Lunedì 28 aprile, Spagna e Portogallo sono rimasti per ore senza elettricità, colpiti da un blackout esteso che ha coinvolto milioni di cittadini. Un collasso improvviso della rete elettrica ha riportato l’attenzione su un nodo critico della transizione energetica: l’equilibrio tra energie rinnovabili e stabilità infrastrutturale. Ne abbiamo parlato con il prof. Corrado Clini, già ministro dell’ambiente, esperto di politiche energetiche e ambientali, nel nuovo episodio di Skill Pro, il podcast di approfondimento firmato On Air! The Skill.
Professore, è vero che ancora non sono ufficiali le cause che hanno portato al blackout in Spagna e Portogallo, ma secondo lei cosa può averlo causato?
Partiamo da quello che non è successo: sicuramente non si può attribuire la responsabilità al cambiamento climatico. L’ipotesi formulata dalla rete portoghese, secondo cui anomalie della temperatura nel centro della Spagna avrebbero determinato questo disastro, non è fondata perché basta guardare quali erano le massime e le minime per renderci conto che eravamo in una situazione di assoluta normalità.
La seconda ipotesi non sostenibile è quella dell’attacco hacker, già in parte esclusa, ma c’è comunque un’indagine in corso. Più probabile che sostanzialmente ci sia stata una situazione critica determinata dall’eccesso di energia da fonti rinnovabili messa in rete, che a un certo punto ha determinato – per la discontinuità stessa dell’apporto delle fonti rinnovabili – un blocco che poi si è progressivamente trasferito su tutta la rete.
Dal punto di vista tecnico è un’ipotesi che è stata presa spesso in considerazione. Anche il rapporto Terna sull’adeguatezza della rete italiana mette in evidenza che la sostituzione della generazione termoelettrica programmabile, cioè quella che deriva dalla produzione di elettricità dalle centrali termoelettiche tradizionali, con le fonti rinnovabili richiede l’adeguamento della rete, perché sostanzialmente deve adattarsi ad una fluttuazione dell’apporto di elettricità.
Perciò sono necessari gli accumuli di energia, così come lo sono quegli interventi che garantiscono la cosiddetta potenza di regolazione della rete, ovvero quella capacità di mantenere la frequenza e la tensione in maniera tale che venga erogata l’elettricità. Soprattutto la Spagna ha un contributo delle fonti rinnovabili molto alto che supera l’80% e ha una rete elettrica che non si è adeguata a questo aumento del contributo di energia non programmabile, quindi probabilmente ciò che ha portato al collasso è stato proprio questo.

Al momento del crollo il solare rappresentava il 60% del mix, mentre il vento il 12%. Questo può essere considerato un errore? Può essere stato anche questo magari parte della causa del collasso?
Può essere, proprio perché sostanzialmente siamo in presenza di un contributo molto importante, di un’energia non programmabile che entra in un sistema che non si è adeguato alla necessità di stabilizzare il flusso. Questo è quello che probabilmente è avvenuto: è uno dei temi che sono al centro dell’attenzione per la sicurezza delle reti elettriche europee.
Un anno fa il Consiglio europeo ha adottato una serie di direttive proprio per rendere le reti elettriche europee più sicure, più stabili, ma devono poi essere tradotte in regolamenti e soprattutto in investimenti. L’Italia attraverso il lavoro di Terna in parte si sta adeguando, ma lo stesso rapporto dell’azienda mette in evidenza che se non si realizzano interventi finalizzati a rendere stabile la rete, rispetto a un aumento dell’apporto di fonti rinnovabili, corriamo il rischio di avere un numero di ore in un anno in cui il sistema elettrico non riesce a coprire la domanda e dunque il rischio di un blackout.
La lezione che possiamo apprendere da quello che è successo in Spagna e in Portogallo è soprattutto questo: oltre ad essere concentrati sull’individuazione delle fonti energetiche alternative ai combustibili fossili è necessario un intervento molto importante sulle reti.
L’energia nucleare potrebbe essere una delle soluzioni per colmare questo gap?
L’energia nucleare lo è, perché se funziona in genere riesce a garantire continuità energetica, proprio come le tradizionali, per quanto siano ormai in una percentuale molto limitata. L’esperienza ci insegna che fino ad oggi, fonti programmabili, cioè nucleare e centrali termoelettriche tradizionali sono un’importante infrastruttura per la stabilità della rete.
Simone Massaccesi – Giornalista