La Treccani ricorda Enzo Sereni: un’eredità nel segno doloroso della storia, volta a costruire un futuro migliore

Un incontro per commemorare gli 80 anni dalla scomparsa di Sereni, ucciso a Dachau: scrittore, partigiano, attivista. Una personalità di grande valore e punto di riferimento essenziale per lo studio della questione ebraica. Con Massimo Bray, Giovanni Grasso, David Bidussa, Liliana Picciotto, Simonetta Della Seta, Noemi Di Segni, Giorgio Sacerdoti, Mirella Serri e un intervento del presidente israeliano Isaac Herzog

Il 18 novembre si è tenuta a Palazzo Mattei di Paganica, sede dell’enciclopedia Treccani, una giornata di studi in memoria di Enzo Sereni alla presenza dell’ambasciatore di Israele Jonathan Peled. Un’iniziativa della giornalista Simonetta Della Seta e degli storici David Bidussa e Liliana Picciotto, che Massimo Bray, direttore della Treccani, ha inquadrato nell’impegno dell’Enciclopedia a preservare i ricordi “difficili e importanti” che appartengono alla memoria collettiva italiana.

Perché quella di Sereni è un’eredità intellettuale e culturale che invita a “non subire i cambiamenti, ma a esserne protagonisti”, una lezione che Bray ha definito “fondamentale in un’epoca in cui ci troviamo ad affrontare nuove e gravissime crisi geopolitiche sociali e culturali. Crisi che ci riportano alla memoria fasi della storia che avremmo voluto dimenticare”, per poi aggiungere “il genocidio del 7 ottobre ha riaperto ricordi e memorie che è importante oggi e in questa sede tener vivo come un ricordo cruciale della storia degli ebrei e della nostra storia”. Mantenere la memoria di quello che è stato, ha dichiarato, significa costruire un futuro di pace “più equo, sicuro e solidale per tutti”.

Un letterato d’azione

Personalità di grande valore e punto di riferimento essenziale per lo studio della questione ebraica, del sionismo italiano e della Shoah, Enzo Sereni fu, nel racconto di Bray, “studioso e uomo d’azione. Letterato e combattente della resistenza, ucciso nell’orrore di Dachau”. Un “socialista e convinto pacifista, che interpretò il sionismo come un movimento volto alla coesistenza con gli arabi e all’integrazione di due popoli nell’ottica del dialogo e della tradizione”.

In un passaggio che nella situazione contemporanea ha un sapore tristemente amaro, il 7 ottobre 1926 Sereni scriveva sul giornale ebraico Israel “si cerca di instaurare in Palestina un nuovo tipo di convivenza fra gli uomini, un nuovo tipo di vita che consiste in un atteggiamento nuovo dello spirito in un senso di fraternità rinnovata fra uomo e uomo”.

Enzo Sereni
Foto di un’esecuzione per fucilazione a Dachau

 

Giovanni Grasso, consigliere per la comunicazione del Quirinale, ha ricordato il discorso di Mattarella del 25 aprile 2015, in cui Sereni era citato come uno dei “molti affluenti” che portarono acqua al “fiume della liberazione”. Il presidente israeliano Isaac Herzog è intervenuto in un videomessaggio celebrando il valore di un uomo di straordinaria “dignità e umanità”, di cui ricordare la storia perché sia d’esempio alle future generazioni.

Uno spirito, nel racconto di David Bidussa, “curioso e inquieto”, che possedeva la “sensibilità del pensare politicamente al futuro”. Un uomo capace di prendere ogni occasione come un arricchimento, in una continua somma di esperienze in cui nessuna ha mai negato la precedente.

Liliana Picciotto ha ricordato Sereni come un “combattente e partigiano che nel 1944 usò la guerra per affermare la sua idea di pacifica convivenza tra i popoli”.

Descrivendo il turbamento provato a Parigi nel 1940, mentre i tedeschi avanzavano verso il cuore della Francia, Sereni, in un testo citato da Picciotto, afferma: “Da Parigi porto questo insegnamento su cui pende la spada del nemico: se vogliamo vivere dobbiamo essere pronti a morire e a uccidere, ad affrontare il pericolo in agguato che minaccia di travolgere tutto il mondo civile e noi nella stessa maniera. Anche nella morte vi sono momenti di vita e se sapremo vivere e morire con amore non avremo smarrito la strada”. Per poi affermare in un testo successivo il suo “profondo e sincero” odio per la guerra, in cui “i diritti del singolo non devono essere calpestati”, poiché “ogni vita, è sacra” e “distruggere la vita è come spegnere una luce che non si accenderà mai più”.

La vita in Palestina

Il 17 febbraio del 1927 Enzo Sereni e la moglie Ada sbarcano in Palestina. Un anno particolarmente interessante per conoscere la regione, ha sottolineato Simonetta Della Seta, in quanto fortunato periodo di “calma straordinaria e cambiamenti positivi”, immerso in un “vivace ambiente culturale”. Nel censimento del 1922, ha segnalato, gli ebrei erano 83.790 su una popolazione di 752.048 abitanti, di cui 73.024 cristiani e 580.890 musulmani.

Foto del Bazar di Jaffa (Palestina)

 

Per Sereni, ricorda Della Seta ripercorrendo le tappe della sua vita in Palestina, l’identità ebraica non si sovrappose mai a quella italiana. Le due anime convissero nell’idea che, scriveva, “in Palestina e nella diaspora il popolo ebraico chiede di non morire e ogni ebreo deve sentire che se egli cedesse la sua ebraicità coopererebbe anch’egli alla possibile scomparsa di questo meraviglioso fiore dal mondo”. Chaim Confino, nipote di Sereni in collegamento da Israele, ha parlato della sua figura come “rappresentante del legame tra l’Italia e Israele”.

Il dialogo col mondo arabo

Nell’intento di instaurare un dialogo pacifico con il mondo arabo, Sereni nel 1930 scriveva: “accelerare l’insediamento ebraico del paese equivale ad accelerare l’insediamento arabo […] l’operaio ebreo e quello arabo sono legati per sempre: insieme progrediremo, insieme arretreremo”. Per rendere giustizia alla sua memoria, ha detto Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è necessario comprendere cosa fosse il sionismo allora, cosa significasse “impugnare l’identità ebraica per far nascere uno stato”, senza che vi fosse alcuna volontà di escludere chi già viveva quei luoghi. “Pacifista oggi è un termine che fa fatica”, ha aggiunto “Sereni era un pragmatico e si rendeva conto benissimo che per avere la pace era necessario rimuovere chi la disturbava. Quindi bisogna attivarsi, perché la pace dobbiamo portarla noi, non può arrivare da sola con gli slogan”.

Nella complicata situazione attuale, in cui si assiste a un pericoloso ritorno dell’antisemitismo, Giorgio Sacerdoti, Presidente della fondazione CDEC, ha messo in guardia dall’indifferenza della società attuale, dove non è caduta solo l’ideologia, ma anche l’idealismo, esortando a continuare a difendere quella collaborazione tra ebrei e non ebrei che ha portato alla Costituzione italiana.

 

Giulia Maria Giuffra

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