Israele tra antisemitismo e Hamas: quando la ragione affoga nel sangue

Storia di una odissea plurimillenaria. Un breve excursus sulla storia recente

Guerre e pace scandiscono la Storia dell’Uomo. Il Medio Oriente non fa eccezione. Se di ogni evento dobbiamo cercare di comprendere le cause, anche nel caso dell’attuale conflitto aperto tra Israele e Hamas è d’obbligo guardare indietro e non concentrarci sull’orrore del 7 ottobre 2023 come su di un’improvvisa miccia che ha dato fuoco a un incendio.

 

 

 

Non è semplice cercare nel passato, in particolare quando questo coinvolge il popolo ebraico con il fardello enorme di persecuzioni che ha subito. Filone di Alessandria era lì, quando ad Alessandria d’Egitto, su istigazione di Flaccus, governatore romano, la comunità ebraica è attaccata, e ce ne descrive il massacro. Il “perché” non è chiaro. Non è mai chiaro. “Perché ebrei” sembra la risposta più plausibile. Costretti a spostarsi come nomadi nella diaspora che segue la distruzione del tempio di Gerusalemme, perseguitati a Roma, vedono nel Cristianesimo che diviene la religione ufficiale una delle cause più feroci di quell’antisemitismo che in modo più o meno evidente è arrivato fino a noi.

Accusati di deicidio, soffrono il periodo delle crociate come uno dei più oscuri, dopo che Papa Urbano II dà mano libera ai cristiani di sterminare tutti gli ebrei che incontrano nel loro cammino verso la Terra Santa. In Spagna, costretti alle conversioni, grazie all’opera di assimilazione di Isabella di Castiglia e Fernando di Aragona, conoscono un periodo di pace di breve durata. Esplode l’Inquisizione di Torquemada che convince i Sovrani a non accettare come cristiani i convertiti perché hanno sangue impuro nelle vene.

A Toledo nel 1449 nasce la prima legge razziale. Accusati delle più orrende nefandezze, quale di fare gli azimi con il sangue di bambini cristiani (documentate dagli affreschi che possiamo vedere in nostre bellissime chiese), subiscono l’onda più barbara della follia inquisitoria religiosa. Come sempre lasciano ogni loro avere e migrano. Fuggono dalla Spagna in centomila su imbarcazioni che nessuno vuole fare approdare. Arrivano in Portogallo, alcuni si rifugiano nell’Est Europeo, altri riparano in terra araba.

In Arabia sono sottoposti al dhimmi (tributo imposto ai non musulmani), ma sono protetti. In Europa non c’è tregua, la discriminazione e i massacri si succedono con punta estrema in Francia sotto Filippo il Bello. Arriva infine la rivoluzione francese. La “Dichiarazione universale dei diritti umani” scuote a fondo le coscienze, ma gli ebrei sono esclusi dallo stato di “cittadino” e ci vorrà un appassionato discorso di Robespierre per convincere il popolo che anche gli ebrei hanno diritti umani.

L’ “Affaire Dreyfuss” permette di comprendere quanto l’antisemitismo continui a serpeggiare nella oramai laicissima Francia e il ghetto di Roma, sotto Pio IX, ci dà la misura di un cristianesimo che non lascia tregua. Nell’Est europeo, intanto, esplodono i progrom.

Oramai gli avvenimenti non sono più solo narrati in documenti scritti.     L’avvento della fotografia permette di mostrare al mondo la strage di Kishinev (18-21 aprile 1903), in Bessarabia, dove l’antisemitismo si era ingigantito grazie ad una stampa martellante. Gli antichi miti riemergono e la morte di due bambini è nuovamente attribuita agli ebrei che l’avrebbero causata per usare il loro sangue per gli azimi.  Lasciato ogni loro avere, abbandonano la terra in cui sono nati e nuovamente migrano.

Questa volta la meta sono soprattutto gli Stati Uniti, mentre una piccola parte raggiunge la Palestina. Gli ebrei che restano in terra russa avranno un ruolo di primo piano nella rivoluzione, tramite cui acquisteranno, in un primo tempo, diritti di uguaglianza.

É comprensibile, in questo quadro di persecuzioni millenarie, di sopravvivenza, di Storia scritta col proprio sangue, come la nascita del progetto sionista, alla fine del XIX secolo, diventi speranza che dia risposta al bisogno di un “luogo” dove i perseguitati possano sentirsi “a casa”. In pace. Israele.

La Palestina e i suoi contorni

All’epoca, la Palestina come terra definita, non esiste. Fa parte di un insieme che accorpa Libano e Syria, gli attuali territori palestinesi inclusa Gaza, e l’attuale Stato di Israele. É una terra per lo più arida e incolta abitata soprattutto da popolazioni di cui solo una minima parte è alfabetizzata. Al tempo della prima Alya (la prima immigrazione di ebrei contadini) vi vivono circa 35.000 ebrei e 450.000 arabi di cui l’88% musulmani e il 12%cristiani. Il tutto è sotto gli Ottomani.

 

 

 

Quella terra per gli ebrei è “Eretz Israël” e per gli arabi “Syria del Sud”. Solo tra il 1920 e il 19 21 con il costituirsi del “Movimento nazionale palestinese” è adottato il termine “Palestina” per definire quella zona oramai sganciata dalla Syria. Nel 1901 intanto è nato il “Fondo permanente ebraico” con lo scopo di comprare terre in Palestina. Iniziano le migrazioni di ebrei verso la “Terra promessa”. La prima guerra mondiale con il crollo dell’Impero ottomano porta drammatici mutamenti nell’area Medio Orientale. L’Impero, immenso, andava dal Marocco alla Persia, controllava l’Anatolia, la Mesopotamia, l’Arabia e l’Egitto (quest’ultimo con prerogative di Stato vassallo autonomo, poi Sultanato e protettorato britannico). La guerra vede le rivolte arabe contro i turchi, guidate dagli inglesi su accordi che prevedono la creazione di una nazione araba.

Contemporaneamente la dichiarazione Balfour (1917) apre alla nascita di uno Stato ebraico sulle stesse terre. Gli accordi segreti Sykes-Picot tra Inghilterra e Francia spartiscono, nel contempo, Mesopotamia e Anatolia in due zone d’influenza occidentale (A e B). La zona A comprende Irak, Giordania e Palestina; quella B Syria e Libano. Intanto il piano sionista con il crollo dell’Impero ottomano si avvantaggia. Numerose terre di Palestina appartengono a proprietari che si sono trasferiti altrove, non hanno più interessi in loco e sono bene disposti a venderle. Sono acquistate tramite il “Fondo permanente ebraico” e vi si installano ebrei per viverci e coltivarle. Dopo Degania (1909), nasce il più consistente kibbutz di Bein Aifa (1922). Il tradimento dell’Occidente verso il mondo arabo apre una serie di conflitti continui dal 1920 al 1939 tra comunità locali, potenze mandatarie e élites che le sostengono, con l’eccezione della Turchia e della Persia. Nasce il nazionalismo palestinese antisionista.

L’idea di essere spodestati dalle loro terre prende vigore. Il Mufti Amin al Husseini, ha un’intuizione geniale: comprende che solo l’Islam può tentare di riuscire a compattare il mondo arabo diviso. Anche se Gerusalemme non è mai menzionata nel Corano e la Palestina non ha mai ricoperto ruoli centrali, riesce a federare la lotta araba antisionista, facendo di Al Quds (Gerusalemme) il centro spirituale dell’Islam, e della Palestina una causa islamica. L’esplodere della seconda guerra mondiale segna una breve tregua alle lotte interne mediorientali, ma è solo un preludio all’esplodere dei conflitti che si susseguono dopo la costituzione dello Stato di Israele.

 

 

 

A questo punto, avere sotto gli occhi le mappe dei territori dal periodo immediatamente precedente la nascita di Israele fino ai giorni nostri, passando per le guerre più importanti (1948, 1967 e 1973), per gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele (1978), l’accordo di Oslo tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese (1993) e il “Trattato di pace israelo-giordano” (1994), può essere d’aiuto per cercare di districare, anche se solo in parte, una situazione intricatissima.

 

 

 

Non sono qui approfonditi, infatti, né il ruolo dell’Occidente, né le guerre che si aprono tra Israele, Syria e Libano, Paesi in cui le migrazioni palestinesi rivestono ruolo primario nelle guerre civili che si susseguono. Le mappe aiutano a meglio comprendere sia alcune risoluzioni dell’ONU che il problema dei così detti Territori occupati. La Shoah, che può essere considerata l’orribile conseguenza di un odio mai spento contro gli ebrei e che, su base razziale, ha perseguito il progetto dello sterminio (parzialmente riuscito con i suoi 6 milioni di morti) di un popolo, sgomenta l’intero Occidente.

 

 

 

Tuttavia, sarebbe semplicistico ritenere che Israele nasca come una forma di risarcimento per gli orrori razziali compiuti in Europa contro il popolo ebraico. La Palestina è protettorato britannico e i britannici sono gli unici belligeranti del Vecchio Continente, che, nel quadro della seconda guerra mondiale, non si siano coinvolti nello sterminio degli ebrei. Hanno combattuto il nazismo e sono stati esenti da ogni forma di collaborazionismo. Con la lungimiranza che li contraddistingue, gli inglesi considerano che il colonialismo mediorientale ha oramai il tempo contato. Un territorio in Palestina, al fine di proteggere gli interessi britannici legati al Canale di Suez e mantenere un controllo in territorio mediorientale, è possibilità imperdibile.

Un territorio che si chiami Israele è qualcosa d’irrinunciabile, una volta creato, per gli ebrei che, dopo quasi due millenni di persecuzioni hanno finalmente una loro Terra. Finché l’ultimo ebreo avrà vita, combatterà per quella Terra e, implicitamente, per gli interessi occidentali in Medio Oriente. Israele ha iniziato a esistere il 14 maggio 1948. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva proposto la creazione di due Stati (risoluzione 181): quello arabo e quello israeliano. Era una divisione possibile, con accesso al mare di entrambi e spartizione delle acque dolci. Il 56,47% del territorio veniva dato a 500.000 ebrei più 325.000 arabi che vi vivevano (825.000), il 43,53% era dato a 807.000 arabi più 10.000 ebrei stanziali (817.000). Il piano è rifiutato dagli arabi. Guardando la mappa del 1946, possiamo capirne la ragione.

Se la popolazione araba, che occupava allora il 94% del territorio, tuttavia, lo avesse accettato in cambio della convivenza pacifica, non ci sarebbe stata una Nakba, né, in conformità con il piano Dalet, la migrazione forzata di 750.000 arabi costretti a lasciare le loro case e terre a seguito della prima guerra arabo-israeliana. Il 16 maggio 1948, Egitto, Syria, Irak avevano, infatti, attaccato la neonata Israele. La disorganizzazione, unita all’embargo generale delle armi imposto da Inghilterra e Stati Uniti sui Paesi arabi, permette una rapida vittoria.

Il risultato è l’armistizio del 1949. La mappa ci permette di vedere come il territorio arabo di Palestina in pratica non esista più. Sono ridisegnati i nuovi confini ufficialmente riconosciuti. Israele ha inglobato larga parte del territorio, fatta salva la striscia di Gaza, sotto controllo egiziano, la Cisgiordania e Gerusalemme Est sotto controllo Giordano. Questo farà esplodere l’antisemitismo del mondo arabo, con spaccatura irrimediabile tra popoli e culture e nuove persecuzioni nei confronti degli ebrei che vivono nei Paesi arabi del Medioriente, costretti ad abbandonare ogni loro avere per provare a ricominciare altrove (Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda; piccola parte in Israele). Intanto l’URSS che, per prima, ha riconosciuto lo Stato di Israele e ha permesso a circa 300.000 ebrei sovietici di trasferirvici, è ricaduta in una spaventosa ondata di antisemitismo.

L’arrivo di Golda Meir, invitata in Russia, ha scatenato l’entusiasmo degli ebrei che vi vivono con accoglienze trionfali. Ciò impensierisce Stalin che, facile agli stermini, accorgendosi che troppi ebrei rivestono cariche e ruoli di potere, decide di iniziare con sistematiche epurazioni. Blocca le frontiere, impedendo agli ebrei di lasciare il territorio. Il comunismo non può invocare né ragioni religiose, né razziali.

Questa volta le accuse sono di alto tradimento, complottismo e congiure. I processi si concludono con scontate esecuzioni e condanne ai lavori forzati. Solo dopo la morte di Stalin, agli ebrei è concesso di lasciare quella che era stata la loro Patria nell’Europa dell’Est. Lo fanno, come sempre, abbandonando tutto. La migrazione, questa volta ha una méta precisa: Israele. L’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) è fondato nel 1964. Nel 1967 Egitto, Syria e Giordania attaccano Israele. É la guerra arabo-israeliana dei sei giorni con cui lo Stato ebraico (lo vediamo dalla mappa) quadruplica il proprio territorio.

 

 

 

L’Egitto perde la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza; la Syria perde le alture del Golan, la Giordania deve rinunciare ai territori palestinesi sotto il suo controllo. Il cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite non porta la pace. I Paesi arabi adottano la Risoluzione di Khartoum (settembre 1967) in cui proclamano che non vi sarà né pace, né negoziazione, né riconoscimento del diritto di Israele ad esistere. E’ l’inizio della guerra d’usura che sfocerà nella guerra dello Yom Kippur del 1973, guidata da Egitto e Syria col supporto militare di altri 13 Paesi e, per la prima volta, il sostegno di URSS e Germania dell’EST. A Israele vengono in aiuto gli USA. La vittoria sul campo permette allo Stato ebraico di allargare ulteriormente i propri territori. Intanto le Nazioni Unite il 22 novembre 1967 avevano votato la risoluzione 242 di contrastata interpretazione tra la versione inglese (ritiro da territori occupati) e francese (ritiro dai territori occupati).

 

 

 

Per la prima volta era sancito che non si possono occupare territori con la forza, mentre si invitava Israele a restituire quanto conquistato in cambio del riconoscimento al proprio diritto di esistere. Ciò era possibile con l’Egitto, Giordania e con l’Autorità Nazionale Palestinese di Arafat. Il concetto che, se si è stati attaccati e per difendersi si sconfina in territorio nemico, dopo sangue e dolore si debba rendere al nostro nemico, che ha in statuto la nostra distruzione, il territorio conquistato, è decisamente di difficile comprensione. É1 meglio comprensibile, nel caso in esame, l’interpretazione “territori resi in cambio di riconoscimento”.

Israele, è palese, non potrà mai rendere le alture del Golan, che permettono una facile posizione di forza alla Syria in caso di attacco, se non a patto di accordi precisi e di un riconoscimento al proprio esistere che la Syria non ha mai voluto e non vuole dare. Il problema dei confini israeliani, tuttavia, è un problema reale e non risolto. Mentre con Egitto e Giordania, questi sono tracciati, quelli con la Cisgiordania, non lo sono stati mai. Si può considerare come Israele sia forse l’unico Paese al mondo che ha una parte del proprio territorio senza confini definiti. Ciò ha comportato e comporta una serie interminabile di abusi che il governo Netanyahu, in particolare, non solo non è stato in grado di gestire, ma ha esponenzialmente acuito con gli accordi di governo con l’estrema destra.

Il rinforzarsi di Hamas, eletto al potere in Gaza con il 70% dei consensi, la debolezza crescente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che non ha la forza di proteggere i propri territori, ha portato a conflitti continui che vedono ora adolescenti (“La fossa dei Leoni” per i palestinesi e “I giovani delle Colline” per gli israeliani) combattersi e uccidersi in un massacro che non ha senso né fine. Gli arabi israeliani frequentano le università insieme ai propri coetanei ebrei, hanno libertà di esercitare le professioni che scelgono.

Gli arabi palestinesi crescono nell’ingiustizia, odio, miseria, desiderio di rivendicare terre perdute dai loro bisnonni in un futuro che non ha futuro se non nel martirio cui si votano. Mentre Hamas acquista forza davanti al mondo arabo e scompagina ogni volontà di accordo e di pace e l’antisemitismo sempre meno latente riemerge in Europa, i palestinesi di Gaza affrontano uno sterminio senza precedenti. Il perché di tutto questo al momento è ancora oscuro. Varie le interpretazioni.

Di certo c’è il non rispetto per la vita umana. Israele massacra civili palestinesi, ma Hamas (che ha fatto strage dapprima civili israeliani e ancora non si accorda per la restituzione degli ostaggi in cambio del “cessate il fuoco”) non poteva non avere considerato la reazione abnorme di Israele. Nelle moschee e nelle sinagoghe, inutilmente Corano e Talmud recitano: chi salva una vita salva il mondo.

Bibliografia:

Michael Brenner, Geschichte des Zionismus, München, C. H. Beck Verlag, 2002;

Hamit Bozarslan, Une histoire de la violence au Moyen-Orient. De la fin de l’Empire ottoman à Al Qaida, Paris, La découverte, 2008 ;

Jérôme Bourdon, Le récit impossible. Le conflit israélo-palestinien et les médias, Bruxelles, Ina/De Boeck, coll. Médias recherche, 2009;

Robert Jan van Pelt, Deborah Dwork, Flight from the Reich: Refugee Jews, 1933-1946, New York, Norton, 2009;

Georges Bensoussan, Juifs en Pays arabes. Le grand déracinement 1850-1975, Paris, Tallandier, 2012;

David Nirenberg, Anti-Judaism, The western Tradition, New York, Norton, 2013;

Jacques Baud, Defeating  Jihadist Terrorism, Paris, Max Milo, 2022;

Georges Bensoussan, Les Origines du Conflit israélo-arabe (1870-1950), Paris, Ed. Que Sais-je?, 2023.

 

Maurizia Leoncini – Freelance Journalist

 

 

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide