La guerra ucraina o del vulcano sul mondo. Stringi, stringi, sono rimasti in … tre gli attori di questo “nuovo” ordine mondiale, ma con un esito che davvero nessuno riesce a prefigurare. È presto per dirlo, ancor più con l’ingresso del terzo grande protagonista, la Cina. Ma, nell’attuale sistema internazionale – avrebbe detto Norberto Bobbio, secondo il suo pensiero, il “terzo” che funge da arbitro o mediatore (cioè, la Cina), se non detentore di un potere coattivo tale da stroncare la guerra (ma, volendo, poteva pur sempre prevenirla), esiste solo sulla carta.
Il terzo super partes, il terzo-per-la pace dovrebbero essere le Nazioni Unite, ma nel tempo – si chiede Bobbio – come hanno esercitato questo ruolo?
Nella realtà, esautorato dall’equilibrio del terrore tra le allora grandi potenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Con la pace che riposava esclusivamente sul fatto che i due contendenti avevano (hanno) accumulato tante di quelle armi nucleari da potersi distruggere l’un l’altro nel giro di pochi di pochi minuti. È questa la potenza dell’attuale arma nucleare, centinaia e forse migliaia di volte più devastante – si discetta con competenza – di quelle lanciate su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Siamo già al libro di storia.
E in questo scenario raccapricciante di morte e distruzione, col tanto tempo perso in giro a disquisire (tredici mesi di guerra!), fa davvero impressione questa “escursione” primaverile a Mariupol, in Crimea, di Vladimir Putin. Bell’albergo e comfort di ogni genere. Poi, l’ebbrezza di un giro in macchina con un suo fiduciario. Putin alla guida! A percorrere non si sa quanti metri o chilometri tra strade sconnesse e palazzi sventrati. Ha parlato e ha bevuto, ma ha anche “ammirato” un blocco di case nuovamente costruite e avrà senz’altro detto al suo fiduciario di far aggiustare con urgenza quelle strade su cui la macchina sobbalzava. Pensa di tornarci e vedere presto Mariupol con tanto verde e tutti quei calcinacci. Questo, presumibilmente, lo scambio dialettico con i suoi fedelissimi di Mariupol e del Donbass lì giunti per omaggiarlo e ciò avveniva nello stesso momento in cui di Putin s’interessava la Corte penale internazionale, con l’accusa di crimini di guerra.
Per lui, è la prima volta. Dunque, potrebbe succedere che la Corte dell’Aia (tribunale che comprende ben 123 Paesi, ma di cui non fanno parte Russia, Usa e Cina; vedete la stortura?), riesca nel tentativo di arresto e relativo processo per i crimini commessi, tra i quali spicca quello di aver fatto rapire migliaia di bambini per poi portarli in Russia. Sicché, data la situazione, Putin non potrebbe più visitare Parigi e vedere lì come liberamente scioperano per le pensioni, oppure Roma con la Cappella Sistina, poter ammirare il Pantheon dove non potranno riposare i suoi oligarchi e dove comunque dovrebbe cacciare di tasca propria i cinque euro che insensatamente hanno deciso per l’entrata. Insomma, se vi andasse, rischierebbe di essere arrestato. Esito, comunque, molto problematico (arresto di Putin e processo) ora che alla guerra sul campo viene fatta l’abitudine e anzi cresce il fastidio e l’indifferenza, in attesa di armi ancor più devastanti che l’Ucraina riceverà nelle prossime settimane e mesi, tendenti a ristabilire i confini. Vale a dire, ripristino dei suoi confini “originari”, con Crimea e Bonbass compresi nel recinto ucraino e la Russia in ritirata con la coda tra le gambe. Ed è durissimo dire, incidentalmente, che sul campo di battaglia sono rimaste centinaia di migliaia di vite e devastazione generale. Con la guerra che non registra un solo attimo di tregua.
Il Tribunale dell’Aia (istituzione di grande civiltà), forse tra qualche anno riuscirà a fare la sua parte, ma ora bisogna fare i conti con uno scenario da brivido: la “discesa in campo” della Cina (con Xi che ha dichiarato a Putin “amicizia eterna”), non può essere lasciata alle elucubrazioni dibattimentali e giornalistiche. Qui si è in presenza di una prefigurazione apocalittica da parte di forze (limitandosi ai tre “grandi”: Usa, Russia, Cina) che in virtù forse del diritto ma anche degli arsenali in loro possesso, potrebbero dettare la regola, indicheranno la strada da seguire.
Si ripete, nessuno a questo punto è in grado di immaginare un esito possibile, se bisogna fare qualche “semplice” considerazione:
- Zelensky rivuole indietro tutto il suo territorio, Crimea e Donbass (e, s’intende, con la riparazione dei danni, subiti; già si parla di una sorta di “Piano Marshall”; e i morti a migliaia, quanto contano?)
- Putin da quei territori non intende andarsene
- La UE ha detto e ridetto che armerà l’Ucraina all’infinito
- La Cina dice di aver pronto il suo “Piano di Pace” ma nessuno gli crede, Usa in testa, e respinge tutto al mittente.
- Sul “Piano di Pace” cinese a Biden viene l’orticaria (una curiosità: perché lo fanno gli Usa e non l’Ucraina. Non s’è sempre detto che l’Ucraina è un paese sovrano?)
Si tratta di scenari di grande complicazione e forse non componibili. Basterebbe prospettarne uno soltanto: la Russia che non si ritira dai territori occupati, congelata la situazione sul campo, e con la conseguenza di una pax imposta, con imponenti forze di interposizione tra le parti in causa (tipo Libano), sotto l’egida dell’Onu. Pensiero detto e subito ritratto, pensando alle possibili gravissime conseguenze: una guerra senza fine e il realistico insorgere di un terrorismo politico e militare (fatto che quasi ricalcherebbe quanto c’è già stato nel Donbass a partire dal 2014, con oltre 8.000 morti; vicenda di cui pochi …sapevano. In tutto ciò, quale poteva essere il ruolo dell’Italia sin qui trascurabilissimo? Quello di farsi capofila di un movimento aggregativo con tanti Paesi che non vogliono questa guerra ma non sanno come fermarla. Debolissimo il lato politico, e anche il mondo della cultura ha detto veramente poco.
Resta la Chiesa, con Papa Francesco, a dire le cose che contano. Per il resto, non un colpo d’ala, non una voce critica azioni e niente coraggio che, invece, bisogna ricercare in qualche nostro grande intellettuale.
Sì, perché Norberto Bobbio, gliel’avrebbe di nuovo cantate, a destra e manca, e li avrebbe costretti a (ri)leggere il fondamentale capitolo “Pace e guerra” della sua “Autobiografia”, Laterza 1997). Norberto Bobbio era uno che aveva capito, ben prima di tanti altri, quello che può generale un conflitto. Badate, una guerra con l’impiego dell’arma nucleare. Un manifesto sul tema che dice della fondamentalità della sua lezione; una lezione di etica, di diritto.
Rimandando alle sue grandi intuizioni, Bobbio ha sempre saputo indicare quali debbano essere i compiti, i doveri delle grandi organizzazioni statuali. Sino a immaginare una sorta di “superstato”, un moloch buono, in grado di fermare ogni conflitto. Ed è sempre lo stesso Bobbio quando afferma che colui che predica l’esistenza di una sola morale, valevole tanto per gli individui, quanto per gli Stati, è ancora considerato come un visionario, un utopista, un uomo sprovvisto di senso critico. Tanto da non capacitarsi come una società composta di giuristi, sociologi, filosofi, teologi, non abbiano rinunciato a vedere nella violenza un mezzo di riscatto e di redenzione, prodromo della violenza sterminatrice.
“Se c’è anche solo una probabilità infinitesimale per fermare la mostruosa macchina che stiamo costruendo, per quella sola probabilità – ammonisce – vale la pena sfidare il destino”. Sì, perché Bobbio argomenta con tesi che è difficile contrastare, soprattutto nel richiamo alla responsabilità degli Stati che “contano”. Ricordando il grande Bertrand Russell, Nobel per la letteratura nel 1950, che fu protagonista dei movimenti di disobbedienza civile (s’intende, sempre contro la guerra), e fu firmatario (1955) con Einstein di un noto manifesto contro gli armamenti nucleari (detto solo en passant, il “Tribunale Russell” contro i crimini di guerra, fondato nel 1966 con sede a Stoccolma, aveva messo sotto accusa gli Stati Uniti per la guerra in Vietnam e si proponeva di processare le atrocità compiute).
Nel “frattempo”, ci si prepara all’ennesimo invio di armi all’Ucraina, con la novità di apparecchiature potenti e sofisticate da ritenere necessario l’addestramento di militari dispiegati un po’ in ogni dove. Anche in Italia. Resta la debolezza del “dibattito” italiano sull’argomento, anche apertamente confuso, a cominciare dal fatto di non dichiarare quali armi si inviano. Insomma, un tantino parvenu e lillipuziani.
Luigi Nanni – Giornalista – analista politico