La prima donna sulla Luna? “Ci siamo quasi…”

Il programma Artemis della NASA e il contributo dell’Università della Calabria. Intervista al prof. Alfredo Garro, Presidente 20-21 Associazione Italiana di Systems Engineering (AISE), INCOSE Chapter "Italia": «Questa volta però non si tratterà solo di piantare una bandiera per dimostrare la propria supremazia tecnologica rispetto all’odiato nemico. Si andrà, invece, sulla Luna per restarci»

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Alfredo Garro è Professore Associato di Sistemi di Elaborazione presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Modellistica, Elettronica e Sistemistica (DIMES) dell’Università della Calabria. Nel 2016 è stato Visiting Scientist presso il NASA Johnson Space Center di Houston (TX, USA), divisione Software, Robotics, and Simulation (ER). La sua casa è il Campus Universitario calabrese dove il ricercatore trascorre, quando non è in missione all’estero, gran parte della sua vita. Non solo la sua casa, ma anche lo scrigno segreto delle sue ricerche, cosa non facile e per niente scontata in una Università come questa di Arcavacata, così “lontana” ma anche così “vicina” al mondo della NASA. Con lui proviamo oggi a mettere insieme i tasselli del grande mosaico internazionale della riconquista della Luna.

 

 

Professore, a che punto è oggi la ricerca per l’esplorazione dello spazio con equipaggio umano?

Mi permetto di ricordarle che sono trascorsi circa 50 anni dalla missione Apollo 17, l’ultima che ha visto un essere umano passeggiare sul nostro satellite naturale. Subito dopo l’esperienza lunare cadde però quasi nel dimenticatoio, probabilmente a causa dei costi elevati e dell’ormai scarso appeal per l’opinione pubblica americana. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno nuovamente deciso di investire nell’esplorazione dello Spazio con equipaggi umani.

Dunque, si riparte?

Il primo obiettivo è essenzialmente quello di ritornare sulla Luna, collaborando con le altre nazioni per dar vita ad un insediamento umano che possa servire da avamposto per future esplorazioni di altri corpi celesti, in primis Marte.

Cui prodest?

Diciamo che è una sfida, e che, come tale, consentirà di affrontare problemi complessi definendo soluzioni che, come è ormai prassi, avranno ricadute concrete sulla vita quotidiana di ognuno di noi e ne contribuiranno a migliorare la qualità in modo sostenibile per il nostro pianeta.

Tutto questo ha un nome ben preciso professore?

Assolutamente sì. Tali sfide vengono raccolte da Artemis, il programma avviato dalla Nasa per portare sulla Luna la prima donna e il prossimo uomo entro il 2026 e poi partire alla conquista di Marte.

Sembra una favola moderna?

È molto di più. È un programma ambizioso, dal costo complessivo di 86 miliardi di dollari di cui 35 miliardi già impegnati dal governo americano, che coinvolge le agenzie spaziali Europea (Esa), Italiana (Asi), Giapponese (Jaxa), Britannica (UK Space Agengy) e Canadese (Csa) e punta fortemente alla cooperazione tra i diversi partner internazionali.

Esiste già un’agenda di quanto accadrà nei prossimi anni?

Il Programma Artemis, così come fu per il programma Apollo, prevederà diverse missioni. La prima, Artemis 1, avrà l’obiettivo di portare la navicella Orion in orbita lunare senza equipaggio al fine di testare in ambiente operativo tutti i sistemi per consentire nelle successive missioni la presenza a bordo di equipaggio umano, dunque Artemis 2. E, infine, il ritorno dell’uomo sul suolo lunare, parliamo qui di Artemis 3.

 

 

La solita passeggiata nello spazio?

Questa volta però non si tratterà solo di piantare una bandiera per dimostrare la propria supremazia tecnologica rispetto all’odiato nemico. Si andrà, invece, sulla Luna per restarci e per far sì che essa diventi un avamposto dell’umanità per le future missioni di esplorazione spaziale. Il programma Artemis prevede, infatti, la costruzione di un vero e proprio insediamento lunare abitabile, denominato Artemis Base Camp, e di una stazione spaziale in orbita lunare, denominata Lunar Gateway.

Parliamo di ricerca avanzata e inimmaginabile prima d’ora?

Per realizzare programmi spaziali così complessi è necessario disporre di tecnologie di simulazione avanzate ed è importante l’adozione di standard internazionali. In particolare, il programma Artemis utilizza lo standard di simulazione distribuita IEEE-1516.2010 High Level Architecture (HLA) e lo SpaceFOM (Space Federation Object Model) che descrive e specifica le modalità che permetteranno ai diversi elementi di missione, sviluppati dai diversi partner, di interagire ed interoperare tra di loro con successo sia nelle fasi di progettazione che nelle fasi di implementazione e dispiegamento della missione.

Professore che esperienza è stata la sua in questo mondo così lontano dal Campus calabrese della sua Università?

Un lungo viaggio quello di SpaceFOM, iniziato nel 2016, quando, insieme al mio collaboratore, Alberto Falcone, divenni il primo europeo ad essere ospitato, in qualità di “visiting scientist”, presso la Divisione “Software, Robotics and Simulation (ER)” del Nasa Johnson Space Center (JSC) di Houston a seguito di specifico “Visiting Research Agreement (VRA)” tra l’Università della Calabria ed il quartier generale Nasa di Washington D.C.

 

 

E una volta rientrato in Italia?

Dopo un periodo di nove mesi trascorso al centro di Houston, tornato in Calabria, ho proseguito con continuità nei successivi anni la collaborazione scientifica con la Nasa assumendo in SISO (Simulation Interoperability Standards Organization) la vicepresidenza del comitato internazionale di standardizzazione che ha portato nel febbraio 2020 alla pubblicazione dello standard SpaceFOM e, poco più di un anno dopo, alla sua adozione ufficiale da parte della Nasa nell’ambito del programma Artemis.

Immagino consideri tutto questo anche una sua conquista personale?

Non è facile risponderle. SpaceFOM ha richiesto un lungo tempo di sviluppo, poiché per la sua definizione è stato necessario considerare molteplici aspetti. È essenziale in tali missioni poter simulare la fisica del sistema solare, il comportamento delle varie entità coinvolte, la loro collocazione spazio-temporale, le loro interazioni, la comunicazione e lo scambio di informazioni, gli aspetti di visualizzazione tridimensionale degli scenari di missione, la capacità di gestire il tempo in modo flessibile ed accurato. Inoltre, occorre affrontare diverse problematiche dovute alla natura distribuita di tali simulazioni: esse prevedono una infrastruttura unica a cui i vari partner si connettono dai propri laboratori e centri di sviluppo, anche per ragioni legate alla proprietà intellettuale, partecipando, ciascuno con i propri moduli, allo scenario complessivo di simulazione. Affrontare tali tematiche di ricerca e proporre delle soluzioni innovative, poi adottate e migliorate grazie al contributo degli altri partner, è di certo stata per me fonte di enorme soddisfazione.

Vogliamo parlare allora di un successo a più mani e sovranazionale?

Questo è il minimo. Per mettere a punto soluzioni efficaci e condivise è stato essenziale coinvolgere nel progetto SpaceFOM diversi attori. La Nasa ha lanciato e guidato uno sforzo internazionale che ha coinvolto vari centri spaziali e di ricerca americani, le più importanti agenzie spaziali mondiali, diverse aziende fornitrici di tecnologie e operanti nel settore aerospazio, e che ha visto per l’Europa il coinvolgimento di diversi atenei: l’Università della Calabria appunto, l’Università di Liverpool, l’Università di Bordeaux, alcuni centri di ricerca francesi, nelle ultime fasi l’Università di Roma Tor Vergata. È stato un vero onore aver contribuito con un ruolo di elevata responsabilità a questo successo.

A che punto è oggi questa sorta di joint venture tra il Campus Unical e gli americani?

La collaborazione tra il mio gruppo di ricerca all’Università della Calabria e la Nasa andrà avanti. Non può essere interrotta, perché lo SpaceFOM è ormai un elemento fondamentale in Artemis, un programma che caratterizzerà per i prossimi anni l’esplorazione spaziale con equipaggio umano. Inoltre, lo SpaceFOM è in fase di adozione da parte dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per simulare le missioni di esplorazione robotica nei corpi celesti. Attualmente ricopro la carica di vice presidente del comitato internazionale che promuove e supporta l’adozione dello standard e ne cura l’evoluzione; probabilmente SpaceFOM diventerà anche argomento di studio nei corsi universitari come esempio di soluzione robusta ed efficace per la simulazione distribuita di missioni spaziali interplanetarie.

Insomma, siamo solo all’inizio di una nuova avventura spaziale?

Molti risultati di ricerca correlati allo SpaceFOM sono stati pubblicati in articoli apparsi su riviste scientifiche internazionali e sono tutti a firma congiunta di Nasa, Università della Calabria e degli altri partner che vi hanno concorso. È in atto, inoltre, la scrittura di un volume dedicato ai temi che abbiamo sviluppato con i colleghi Nasa durante la realizzazione dello SpaceFOM in modo che la comunità scientifica possa avere un riferimento unico su di esso.

Possiamo immaginare allora una data di lancio?

Il lancio di Artemis 1, originariamente fissato per il 29 agosto 2022, ha subito alcuni rinvii a causa di problemi tecnici emersi in rampa di lancio durante la delicata fase di riempimento dei serbatoi del propellente che alimenta i quattro motori RS-25, rinvenienti dal programma Shuttle, e che costituiscono il primo stadio dello Space Launch System (SLS), l’enorme razzo che sarà impiegato per il programma Artemis.

Può aiutarci a capire meglio professore?

Ci provo. Vede, tali motori forniscono il 25% della notevole spinta necessaria all’SLS per consentire l’inserimento in orbita lunare di un carico pesante come la navicella Orion (20 t circa), il restante 75% della spinta è fornito dai due potenti razzi a propellente solido (SRB – Solid Rocket Booster) collocati ai lati del corpo centrale dell’SLS. I quattro motori RS-25 sono alimentati da 820 t di idrogeno (combustibile) e 144 t di ossigeno (ossidante) stipati in forma liquida nei due enormi serbatoi collocati nel corpo centrale dell’SLS (nello specifico nella parte di colore arancione) a temperature molto basse, -253 °C e -183 °C rispettivamente. Data la complessità di tali sistemi e delle procedure di riempimento ed alimentazione, non può sorprendere, quindi, che in rampa di lancio si possano riscontrare problemi tecnici.

Il mondo però continua ad aspettare?

Quello che posso dirle è che in questi casi, pur comprendendo l’entusiasmo e l’attesa dell’opinione pubblica verso il lancio di Artemis 1, è necessario non forzare i tempi ed operare con estrema prudenza per ridurre i rischi di fallimento della missione che comporterebbe non solo gravi perdite di ordine economico ma anche un rallentamento dell’intero programma Artemis.

Non ci resta allora che aspettare di vedere la prima donna o il prossimo uomo sulla Luna previsti nella missione Artemis 3?

Certo, ma Artemis 1 è una tappa fondamentale verso il raggiungimento di quella meta; il momento chiave, certamente per noi impegnati nel programma ma così dovrebbe essere per tutti, non sarà però il tanto atteso lancio quanto invece l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico del modulo di comando e controllo di Orion.

Perché mi dice questo?

Perché a quel punto vorrà dire che la missione Artemis 1 è terminata con successo ed è stata scritta davvero una nuova pagina di storia dell’umanità di cui siamo stati parte attiva.

 

Pino Nano Giornalista, già caporedattore centrale Rai

 

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