l’occhio destro e precipitavo nel buio”. Sceglie il linguaggio diretto, e quasi intimo, del teatro Vincenzo Mollica, uno dei giornalisti italiani più conosciuti e più amati dal grande pubblico, per raccontare i suoi primi 70 anni di vita, o meglio i suoi primi 50 anni di successi e di incontri internazionali che hanno fatto di lui una icona del mondo dello spettacolo e del giornalismo televisivo. Nessuno come lui, nessuno più di lui, nessuno quanto lui, neanche il mitico Lello Bersani che ha tanto accompagnato la mia infanzia, quando in TV andava in onda un solo telegiornale e Lello Bersani era il solo cronista che allora si occupasse di spettacolo e di musica. Vincenzo Mollica sarà poi il suo erede naturale al TG1, e come spesso accade l’allievo supera il maestro. E di gran lunga. “Un giorno Lello Bersani, il primo cronista ad aver raccontato il mondo dello spettacolo al telegiornale, mi mise in mano la sua agendina: “Vedo in te il mio erede. Copia i nomi che ti servono”. Li trascrissi tutti sulla rubrica che uso ancor

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Cultura

Fondazione Paolo Murialdi, una perla della storia del Giornalismo Italiano

Era il vecchio sogno di Giancarlo Tartaglia, che l’ha voluta, immaginata e realizzata a sua immagine. Ora la Fondazione per il Giornalismo Paolo Murialdi -nata grazie all’intuizione di Pierluigi Roesler Franz che recuperò montagne di documenti storici pronti per andare al macero- si tè trasferita in Via Nizza, a Roma,  nello storico Palazzo dell’INPGI e si riconferma pietra miliare della storia culturale del giornalismo italiano. La notizia è di questi giorni ed è passata quasi inosservata, ma secondo noi merita il giusto rilievo, perché da oggi la prestigiosa Fondazione per il Giornalismo che porta il nome di Paolo Murialdi ha una nuova casa, e da quello che ci dice Pierluigi Franz, storico inviato prima del Corriere della Sera poi della Stampa, è una “casa” molto più bella e molto più accogliente di quella che fino ad oggi ha ospitato la Fondazione. A darne notizia era stata nelle settimane scorse la Newsletter della stessa Fondazione e lo aveva fatto in questi termini: “La Fondazione sul giornalismo Paolo Murialdi ha in corso il trasferimento della sede da Via Augusto Valenziani 10/a-11 a Via Nizza n. 35. Pertanto, per l’intero periodo del trasferimento la sede rimarrà chiusa al pubblico. Gli studiosi che avessero necessità di consultare le fonti archivistiche o la biblioteca potranno, comunque, contattare direttamente il responsabile dell’archivio e il responsabile della biblioteca al seguente indirizzo mail: fondazionemurialdi@tiscali.it”. Oggi la notizia ufficiale è un’altra. Martedì 19 dicembre, infatti, dopo la riunione del Comitato Scientifico, si è svolta la cerimonia di inaugurazione ufficiale della nuova sede della Fondazione sul Giornalismo Italiano Paolo Murialdi. La manifestazione si è aperta con una relazione del Segretario Generale Giancarlo Tartaglia che ha illustrato i lavori in corso della Fondazione sia per quanto riguarda la ricerca e l’approfondimento storico-grafico sia per quanto riguarda i problemi attuali che la

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