I droni sconfinati in Bielorussia e in Polonia questo 10 settembre hanno immediatamente fatto richiedere dal governo di Varsavia l’attivazione dell’articolo 4 della Nato e hanno portato alla militarizzazione del confine europeo ad Est con l’operazione Sentinella orientale. Nel frattempo, il presidente polacco Donald Tusk, il cui gradimento è ai minimi termini, ha dichiarato cha mai come ora, dalla seconda guerra mondiale, l’Europa è prossima a un conflitto.
È palpabile in Europa, in questo momento più che mai, lo stacco tra popolazioni e propri governanti, e ciò per la Polonia assume anche aspetti controversi e dolorosi su radici profonde. Questo Paese nel cuore d’Europa che si estendeva dal Baltico a parte dell’Ucraina, che venne invaso da Stalin e Hitler e poi, caduta la Germania, senza che nessuno ne difendesse il diritto alla sovranità, fu ricompreso nello spazio sovietico fino alla caduta del muro di Berlino, se da un lato ha pulsioni russofobe, dall’altro ha in sospeso conti pesantissimi con l’Ucraina. Il predicare di Tusk che vorrebbe Polonia e Ucraina unite contro la Russia, nemico comune, non trova rispondenza nella gente comune, se non in un “retro pensiero” che porti a considerare uno smembramento dell’Ucraina e un allargarsi della Polonia a est, verso quelle aree, Volinia e Galizia, che un tempo furono sue e nei cui territori si è consumato un vero e proprio genocidio ai danni della popolazione polacca portata avanti da ultra-nazionalisti ucraini e collaborazionisti della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale.
Alla fine della seconda guerra mondiale l’Urss coprì questa pagina di storia garantendo per anni all’Ucraina l’impunità. I popoli, tuttavia, non dimenticano e l’orrore fu tramandato all’interno delle famiglie polacche in attesa del giorno in cui la Storia potesse essere raccontata. E quel giorno è arrivato, gli archivi si sono aperti, gli storici si sono messi all’opera. Le testimonianze raccolte dai sopravvissuti o dai loro familiari sono emerse dall’ombra insieme a vecchie fotografie e appunti scritti a mano su fogli sbiaditi e sono state raccolte le documentazioni in Polonia.
Nel 2016 la pressione popolare fu tale che venne istituito il Giorno della memoria del genocidio polacco: l’11 luglio la Polonia e le comunità polacche all’estero ricordano quanto avvenne tra il 1939 e il 1945 (con particolare intensità tra il 1943-44) nell’attuale Ucraina contro la popolazione polacca. 1.500 villaggi cessarono di esistere. Il massacro ebbe luogo in Volinia e Galizia orientale, allora appartenenti alla Polonia e a minoranza ucraina, e raggiunse il suo apice l’11 luglio 1943, passato alla storia polacca come Domenica di sangue. Si trattò di un vero e proprio genocidio programmato dai collaboratori ucraini del nazismo tedesco, volto a fare scomparire ogni traccia di esistenza di polacchi sul suolo ucraino. Le stime delle vittime vanno da un minimo di 130mila a circa trecentomila, ma il conteggio esatto è difficile.
Sono passati ottant’anni da allora e ancora (nonostante la guerra) l’Ucraina è rimasta sulle sue posizioni di diniego, ponendo sullo stesso piano le vittime polacche con le vittime ucraine (circa dieci o dodicimila) dei partigiani polacchi che cercarono di reagire salvando quel che restava. In un equilibrato discorso Andrzej Duda, ex-presidente della Polonia, ribadì che non vi è intento di vendetta nel volere che l’Ucraina riconosca l’orrore del genocidio. In questo momento la Polonia è contro l’invasione russa e ha anche accolto i migranti ucraini, malgrado il sangue polacco versato per mano ucraina. Tuttavia, urge ammettere la verità: non ci può essere riconciliazione tra i due Paesi fino a quando il massacro della Volinia e Galizia non sarà commemorato e fino a quando l’ultima fossa comune delle vittime (la cui esumazione finora ha interessato solo un 10% ed è stata bloccata dopo il colpo di Stato del 2014) non sarà stata aperta.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in linea con il predecessore Petro Porošenko almeno fino all’invasione russa, non ha particolarmente colpito i polacchi presentandosi il Giorno della memoria con un lumino in mano. Tusk, invece, ha attirato l’indignazione dei polacchi per essersi accordato col presidente ucraino sul numero delle vittime, chiudendo il conto a centomila, in una contrattazione che ha offeso le famiglie delle vittime e la popolazione intera.
Poco o nulla sappiamo noi, cittadini dell’Europa occidentale, di questo genocidio. Determinante, oltre al velo successivo steso dall’Urss, fu la complicità degli Stati Uniti che, ossessionati dal comunismo, alla fine del conflitto mondiale protessero quanti più criminali ucraini poterono portandoseli negli States per utilizzarli come canale di spionaggio privilegiato sul suolo dell’Urss. Poco importava che fossero stati collaboratori dei nazisti, che avessero commesso atrocità, che fossero ricercati quali criminali di guerra, che fossero addirittura stati condannati a morte in contumacia. Mentre a Norimberga si celebrava il processo sui crimini tedeschi, i criminali ucraini trovavano falsi nomi e la protezione della Cia. La Guerra fredda giustificava ogni cosa, e il silenzio cadde sul genocidio polacco, tramandato di padre in figlio in attesa che ci fosse giustizia.
Dopo la fine dell’Urss, la verità ha iniziato a emergere e gli studi si sono susseguiti. Il politicamente corretto, che ha indotto nell’Ue all’autocensura di giornalisti, ha portato, in Usa, all’autocensura addirittura di studiosi in precedenza meritevoli di avere, se pur parzialmente, affrontato comunque il problema del genocidio polacco. Lo storico Timothy Snyder di Yale, ad esempio, autore di Bloodlands, malgrado avesse già in precedenza ridotto al minimo i crimini ucraini, si è affrettato, ora, addirittura a lavare anche quel poco che aveva documentato, giungendo a giustificare il criminale nazista Stepan Andrijovič Bandera (a tutt’oggi celebrato in Ucraina con monumenti, bandiere e magliette) e facendone il simbolo dell’irredentismo ucraino. Poco importa che a Bandera si debba un milione di ebrei sterminati e che al suo braccio destro, Mykola Lebed, siano direttamente da ascrivere almeno 37mila civili polacchi uccisi. Lebed è fra i criminali che finirono i loro giorni negli Stati Uniti protetto dalla Cia, con incarichi di alto livello nei Servizi segreti. Intanto, in Polonia, con fatica e dolore si è iniziata a scrivere la Storia negata. Nel 2000 è uscito il monumentale ed estremamente documentato lavoro di Wladyslaw e Ewa Siemaszko, Genocide committed by ukranian nationalists on the polish population of Volhynia during world war II 1939-45, a tutt’oggi punto di riferimento per ogni studio (cfr. anche l’attuale e in formazione Genocidium Atrox), che riprende importanti testimonianze e documenti d’archivio ancora esistenti, da cui è inequivocabile il progetto e l’attuazione del genocidio.
Tra il 1919 e il 1920 si era consumata la Guerra polacco-ucraina, conclusasi con la vittoria dei primi e la costituzione della Seconda repubblica polacca, ma nulla poteva fare presumere che dopo oltre vent’anni di convivenza, che pareva pacifica, gli ideali nazisti per la pura razza ucraina sarebbero giunti a compiere un genocidio.
Un ordine dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) di Bandera impone agli inizi del 1944: “Liquidate ogni traccia di polacchi. Distruggete tutti i muri di chiese polacche e di loro luoghi di culto. Distruggete i loro frutteti e campi e tutto di loro di modo che non esista più traccia del fatto che abbiano messo piede su questa terra”. E ancora, il 16 aprile 1944,: “Uccidete i polacchi senza pietà. Non deve esserne risparmiato uno solo. Questo anche nel caso dei matrimoni misti”. Speciale menzione va riservata alla sorte del coniuge polacco nei matrimoni misti e ai bambini nati da tali matrimoni, cui è imposto di massacrare il compagno della propria vita e i propri figli, unicamente rei di avere ‘sangue misto’ nelle vene. Dalla Bibbia, in cui un angelo ferma il braccio di Abramo sul figlio Isacco, a Artemide che sottrae Ifigenia perché l’immagine dell’Iliade con Agamennone che immola la propria figlia è inaccettabile, l’Uomo aveva sempre opposto il rifiuto a tale barbarie.. La distruzione di 1.500 villaggi completamente rasi al suolo (e sul cui territorio si sono insediati ed estesi agglomerati urbani ucraini) è stata talmente efficace da rendere non semplice il compito di identificare la loro esatta ubicazione. Dopo il massacro di Wola Ostrowiecka il comandante locale Lysiy, poteva annunciare: “Abbiamo liquidato tutti i polacchi, dai più giovani ai più anziani. Abbiamo bruciato ogni cosa e ci siamo impossessati di ogni loro avere”.
Tutto ciò accadde in parallelo alla partecipazione ucraina allo sterminio nazista degli ebrei, che riveste un capitolo a parte. L’Olocausto fu perpetrato in Ucraina da organizzazioni in divisa (in particolare degli Einsatzgruppen delle SS). Questo non avvenne, nel caso dei polacchi. Le truppe di Bandera, Taras Bulba-Borovets, Andriy Atanasovych Melnyk, addestrate dai tedeschi, non furono determinanti. Determinanti furono le migliaia di persone locali che, istruite a dovere, compirono tali atrocità che vengono lasciate agli approfondimenti personali che il lettore, sulla base delle fonti in calce, se interessato, vorrà fare. La singolarità del genocidio polacco fu nell’attiva partecipazione di buona parte della popolazione ucraina della regione, armata con asce, coltelli, forconi per impedire ai polacchi di mettersi in salvo dagli attacchi, sempre notturni, e ostacolare ogni fuga. Addirittura donne, ragazzi e bambini furono istruiti a razziare e a infierire sugli agonizzanti. Il genocidio polacco non è stato eseguito da forze occupanti, ma da quegli ucraini che erano stati polacchi sotto la Seconda repubblica polacca e che poi conservarono accuratamente i propri documenti (o usarono quelli dei morti) per servirsene nella fuga verso l’Ovest a fine guerra.
Certo vi furono anche eccezioni, ucraini che preferirono la morte insieme alla propria famiglia mista o pagarono con la vita il rifiuto di partecipare al massacro o misero in salvo propri vicini, ma furono esempi rari. A loro è stato dedicato il particolare titolo di Giusti, sull’esempio dei Giusti tra le nazioni che custodisce i nomi di coloro che salvarono gli ebrei dalla Shoah.
I genocidi hanno un peso enorme sulla coscienza di un popolo. I tedeschi seppero guardare i propri crimini verso la Polonia e chiedere perdono (presidente Roman Herzog, Varsavia il 1 agosto 1994). Così fecero i russi (presidente Boris Yeltsin, 25 agosto 1993) che chiesero perdono per i 22mila soldati polacchi prigionieri sterminati in Katyn e del cui massacro Stalin incolpò falsamente i tedeschi. Non una sola parola, invece, è giunta dal popolo ucraino per i polacchi. Porošenko rispose con il disprezzo, bloccò le esumazioni e perseguitò gli attori ucraini che parteciparono al film Volhynia di Wojciech Smarzowski, un lungometraggio blandamente informativo se posto a confronto con le fonti e le testimonianze, volto a tendere una mano più che a creare fratture. Un popolo che non sa chiedere perdono per la propria crudeltà è un popolo che ha perso il contatto con la propria umanità.
Nel 2024 è stato eretto il monumento commissionato dai Veterani polacchi d’America allo scultore Andrzej Pityński per commemorare il genocidio (in copertina). Una famiglia e l’aquila simbolo della Polonia vi figurano in fiamme, mentre al centro, elevato verso il cielo vi è un neonato impalato sull’affilata punta centrale del tridente simbolo dell’Ucraina. Tusk ha cercato svariate giustificazioni per eliminare tale lavoro, ma la popolazione si è opposta. Scartate le piazze di Varsavia e Cracovia per motivi di opportunità, il monumento ha trovato sede a Domostawa nel sud della Polonia ed è diventato luogo di pellegrinaggio. Di recente il monumento è stato vandalizzato, sfregiato con la bandiera rossa e nera delle formazioni naziste di Bandera e la scritta “Gloria all’Armata ucraina rivoluzionaria”. L’arroganza dell’impunità può diventare un’abitudine difficile da estirpare. Non sappiamo che ruolo rivestirà Varsavia nella guerra d’Ucraina, tuttavia la portavoce del ministero degli Esteri russo, Marija Zacharova, nel Giorno della memoria del genocidio polacco del 2024 pronunciò un discorso (oscurato in Europa) in cui, commemorando le vittime, chiedeva al popolo polacco solidarietà con la popolazione di sangue russo del Donbass, sottoposta prima alle leggi razziali e poi ai bombardamenti e alla pulizia etnica da parte ucraina.
“Kto tego nie widział, ten nigdy w to nie uwierzy”. “Chi non ha visto non potrà credere” , è scritto sul frontespizio del libro del ministero dell’Educazione polacco rivolto agli studenti dedicato al genocidio, affinché anche i giovani sappiano, non dimentichino e trasmettano a loro volta alle generazioni future. Interessante l’osservazione criptica di Putin, rivolta all’Ucraina, nell’integrale edizione della sua lunga intervista a Tucker Carlson circa l’aiuto offertole dalla Polonia e così decodificabile: gli abbracci, quando non è stato possibile voltare pagina su un orrore scritto col sangue del proprio popolo, possono essere mortali.
Nota dell’Autrice: le immagini del genocidio polacco per mano ucraina non trovano qui spazio per non ferire la sensibilità del lettore. Di alcune di tali testimonianze vengono dati, in calce, gli estremi di reperimento.
Fonti
Wladyslaw Siemaszko e Ewa Siemaszko, Genocide committed by ukranian nationalists on the polish population of Volhynia during world war II 1939-45, Warsaw 2000;
Ryszard Szawlowski, English summary of the work by Wladyslaw Siemaszko and Ewa Siemaszko, Genocide committed by Ukrainian nationalists on the polish population of Volhynia during World War II (1939-1945), 2000;
Timothy Snyder, Bloodlands, NY, Basic Books, 2010;
Aleksandra Zińczuk, Reconciliation through Difficult Remembrance. Volhynia 1943, Stowarzyszenie, Panorama Kultur, Lublin 2012;
Paweł Naleźniak, “Genocide in Volhynia and Eastern Galicia 1943–1944” in The Person and the Challenges, Volume 3, Number 2, p. 29–49, Institute of National Remembrance, Cracow 2013;
Institute of National Remembrance, 1943 Volhynian massacres, Truth and Remembrance, S.A., Warsaw 2013;
Grzegorz Rossoliski-Liebe, Stepan Bandera: The Life and Afterlife of a Ukrainian Nationalist: Fascism, Genocide, and Cult. Stuttgart, Ibidem-Verlag, 2014;
Wojciech Smarzowski, Wołyń, film 2016;
Wladyslaw Siemaszko e Ewa Siemaszko, The Ukrainian Terror and Crimes against Humankind Committed by OUN-UPA against the Polish Population in Volhynia in the Years1939-1945, 2019. https://ojs.tnkul.pl/index.php/sp/issue/view/337;
Massimo Mazzucco, Ucraina l’altra verità, documentario 2022;
Collin Tovey, Means, Ends, and Perpetrators: Connections between the Holocaust and the Genocide of Ethnic Poles in Volhynia and Galicia, North Carolina Journal of European Studies, Volume 3, 2023;
Grzegorz Motyka, From the Volhynian Massacre to Operation Vistula, Paderborn, Brill Deutschland GmbH, 2023;
NFP (Notes from Poland), Controversial memorial to victims of WWII massacres by Ukrainian nationalists unveiled in Poland, rivista online, Jul. 15, 2024;
Tucker Carlson, Intervista a Vladimir Putin, https://www.youtube.com/watch?v=hYfByTcY49k, 8 febbraio 2024.
NFP (Notes from Poland), Ukraine criticises Polish plans for “day of remembrance for victims of genocide” by Ukrainian nationalists, rivista online, Jun 5, 2025;
The Kiev Indipendent, “Poland establishes July 11as National Day of Remembrance for Volyn massacre victims”, July 3, 2025;
Genocidium Atrox (sito online in evoluzione): http://www.swzygmunt.knc.pl/GENOCIDEs/15_GENOCIDUM_ATROX/vENGLISH/MAINs/GENATROXsearch01.htm.
Per alcune testimonianze e immagini d’archivio del genocidio, oltre a quanto figura nel lavoro di Wladyslaw e Ewa Siemaszko, nell’ottima recensione ragionata di Ryszard Szawlowski e nel volume di Grzegorz Motyka, cfr.:
https://www.pismowidok.org/pl/archiwum/2019/24-de-formacje/wianek-i-rysy.-sprawa-marianny-dolinskiej;
https://www.academia.edu/41851725/Wianek_i_rysy_Sprawa_Marianny_Doli%C5%84skiej (pdf online, bambini);
Volhynia massacre-Photo gallery (pdf online, famiglie); “Wołyń naszych przodków” ; https://diasporiana.org.ua/wp-content/uploads/books/30498/file.pdf




