Rotondi: un Federatore del “Grande Centro”? Non esiste

Intervista a Gianfranco Rotondi, un politico di lungo corso. “Il nuovo Parlamento ridotto sarà esposto a sicuri rischi di minore rappresentanza”. L’euforia per la caduta del comunismo “ci ha fatto festeggiare la fine della guerra fredda e in fondo ci aspettava la guerra calda”. Draghi? “Lo vedo più libero, meno condizionato dal sospetto di lavorare per se stesso”.  “La retorica sui costi della politica ha devastato la cultura politica del nostro Paese”. Ancora attuale la funzione della Nato.

 

On. Rotondi, c’è un gran parlare del “Grande Centro”. Ma lei capito qualcosa di questa grande pentola in continua ebollizione?

Il Centro ha due significati: talvolta è uno dei modi in cui si propone il partito alternativo alla sinistra, ad esempio la Cdu in Germania e la Dc in Italia fino al 1993; altre volte si intende per Centro una formazione che non sceglie tra destra e sinistra, facendo pendere la bilancia da una parte o dall’altra in modo da lucrare un vantaggio. La prima accezione di Centro mi interessa, in Italia però purtroppo oggi prevale la seconda. Che non mi interessa per niente.

Di questo grande centro quali forze politiche dovrebbero far parte?

Dovrebbero farne parte tutte le forze politiche alternative alla sinistra, evolvendo assieme verso forme linguaggio e spirito di moderazione.

Vede all’orizzonte qualche figura che dovrebbe essere il federatore, avere forza e carisma per fare il federatore?

Il leader è come la bella del liceo, nessuno la elegge ma tutti la riconoscono quando arriva alle feste. Se mi fa questa domanda, vuol dire che il leader non c’è.

Se si parla di grande centro, evidentemente non si pensa a un sistema bipolare. Secondo lei il bipolarismo è un sistema adatto all’Italia?

La democrazia è sempre bipolare, ci sono sempre due posizioni alternative che si stagliano sulle altre e formano i termini concettuali della scelta bipolare.

Con le prossime elezioni per la prima volta dopo 75 anni avremo un Parlamento più ridotto. Secondo lei funzionerà meglio? Vede dei rischi?

Vedo non il rischio ma la certezza assoluta di una minore rappresentanza dei territori, delle categorie. La retorica sui costi della politica ha devastato la cultura politica del nostro Paese, riducendo gli spazi di libertà. Non a caso molti apostoli di questa retorica applaudivano Putin e i modelli autoritari a lui ispirati.

Come vede il presidente Draghi nella versione post elezioni presidenziali? Più debole? Più forte? Più o meno motivato?

Lo vedo più libero, meno condizionato dal sospetto di lavorare per se stesso, e più identificato con la straordinaria missione che il Parlamento gli ha assegnato.

Putin è quello che è, un invasore di un paese sovrano, che ha in pratica scatenato una guerra civile tra russi e un popolo e una terra che per la Russia è stata la culla religiosa, la patria di Gogol e Bulgakov. Ma l’Occidente ha qualcosa da rimproverarsi?

L’orgasmo collettivo per la caduta del comunismo ci ha impedito di osservare che le strutture autoritarie del potere sovietico erano immutate. Festeggiavamo la fine della guerra fredda e in fondo ci aspettava la guerra calda.

La Nato nacque nel 1949 come alleanza militare per difendersi dal pericolo Comunista. Dall’altra parte dell’Europa si costituì come pendant il Patto di Varsavia. Caduto il comunismo, il Patto di Varsavia si è sciolto. Ma la Nato no. Non dovevano sciogliersi tutte e due?

La funzione della NATO è attuale seppure in contesti diversi e al cospetto di scenari e protagonisti differenti.

La Nato deve continuare a esistere o non è meglio che l’Europa abbia un suo esercito, un suo ministro della Difesa, un solo ministro degli Esteri che parli a nome dei 27 paesi?

È un tema che spesso si è posto, ma non mi sembra che questo orientamento prevalga.

Che approdo vede di questa guerra?

Le guerre sono imprevedibili. Se funziona il negoziato, bene per tutti. Altrimenti entriamo in un tunnel dall’uscita imprevedibile.

 

Mario Nanni – direttore editoriale

 

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