La Fondazione Aut Aut Ets, nata nel 2017 su iniziativa di Fondazione Carispezia, è un progetto che sceglie ogni giorno la via dell’inclusione, della formazione, della dignità. Un modello virtuoso di coprogettazione territoriale che ha saputo mettere in rete enti pubblici, privati e terzo settore, con l’obiettivo di costruire percorsi di vita indipendente e inserimento lavorativo per giovani adulti con disturbo dello spettro autistico. Un nome che è anche una scelta. O l’una, o l’altra strada. O si investe in autonomia, o si rischia di tornare indietro.
Il progetto Aut Aut
“Aut Aut è nata dagli stimoli delle associazioni Agapo e Angsa”, racconta il direttore di Fondazione Carispezia Vittorio Bracco, “da anni impegnate a dare risposte concrete a una realtà in crescita. Fondazione Carispezia ha scelto di farsi promotrice di un percorso condiviso, dando vita a un modello che integra servizi, formazione e impresa sociale, oggi concretizzato nei progetti Luna Blu e Sant’Anna Hostel”. Ma non è solo un progetto. È un metodo, una visione. “Il lavoro è uno degli strumenti più forti per promuovere autonomia e dignità. Non bastava offrire assistenza: volevamo creare opportunità reali, spazi di crescita e partecipazione. Le due strutture dimostrano che l’inclusione può andare di pari passo con qualità, sostenibilità e innovazione. Il lavoro, per noi, è un mezzo per costruire un welfare più umano, più giusto, più efficace”.
Luoghi da abitare, da costruire, da scegliere
Due spazi, due cuori pulsanti della Fondazione: Luna Blu e Sant’Anna Hostel. A La Spezia, rappresentano non solo strutture, ma comunità, in cui i ragazzi e le ragazze affetti da autismo vengono formati in attività legate alla ristorazione, all’accoglienza, alla cura del verde e degli spazi. Qui, l’autismo non è un’etichetta, ma un punto di partenza. Qui, si impara a cucinare, ad accogliere, a prendersi cura. Qui, si cresce.
Alberto Brunetti, responsabile del Luna Blu, parla con lo sguardo di chi osserva trasformazioni autentiche: “All’inizio arrivano timorosi, quasi spaesati. Poi, giorno dopo giorno, trovano un ritmo, un ruolo, un motivo per alzarsi al mattino. Nei ragazzi e nelle ragazze vediamo una vera e propria trasformazione, cambiamenti profondi e veri. Non dipendono solo dalla gravità della condizione o dalla diagnosi. È qualcosa che attraversa tutti, anche chi non riesce a raccontarlo a parole: lo vedi nel volto, nel modo in cui affrontano la giornata. Questo è il nostro più grande successo”.
Anche al Sant’Anna Hostel la quotidianità è fatta di piccoli gesti che generano grandi cambiamenti. “Le attività, se pur apparentemente ordinarie, sono pensate per favorire l’indipendenza e l’inserimento lavorativo”, spiega il responsabile Roberto Barichello. “Ricordo un ragazzo che, il primo giorno, non voleva nemmeno scendere dalla macchina. Oggi, dopo due anni, è per noi un esempio: ha imparato a gestire le proprie emozioni, è consapevole dei suoi comportamenti e li analizza con lucidità. Questo è possibile grazie al clima di ascolto che regna a Sant’Anna, un luogo in cui non si alza mai la voce, si comunica anche con chi non parla, e si crea una rete affettiva che migliora la qualità della vita anche in famiglia. Siamo ben consci che non guariamo nessuno: ma rincorriamo l’obiettivo di offrire una vita più serena o comunque più degna di essere vissuta.”.
Dove la diversità è un talento: viaggio nella vita vera di Aut Aut
Al Sant’Anna Hostel e al Luna Blu il tempo non si ferma, ma rallenta. Lì, il tempo si piega al ritmo di chi ha bisogno di imparare, di chi ha bisogno di essere visto. Due case che insegnano un futuro possibile. Ogni giorno, nei due centri, si accolgono storie. Si cucinano crocchette, si lavano pavimenti, si semina l’orto, si accudiscono stanze e animali, si impara a vivere. Pietro, per esempio, ha 38 anni e ha fatto tanti lavori, ma è al Luna Blu che ha scoperto qualcosa di nuovo: il gusto per il lavoro manuale, dove può metterci personalità, “estro, pazzia”. “Si dice che le persone autistiche non capiscono il sarcasmo. Non è vero. Io ce l’ho tutto mio: pungente, un po’ sbilenco. A volte faccio battute e mi guardano male. Ma lo faccio anche io”, spiega. Al collo porta un cordino verde con girasoli, simbolo internazionale delle disabilità invisibili. In Italia ancora poco conosciuto. “Serve per farci riconoscere, per chiedere rispetto anche se non si vede”.
Accanto a lui c’è Giulia, che in cucina ha trovato una nuova identità: “Non sapevo cucinare, facevo fatica a parlare con gli altri. Ma giorno dopo giorno è cambiato tutto: ho amici veri e un frullatore tatuato sul braccio: la mia cucina è sempre con me”.
Nel verde del Sant’Anna Hostel c’è Luca: poeta, speaker radiofonico, amante dello sport. Ogni settimana va in scena, in radio o sul palco. “Scrivo ispirandomi a quello che vivo. A teatro posso essere chi voglio. Il primo giorno al Sant’Anna è stato il più bello della mia vita”. Lorenzo, invece, cura il verde e sogna di farlo per sempre. “Il primo giorno ero molto timido, ma da allora ho fatto tanti passi avanti: non voglio più tornare indietro. Ma andare avanti, ogni giorno”.
Andrea ricorda con precisione il suo primo giorno: luglio 2016, pioveva. “All’inizio non ci credevo. Poi ho visto che questo posto cambiava con me. E io cambiavo con lui. È un luogo che è giusto che esista: qui possiamo lavorare, impegnarci, vedere riconosciuto ciò che facciamo. I nostri sforzi hanno valore”.
Paolo riconosce le galline una ad una. Le nutre, raccoglie le uova, cambia il fieno: “Qui ho imparato a farlo meglio, con cura”. Federico ha il sogno dei binari e delle ferrovie: “Il mio sogno è lavorare in ferrovia, occuparmi della manutenzione dei binari. Cambiarli quando si rompono, sistemarli. È quello che vorrei fare davvero”. Valeria, invece, sogna il conservatorio. È una pianista: “La musica è il mio linguaggio. Mi aiuta a esprimermi. Lavoro in cucina, ma suono con l’anima. Bach è il mio maestro”.
E mentre Pietro scherza tra i tavoli, Giulia sorride dietro ai fornelli, e Luca recita sotto le luci del palco, una cosa diventa chiara a chiunque entri in quei due luoghi: qui l’autismo non è una gabbia. È una chiave. Basta saperla girare.
Un cambio di paradigma necessario
Oggi Aut Aut è un esempio nazionale. Un progetto replicabile. Non è carità, non è assistenza: è cittadinanza. È futuro. Perché l’autismo, come ricorda il presidente della Fondazione Aut Aut Ets Paolo Cornaglia Ferraris, non è un’etichetta: “È una variabilità della specie umana. Non è una malattia, ma un modo diverso di sentire e pensare”.
“Abbiamo capito molte cose dell’autismo ma non abbastanza. Quello che è certo è che non si tratta di una malattia, ma una forma di neurodivergenza che riguarda almeno il 10% della popolazione. Eppure, solo il 2% trova un’occupazione. La nostra società li rende disabili, quando in realtà meriterebbero solo attenzione. Nessuno dovrebbe provare fastidio o paura davanti a una persona autistica. La parola chiave è curiosità. Se fossimo curiosi di comprendere un cervello autistico, tutto cambierebbe in meglio”.
Aut Aut è la dimostrazione che un altro futuro è possibile. Ma bisogna sceglierlo. O si costruiscono spazi di dignità, oppure si resta indietro. E questo – davvero – non possiamo permettercelo. “O creiamo spazi – conclude il dottor Cornaglia Ferraris – dove queste persone possano vivere, lavorare e amare, oppure non resta che tornare ai manicomi. Ma noi scegliamo la libertà, l’inclusione, la dignità”.