Una femminista impigliata nel vestito di Antigone, questa era Edda Ciano. Femminista, perché la figlia del socialista rivoluzionario Mussolini (Bottai la definì “Mussolini con l’utero”), aveva molto della donna “liberata”. Il gin e il tavolo da gioco, i flirt e le sigarette, un matrimonio che funziona senza che i coniugi smettano di svolazzare, versione ante litteram dell’amore necessario/contingente di Sartre e Bouvoir. E i pantaloni, e il primo bikini mai visto sulle spiagge italiane.
Poi ci passò in mezzo una ventata della storia, una ventata del peplo di Antigone, cioè del conflitto tragico tra coscienza e legge. Una ventata ancora più paralizzante, perché Edda Ciano ne fu investita in maniera indiretta. Fu Benito Mussolini l’Antigone della situazione. Da una parte Galeazzo Ciano, uno dei “traditori” del 25 luglio, ma pur sempre il genero. Dall’altra parte la “ragion di stato”, incarnata non tanto dai tedeschi quanto dagli estremisti della Rsi, che volevano una condanna esemplare per il reprobo.
E Mussolini a quell’epoca pensava di aver già dato, aspirava a ritirarsi dalla storia e dalla coscienza, anche familiare, forse perfino da quella personale. E proprio dove la coscienza si ritira compare il destino, un destino ravenant, la forma più perfetta di incubo: la condanna di Ciano e la sua fucilazione a Verona l’undici gennaio del ’44, il condannato che non vuole decidersi a morire e viene finito a colpi di pistola. E poi Piazzale Loreto, la folla che orina e sputa sui cadaveri di Mussolini e della Petacci. “Fu un gesto d’amore” dichiarerà Edda. “Solo chi ha amato tanto può odiare in quel modo”. Lei, Edda, nella sua asciuttezza di romagnola cresciuta nei folli anni Venti, sembrava già abituata a mettere in conto certe possibilità.
“Volevo andarmene, andarmene, andarmene”
Da bambina, a Milano, quando la famiglia abitava in via Castel Morrone, Edda aveva fatto di tutto per scappare con gli zingari. Gli zingari avevano parcheggiato il carrozzone dietro casa. “Di colpo la casa mi sembrò spaventosamente triste, grigia, con la sua realtà così misera […]. La casa degli zingari, invece, aveva le ruote, poteva correre su tutte le strade della terra, fermarsi dove voleva, in qualsiasi terreno del mondo. I bambini degli zingari avevano bellissimi abiti colorati”. Così ricorderà anni dopo Edda. “Avevo una sola idea in testa: andarmene, andarmene, andarmene”. Edda era, insieme al padre, l'”elemento fantastico” in famiglia. Quando era ancora piccolissima, il padre l’addormentava suonando il violino. Una volta il futuro Duce aveva dovuto ricominciare con la musica sessantasette volte, perché ogni volta che smetteva di suonare Edda ricominciava a piangere. Finì che Mussolini esasperato cominciò a buttare nella culla di tutto: cuscini, giornali, scarpe. Fu l’unica volta che Mussolini si mostrò nervoso con la figlia. Dal fronte della Grande Guerra le scriveva lettere con il linguaggio e un tono “da grandi”, piene di racconti “da grandi”. L’educazione di Edda fu appunto quella di una famiglia socialista rivoluzionaria, in cui l’aspetto tenero è quasi assente, tutto sembra assorbito in un dinamismo vitale molto primonovecentesco. Edda accompagnava il padre nelle redazioni dei giornali, nelle stamperie dove si componevano i manifesti, alle riunioni politiche. Non se ne andò con gli zingari, ma le rimase il senso del movimento, di una precarietà accettata come fatto doveroso. All’anagrafe fu segnata come figlia di nn, dato che Mussolini e Rachele Guidi non erano ancora sposati, questo fece nascere la diceria che Edda Fosse in realtà figlia dell’anarchica Angelica Balabanoff, per un periodo l’amante di Mussolini. Una leggenda. Ma qualcosa del dna anarchico Edda e la sua famiglia ce l’avevano, eccome.
“Mi vuoi sposare? Perché no?”
Il primo fidanzato di Edda, un industriale forlivese, fu scaricato perché ebbe l’ardire di domandare a Mussolini informazioni sulla dote della figlia. Nel frattempo Edda aveva già conosciuto un bel ragazzo, figlio di un eroe del regime. Gian Galeazzo Ciano fece la proposta mentre guardavano “Ombre bianche” al cinema. Lei rispose “perché no?”. Già col fidanzato precedente aveva considerato: “La mia famiglia vuole che mi sposi. Mi sposo”. Al ritorno dal cinema Edda annunciò al padre il fidanzamento con Ciano. Mussolini si stava vestendo, si precipitò per la casa reggendosi i pantaloni e gridando “Rachele, Rachele, Ci siamo! Edda si è fidanzata! Questa è la volta buona!”. Il matrimonio fu celebrato il 24 aprile 1930 a Villa Torlonia. Donna Rachele, esasperata dai preparativi, giurò che era l’ultimo matrimonio festeggiato in casa e che da allora in poi si sarebbe usato l’albergo, e così fu. Dopo la cerimonia Mussolini e donna Rachele seguirono in macchina per chilometri l’auto della figlia e del genero diretta a Capri, prima tappa del viaggio di nozze. Fu Edda a fermarli, e a dirgli di smettere di mangiare polvere e di tornare indietro. Rachele fece scivolare mille lire in mano alla figlia.
Il potere al nazionalsocialismo: “Una catastrofe”
Andarono in Cina, a Shangai, dove Galeazzo era stato nominato console generale d’Italia. Lì si trovavano nel 1933, quando Hitler prese il potere. La reazione dei due alla notizia spiega i diversi caratteri. Edda: “Ma è straordinario”, Galeazzo: “E’ una catastrofe”. Galeazzo era un viveur capriccioso, un amante della bella vita e delle belle forme, pervaso da un’ironia da intellettuale barocco. Capace di inquietare chi gli lavorava accanto con l’instabilità di certe decisioni, ma con un fondo di buon senso più consistente di quanto si creda. Appassionato della cultura francese, Ciano non amava la quella tedesca, sia per l’idealismo, sia per il volontarismo che la componevano, e detestava Hitler (ricambiato, Hitler lo definirà: “un ninnolo da salotto”). Edda, movimentista per natura, sempre in fuga da se stessa, si trovava a giocare nella nuova famiglia il ruolo dell’elemento fantastico. Educata alla politica nel senso dell’azione -della dialettica proprio no- vedeva nel nazionalsocialismo tedesco lo sbocco di molte battaglie. Ammiratrice, come del resto Mussolini, della “serietà”, della tensione volontaristica dello spirito germanico, ai tedeschi rimarrà sempre legata. Saranno loro a ingabbiare lei e il marito in Germania dopo il 25 aprile e l’8 settembre del 1943.
Un matrimonio riuscito
Il matrimonio tra Edda e Galeazzo sarà un matrimonio riuscito. Non appagato fisicamente, non pacificato intellettualmente, ma riuscito nel senso della solidità. Avranno tre figli: Fabrizio, Raimonda e Marzio, avranno un’infinità di avventure (lui) e un certo numero di amicizia affettuose (lei). Ma la coppia non sarà mai in discussione. Una sola volta Edda ebbe la tentazione di lasciare il marito, quando per la prima volta sospettò che avesse altre relazioni. Ne parlò con Mussolini: “Papà, voglio lasciare Galeazzo”. Mussolini: “Perché? Non ti dà abbastanza da mangiare?”. Non ci saranno altre crisi.
Non ebbe un ruolo sulla scena pubblica
Nel 1936 Galeazzo Ciano fu nominato ministro degli esteri. La presenza di Edda ebbe il suo peso nella folgorante carriera diplomatica del marito, anche se lei ha dichiarato diverse volte di non aver messo bocca nelle decisioni del padre riguardo Galeazzo. Edda tra l’altro fece clamorose scenate al padre per la relazione con la Petacci; e fu incaricata di alcuni viaggi in Germania. Incontrò i gerarchi nazisti diverse volte, alla fine li conosceva meglio dell’antitedesco Ciano. “Dopo il 1934 ebbi numerose occasioni di incontrare Hitler […] e mi colpirono sempre l’estrema cortesia che mi dimostrava, le attenzioni quasi affettuose, e anche la sua pazienza”. Ma Edda Ciano era altrettanto attenta a non apparire mai nella figura di Egeria della politica. La sua influenza fu sempre discreta e limitata ad alcuni fatti precisi. Non ebbe e non volle mai avere un ruolo sulla scena pubblica.
La nave di Edda è affondata, niente di grave
All’inizio della guerra Edda si imbarcò come infermiera sulla nave ospedale Po. Nel marzo del 1941 la nave venne affondata in acque albanesi, Edda si salvò a nuoto. Mussolini, che era sul posto telefonò seccamente alla moglie:”La nave di Edda è stata affondata, ma lei sta bene. Ti richiamerò”.
Col procedere della guerra la posizione di Galeazzo Ciano, e le relazioni Ciano-Mussolini, divennero precarie. All’inizio del secondo conflitto Ciano era stato in sostanza l’autore dell’ambiguo accordo di “non belligeranza” con la Germania, poi aveva caldeggiato l’invasione dell’Albania. Le sorti del conflitto e la condotta strategicamente incerta dell’Italia aiutavano confusione e maldicenze tra le gerarchie, e favorivano l’irritazione dell’alleato. Si preparava un allontanamento di Ciano dai gangli del potere, cosa che si verificò con la perdita del ministero degli esteri nella primavera del ’43. La moglie fu affettuosamente accanto al marito.
Si arrivò alla seduta del Gran Consiglio del 25 luglio. Uno di quei punti nodali in cui si capisce che Tolstoj ha ragione e Nietzesche torto, in cui la Storia si rivela come somma di confusioni umane, originata da stanchezza e depressione prima che da volontà di potenza. Chi, in quella nottata, aveva intuito cosa sarebbe successo anche solo il giorno dopo? Nessuno o quasi. Non Mussolini, che si oppose blandamente all’ordine del giorno. E nessuno degli altri partecipanti. Ciano si illudeva di poter rimettere in piedi un fascismo con un Mussolini Duce part-time, in condominio col Re. E’ questa la tesi di Edda, ma Filippo Anfuso disse subito:”Senza di lui crollerete tutti quanti”. Da parte sua Ciano disse: “mio padre avrebbe firmato l’ordine Grandi, io firmo”. A posteriori vediamo bene che firmò per il suo marchio di Veräter, traditore (Hitler aveva già detto a Mussolini: “ci sono dei traditori in famiglia”), firmò per scatenare l’odio degli italiani verso di lui e i suoi. E infine firmò per la sua condanna a morte.
“Finitela con questa storia, la guerra è perduta”
E dopo il 25 luglio e l’otto settembre fu Edda a cercare la maniera di evadere dall’Italia. Ma l’unico modo di arrivare nella Spagna di Franco con la famiglia intera era chiedere un passaggio aereo ai tedeschi. Fu Edda a contrattare la salvezza con il colonnello delle S.S. Dollmann, ma l’aereo, su cui si imbarcarono in fretta e in segreto, fece rotta per Monaco e lì si fermò. Edda venne ricevuta da vari gerarchi (“il braccio destro di Himmler si rivolgeva solo a me, come se mio marito non esistesse”). Hitler la ricevette con gli occhi pieni di lacrime, le strinse le mani, le spiegò che la Germania avrebbe vinto la guerra. Fu allora che Edda se ne uscì davanti a Hitler e ai gerarchi con la frase famosa: “Finitela con questa storia, la guerra è perduta”. Il fratello Vittorio, presente anche lui, commentò: “Non credo che con questi discorsi tu abbia accresciuto la probabilità di arrivare in Spagna con Galeazzo e i bambini”. Ricorda Edda: “L’unico aereo che arrivò fu quello che portò Galeazzo a Verona”. Per il processo.
La condanna del traditore, e il processo di Verona
In quell’autunno Ciano aveva incontrato Mussolini, nel frattempo liberato dalla prigionia sul Gran Sasso, ed era rimasto tranquillizzato dal tenore quasi affettuoso del colloquio. Ad Allmannshausen, dove la famiglia Ciano era tenuta a domicilio coatto, fece la sua comparsa una albergatrice ventunenne, Frau Beetz “dagli occhi grigio chiari e dalle unghie smaltate di rosa”. Il vero nome di Frau Beetz era Hildegard Burkhardt, ed era la spia di Himmler incaricata di recuperare i compromettenti diari di Ciano (e che finirà per innamorarsi di lui). La sorte che spetta all’ex ministro degli Esteri italiano ormai è chiara. Contro di lui pesa, oltre al pollice verso dei tedeschi, anche e soprattutto l’opinione di fascisti della Rsi, anche quella dell’ ex amico di Ciano, e da lui beneficiato, Alessandro Pavolini. Dall’autunno ’43 a metà gennaio del ’44 Edda ingaggiò una battaglia disperata per salvare il suo uomo. Mussolini non negò il consenso alla condanna del traditore Ciano: da come ne parla Edda sembra che il Duce avesse abdicato a qualsiasi decisione, e che si facesse ormai spingere dal destino, dalle necessità o dalle opinioni di altri riguardo a molte cose. Al grande vitalista Mussolini mancò la forza vitale per diventare eroe tragico, anche nel senso del conflitto tra coscienza e legge. In un ultimo drammatico colloquio Edda rinnegò Benito:”Ti odio, ti disprezzo, non sei più mio padre” gli urlò. Ormai la contessa Ciano, lasciata sola da tutti tranne da qualche amico coraggioso, aveva un’ultima carta da giocare, quella dei diari di Ciano da scambiare coi tedeschi. Nell’ottobre del ’43 Edda partì per l’Italia.
I diari di Galeazzo Ciano
Intanto Ciano come spesso capita alle personalità deboli, dava prova di saper morire. A un amico che si trovò nel carcere degli Scalzi con lui disse: “Sono morto il 25 luglio. Ma me ne frego: i tedeschi hanno perduto la guerra, e questa è la sola cosa che conta per me”.
Dapprima Himmler e le S.S. sembrano interessati ai diari di Ciano, ma all’ultimo momento tutto saltò. Qualcuno sostiene che l’operazione fu interrotta direttamente da Hitler. A Edda venne impedito anche di incontrare il marito prima della fucilazione. I due si scambiarono le ultime lettere. La postina tra i due era Frau Beetz, innamorata di Ciano: per lei Edda avrà un sentimento positivo, le due donne erano in un certo senso complici. La fucilazione di Ciano, insieme ad altri gerarchi del 25 luglio arrivò l’11 gennaio del 1944. Edda aveva avuto modo di raggiungere i figli in svizzera. Il giorno dopo la morte del marito Edda portò i figli in montagna, vicino a un crocefisso, e disse loro senza molti preamboli “papà è stato fucilato”.
Edda e il comunista
Nel dopoguerra Edda Ciano verrà confinata a Lipari. Sarà il luogo e l’occasione per una storia d’amore scoperta molti anni più tardi da Marcello Sorgi, ex direttore della Stampa, che l’ha raccontata nel libro “Edda Ciano è il comunista” (Rizzoli, 2009). Abbastanza prevedibilmente dopotutto, l’innamorato della figlia del Duce era un partigiano comunista, un uomo d’azione, un socialista rivoluzionario. Leonida Bongiorno, fuggito dalla prigionia tedesca e rifugiatosi per qualche anno a Parigi. Bongiorno, tratto virile, personalità decisa s’incontrò con Ellenica (così lei si firmava nelle lettere che gli scriveva) nell’estate del 1945. Ci furono incontri in casa di lei e sulla spiaggia, ci furono molte lettere in francese e in inglese. Fu una passione forte, anche eroticamente. Lei lo chiamava “Baiardo”, o “Lecret”, dal nome del generale che combatté per la liberazione di Cuba nel 1898, gli scriveva cose come: “la tempesta dei vostri telegrammi è deliziosa”. Lui le dichiarava: “voi per me potreste essere la donna ideale”. In una cronaca maliziosa, un corrispondente del Corriere della Sera scrive che “l’elegante signora” pare poco interessata a lasciare l’isola, anche perché “non ha disdegnato l’assidua compagnia di un aitante giovane del luogo, il sig. Leonida Bongiorno””. Edda, in realtà, ha interesse a ritornare a Roma per riabbracciare i figli. Con sé porterà un ricordo: il suo ritratto nudo eseguito a matita da Leonida. La relazione finirà dopo qualche mese, dato che Bongiorno aveva incontrato la futura moglie. “Ellenica” e “Baiardo” si ritroveranno sessantenni nel 1971, ancora a Lipari, davanti a una parete su cui lui aveva fatto incidere i versi omerici con le parole di Circe: «Tu da solo col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte».
Edda Ciano passerà i suoi anni a venire tra il suo piccolo appartamento romano ai Parioli, la Romagna, Capri e diversi viaggi. In un’intervista filmata ha detto: “l’unica cosa buona che abbia fatto nella mia vita è stata rimettere insieme mia suocera e mia madre”. Morì a Roma, la domenica delle Palme del 1995.