Ok, ridateci i cattivi ragazzi!

Un’analisi psicologica e antropologica, che è anche una provocazione intellettuale, di tipo pasoliniano, dopo l’ultimo episodio di femminicidio

Ogni minimo commento che segue ad un fatto di cronaca efferato, inenarrabile, diciamo pure bestiale, risuona nell’etere sempre con le stesse parole, ma con intonazioni, pronunce e altezze vocali differenti: era tanto un bravo ragazzo, oppure, era un ragazzo normale, o un uomo gentile, sorridente, di buona famiglia.

Sarà stato un raptus.

Eh, no, non può essere. Dovremmo chiedere un’indagine sociologica molto dettagliata sulla nuova generazione dei “bravi ragazzi normali, tutti casa e lavoro o scuola” e sugli uomini, irreprensibili padri di famiglia e devoti ai riti religiosi.

C’è qualcosa che non torna nella definizione così scontata nei confronti di giovani e uomini, qualche volta anche donne, che si macchiano di gesti atroci, sempre più complessi e sempre meno apparentemente legati al loro normale stile di vita.

C’è una spaventosa scissione tra ciò che si mostra e ciò che si è.

È come se la soglia tra il dentro e il fuori, fisico e mentale, fosse l’apertura o la chiusura sull’abisso. Le convenzioni sociali rispettate e la liberazione degli istinti bestiali nell’intimità, nelle proprie mura domestiche.

E allora si rimpiangono i “cattivi ragazzi”; quelli rudi, maleducati, strafottenti, ma veri. Impegnati a de-strutturare con la forte volontà di non mascherarsi.

Perché era bello, era intellettuale, era libertà di essere contro.

Contro le uniformità, contro il politically correct, contro il “bravo ragazzo o uomo di buona famiglia”.

Per quegli uomini là si poteva scegliere all’istante se farsi coinvolgere o no. O dentro o fuori. Da quei ragazzi là ci si poteva difendere. Sporchi, brutti e cattivi. Magari solo fuori.

Oggi sempre più puliti fuori, garbati, firmati, educati, sorridenti, sempre più inceneriti dentro.

Non ne possiamo più di questa “brava gente” con il fango sul cuore.

Ridateci i nostri vecchi cattivi ragazzi.

È quasi una preghiera!

 

Rita Rucco – Docente, direttrice di Collana editoriale

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