Chicco Testa, ex deputato del Pci-Pds, ha co-fondato Legambiente di cui è stato segretario e presidente. E’ poi stato presidente dell’Enel dal 1996 al 1992 e di Assoelettrica (2012-2016). Con il suo “Tornare al Nucleare? L’Italia, l’Energia, l’Ambiente” (Einaudi) ha anticipato la tendenza di cui oggi si discute, ripercorrendo le tappe del dibattito pubblico e non escludendo, oggi, il ricorso a questo tipo di energia. Ha argomentato contro l’utopia della “decrescita felice” green nel libro “Elogio della crescita felice. Contro l’integralismo ecologico” (Marsilio, 2020).
Con BeeMagazine Testa analizza le prospettive energetiche dell’Italia tra fossili, rinnovabili e appunto il ritorno dell’atomo.

Partiamo dal black out in Spagna che ha contagiato Francia e Portogallo. Non si conosceranno le cause prima di alcune settimane ma sembrano esclusi cyberattacchi ed eventi atmosferici eccezionali. Può essere, come qualcuno sostiene, colpa del fotovoltaico?
Intanto, è assurdo che il gestore della rete spagnola ipotizzi questa tempistica: con gli attuali sistemi informatici individuare le cause è questione di giorni, non di settimane. Al momento però ogni ipotesi sulle ragioni, al di là dell’intuito, sarebbe azzardata.
Le energie rinnovabili hanno due debolezze che portano instabilità: l’intermittenza e la contemporaneità di produzione. Problemi risolvibili con il potenziamento delle infrastrutture o destinati a ripetersi?
Intanto, la premessa è che parliamo di rinnovabili intermittenti, escludendo quelle che non lo sono come l’idroelettrico. Sono intermittenti le energie la cui produzione è legata a fenomeni atmosferici come il sole o il vento. Nel primo caso, le nuvole o il maltempo ne riducono le potenzialità. I manuali ci dicono che più aumenta la quota di energia così prodotta, più il sistema diventa complesso e difficile da gestire.
Non ci sono rimedi?
I grandi sistemi di accumulo, cioè le batterie, per compensare i cali di produzione. Con un caveat: oggi l’accumulo basta per 2-4 ore, a volte può arrivare fino a 6, ma che fai se c’è una settimana di brutto tempo? Bisogna avere una riserva di impianti a combustibili fossili – gas o carbonio – da far partire solo in caso di bisogno. Ma questo comporta un costo. In Italia esistono già delle strutture a disposizione – si chiama capacity market. Terna nel suo report anche quest’anno segnala che dovremo contrattualizzare alcuni impianti a gas che sono improduttivi e andrebbero chiusi mentre restano aperti, a disposizione, finanziati da tariffe pubbliche.
Significa che l’energia fotovoltaica ed eolica non è affatto economica?
Aggiungiamo un terzo costo: le reti. Gli impianti di rinnovabili sparsi sul territorio devono essere collegati e trasferire l’energia dai luoghi in cui viene prodotta – per l’eolico principalmente il Sud – a quelli in cui viene consumata, nelle zone altamente industrializzate e prive di vento come ad esempio la pianura padana. Quindi alla domanda se il fotovoltaico cosa poco, la risposta è che dipende: la produzione di un kw/h sì, ma bisogna considerare i costi associati – batterie, capacity market e reti.
Quanto pesano gli extra costi in bolletta?
Il 40-50% delle nostre bollette è composto da spese fisse: oneri di sistema, ovvero incentivi ai produttori di rinnovabili; trasporto; tasse. Se aumentiamo troppo le rinnovabili, il rischio è trovarsi a pagare l’80% di costi fissi.
Neppure il gas però è regalato, soprattutto in questo contesto geopolitico tra guerre e minacce di dazi. Senza contare l’esauribilità dei combustibili fossili. Come ci approvvigioneremo?
E’ l’eterno problema di diversificare il rischio. Che per l’Italia, priva di materie prime, significa diversificare le fonti. Adesso dovremmo chiudere le centrali a carbone, ma perché?
Forse perché inquinano molto?
In Germania rappresentano il 30% della produzione energetica, in Polonia il 60%. Come sempre, si tratta di un trade off: se hai bisogno di un certo numero di centrali a produzione programmabile, usi o il carbone o il gas. E con questo quadro internazionale rifletterei un momento: le scelte estreme spesso mettono nei pasticci. Ricordiamoci che durante la crisi ucraina il ricorso al carbone ci ha aiutato.
Poi c’è l’opzione nucleare, di lungo periodo ma su cui il governo punta. Lei è stato un anti-nuclearista convinto, poi ha cambiato idea. Ma gli SMR – i nuovi piccoli reattori modulabili – sono davvero sicuri?
Ho scritto due libri per spiegare come mai ho cambiato opinione. Le statistiche ci dicono che i morti sono molti di più con carbone, idroelettrico e gas. Le percentuali di incidenti mortali con l’atomo sono bassissime: sono dati, non ipotesi.
Eppure l’opinione pubblica, specie over 40, diffida. C’è anche un meccanismo inconscio di timore dell’ignoto, come accade per gli incidenti aerei rispetto a quelli in auto?
E’ un paragone calzante: scatta la sindrome del controllo. Ogni anno ci sono 3mila morti in auto e zero in aereo, ma guidi la prima e non il secondo. Quindi in macchina ti illudi di avere una possibilità di intervenire, che ti dà una sicurezza in realtà infondata. Sul nucleare c’è una paura atavica: a Fukushima ci sono stati 2 morti, lo tsunami ne ha fatti 20mila. In un convegno l’ex ministro Enrico Giovannini ha confuso i due numeri, quando gliel’ho fatto notare era perplesso.
Nessun territorio italiano, nonostante gli incentivi, vuole il deposito nazionale di scorie nucleari. Come si fa a essere certi dell’assenza di radiazioni che nel tempo contaminino terreni, acque, coltivazioni?
E’ un problema solo italiano. In Usa, Regno Unito, Francia, Spagna, ci sono centrali e non hanno problemi. Siamo percorsi dalla paura: questi depositi sono strutture sicurissime. Sarei più tranquillo a sapere mio figlio addormentato su una di esse che in giro per Roma in motorino.
Gli ambientalisti denunciano circa mille progetti di maxi-eolico – con pale alte 230 metri, quattro volte e mezzo la Torre di Pisa – nell’Italia Centrale – tra Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Marche – finanziati con i soldi del Pnrr. E’ in corso una speculazione sulle rinnovabili?
Guardi, le rinnovabili vanno fatte ma senza produrre alterazioni permanenti del paesaggio in luoghi delicati o fragili. Penso a Orvieto o Pitigliano. Se basta sfruttare l’1% del territorio nazionale, perché non scegliere in modo oculato dove non si fanno danni?
L’ex premier inglese Tony Blair ha appena detto che il Green Deal fallirà e che la deadline del 2050 per la decarbonizzazione non è realistica. Ha ragione?
Mi permetto di dire che sostengo la stessa cosa da almeno tre anni. Ne ho scritto più volte sul “Foglio”. Oggi i combustibili fossili producono l’80% dell’energia mondiale: o si condannano i Paesi più poveri e il Sud Gobale alla povertà o si trovano strade alternative. Il 2050 non è un obiettivo realistico.