Umberto Eco, la Regina Loana e… Pirandello

Un pezzo di bravura di uno studioso che vive da una vita tra i libri

Cultura

Nella mia strabocchevole libreria, che ho dovuto dividere in più stanze e in parte anche affidare ai miei figli perché la custodissero nei loro appartamenti, ho dovuto disporre i volumi su due file, quella davanti con i libri di maggior importanza e consultazione e quella dietro, nascosta, di minor uso.

Ma spesso in questi ultimi tempi mi accade di ricordarmi di libri da me maneggiati, leggiucchiati, ripresi, e poi lasciati andare nelle seconde file. È stato il caso di un libro del 2004 di Umberto Eco acquistato appena uscito con divertito interesse per l’abbondanza delle illustrazioni dell’epoca della sua e della mia infanzia, ma poi abbandonato dopo lette le prime pagine riuscitemi noiose.

Chissà perché a un tratto m’è ritornato ora presente con una gran voglia di rivedermelo tra le mani, e mi son dato alla non facile ricerca nelle seconde file, scovandolo infine dopo un faticoso togli e metti. Ho ricominciato a leggerlo con un’altra disposizione d’animo che lì per lì mi tornava nuova: la nostalgia per la nostra vita giovanile tanto simile per la vicinanza delle date, io 1929 e lui 1932, entrambi sotto il segno del capricorno.

L’io narrante del romanzo è Yambo, soprannome rimastogli dall’infanzia per il ciuffo ribelle che lo faceva somigliare a Ciuffettino; ma il vero nome, Giambattista Bodoni, è l’omonimo del grande stampatore e inventore dei caratteri bodoniani, piemontese di Saluzzo come il Nostro è piemontese di Alessandria.

Il soprannome Yambo è del pisano Enrico Novelli, il creatore del periodico il Pupazzetto di Yambo (1902-08), di Ciuffettino e di tanta letteratura per l’infanzia della prima parte del secolo XX. Un guazzabuglio di nomi e soprannomi, come si vede, maggiormente complicato dal fatto che il signor Bodoni lo troviamo che si sta risvegliando da un ictus che gli ha fatto perdere la memoria. Egli è il titolare di un avviato studio di antiquariato librario a Milano, è sposato a una donna sensibile e intelligente, Paola, di professione psicologa, e ha due figlie, Carla e Nicoletta ormai sposate e a loro volta madri di tre nipotini, Alessandro e Luca della prima e Giangiacomo, coetaneo di Luca, della seconda.

Ed ha una segretaria di studio, Sibilla Jasnorzewska, una ragazza polacca preparatissima e indispensabile collaboratrice nel mandargli avanti l’attività. Su Sibilla si intreccia la prima storia dopo il risveglio: era la sua amante, o no? Yambo se ne interroga lungamente e interroga l’amico di tutta la vita, il compagno di banco dalle elementari al liceo, Gianni Laivelli, ma il dubbio si scioglie solo quando Sibilla gli annuncia il suo matrimonio.

Dunque un semplice rapporto di lavoro, che gli chiarisce ogni dubbio sul suo comportamento; da qui con una punta di rammarico la decisione sempre rimandata della sua partenza per Solara, suggeritagli con insistenza dalla moglie come il luogo più adatto per riprendersi.

Andando avanti nella lettura, il libro sembra sempre più un autobiografico gioco della memoria portato avanti per pagine e pagine alla ricerca di quel che Orson Welles nel suo film d’esordio, Citizen Kane ( Quarto potere), chiamò Rosebud.

Per Eco-Yambo la Rosebud è Solara, un paesino dove ha passato l’infanzia e che a me sembra di poter identificare con Solero, un comune di circa millecinquecento abitanti a circa 10 chilometri da Alessandria. Nel risveglio dal coma Yambo ha perduto la memoria episodica, non ha ricordo né del suo nome, né dei familiari, né di tutto ciò che riguarda la sua vita.

Ricorda solo parole (memoria semantica) e fa associazioni letterarie e scientifiche, come quando il dott. Gratarolo, il medico curante, gli chiede se ha ricordi di sua moglie e delle cure che gli ha prodigato durante la degenza e se ha piacere a rivederla, e Yambo se ne esce con la risposta “… e se poi la scambio per un cappello?” con riferimento al libro L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, celebre saggio neurologico di Oliver Sacks.

Il gioco di Eco con le associazioni e le dissociazioni ti apre continui richiami che agiscono però soprattutto su chi ha avuto nell’infanzia un analogo tipo di esperienze, com’è quando associa la nebbia in cui la sua mente ha finora galleggiato con il carducciano La nebbia agli irti colli piovigginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar…, che a me, per esempio, ha ridestato l’immagine perduta dell’aula della terza elementare della scuola “Vito Fornari” di Bagnoli di Napoli in cui il maestro Jovine ci imprimeva quei versi nella memoria recitandoceli con voce possente.

E a proposito di nebbia, ecco la prima e unica citazione esplicita di Pirandello, con riferimento al cap. Un po’ di nebbia del Fu Mattia Pascal (p. 64: «Buona nebbia in Pirandello, e dire che era siciliano»). Molti han voluto vedere ancora in questo libro il gusto ludico di Eco nel mascherare nei romanzi le proprie teorie semiologiche, ma io, lettore digiuno di tecnicismi semiotici, farò mie le sue parole: eviterò queste interpretazioni sicuro che sia lui che io sopravviveremo lo stesso.

Mi tratterrò sulla trama del racconto riprendendo dall’arrivo di Yambo nel paese dell’infanzia. Lì egli ha modo di scavare nel suo passato riesumando carte, libri, giornali, quaderni, giocattoli che gli si offrono a cataste nelle scorribande negli immensi solai della vecchia e grande casa del nonno.

Accennerò all’agitazione che lo coglie quasi al limite dell’infarto, quando riceve da Sibilla le bozze del nuovo catalogo dello studio bibliografico, e vi trova elencato un in-folio delle opere di Shakespeare nell’edizione londinese del 1623, il sogno di ogni bibliofilo, offerto come un libraccio qualsiasi a un prezzo stracciato!

Telefona agitatissimo e scopre che è uno scherzo di Sibilla, che con quella monelleria s’è presa la libertà di provare lo stato della sua attenzione e della sua memoria. Ma un nuovo ictus irrimediabilmente lo coglierà quando nell’ultima ricerca negli armadi del nonno da uno scatolone emergerà fuori intatta proprio quella rarissima edizione shakespeariana.

Per completare la sintesi di questo romanzo di 445 pagine occorre ritornare agli anni del liceo di Yambo e del suo incontro con una compagna, Lila Saba, verso la quale – senza esser mai capace di scambiare una parola con lei – svilupperà un amore angelicante, tipicamente giovanile con l’ossessione di ricordarne almeno il volto attraverso una fotografia, che riaffiora prepotentemente durante la permanenza a Solara.

L’amico Gianni, pressato da Yambo, gli ricorderà della partenza della famiglia di Lila già negli anni del liceo per il Sudamerica e della morte della giovinetta a diciotto anni. Il volto di Lila, il cui nome, come Gianni gli rivela, è un diminutivo di Sibilla, quel volto finirà per svelarsi al morente Yambo nell’ultima pagina del romanzo: “Ne vedrò il volto aggraziato, il naso ben disegnato, la bocca che mostrerà appena appena i due incisivi superiori […]. Sento una folata di freddo, alzo gli occhi. Perché il sole si sta facendo nero?”. – Più vero amore di così!

E La misteriosa fiamma della regina Loana, che dà il titolo al libro? “Tu – scrive Eco – leggi da piccolo una storia qualsiasi, poi la fai crescere nella memoria, la trasformi, la sublimi, e puoi eleggere a mito una vicenda priva d’ogni sugo. […] Un’espressione come la misteriosa fiamma, mi aveva ammaliato, per non dire del nome dolcissimo di Loana, anche se in verità era una piccola squinzia capricciosa travestita da bajadera”.

E così abbiamo spiegato anche il titolo. Siamo giunti finalmente al punto dove affiora un imprevedibile Pirandello, sconosciuto, direi, allo stesso Eco, che non mi pare lo abbia molto frequentato, a parte quel Pirandello ridens, studio pedissequo del 1978 sull’umorismo. Nel romanzo a p. 331 viene introdotta la storia del Gragnola, un amico più grande e più maturo dell’adolescente Yambo, un’amicizia nata nella comune frequentazione dell’oratorio di don Cognasso, il parroco del paese.

Il nostro povero Yambo vive negli ultimi anni della guerra (1943-45) le angosce e le turbe dell’età adolescenziale, subendo in mancanza di altri riferimenti il rigido indottrinamento cattolico. Quando compie un atto impuro sull’immagine a seni nudi di Josephine Baker, corre a confessarsi, e il sacerdote con una fiammeggiante rampogna gli ripete le parole del Giovane provveduto di don Bosco: “Anche nella vostra tenera età il demonio vi tende lacci per rubare l’anima vostra…” e gli offre l’esempio da seguire, la figura del protettore speciale della gioventù, san Luigi Gonzaga.

Per un giovinetto così coinvolto nei catechismi e nelle pratiche religiose, Gragnola sarà il liberatore. Si professa anarchico e gli spiega i dieci comandamenti con una spregiudicatezza che più laica non si potrebbe. Io sono il Signore Dio tuo è l’introibo ai comandamenti, e glielo paragona al carabiniere che si presenta per una multa senza qualificarsi. Con quali credenziali si presenta Dio? Io sono, ma al carabiniere gli si può chiedere di qualificarsi. E a Dio?

Tutte le prove sull’esistenza di Dio, da sant’Anselmo in giù, cadono sotto i colpi del Gragnola. Ma dove ancor più trionfa la sua loicità è nella dimostrazione che il mondo è dominato dal male, anzi che Dio stesso è il Male. “Ti sei mai chiesto perché esiste il Male nel mondo, e prima di tutto la morte? […] Hai mai sentito parlare della morte dell’universo? Le stelle, il sole, la via lattea, sono come una pila elettrica che va avanti, va avanti, ma intanto si scarica e un giorno si esaurirà. […] Ma è un bel mondo questo, dove esiste il Male? Non era meglio un mondo senza Male?”.

E così prosegue Gragnola: “Ma le stelle, la via lattea e il sole non sanno di dover morire e quindi non se la prendono. E invece dalla malattia dell’universo siamo nati noi, che per nostra disgrazia siamo dei gran filoni che abbiamo capito che si deve morire. Così non solo siamo vittima del Male, ma lo sappiamo. Sai che allegria”.

Ma questo è il più genuino Pirandello! Quel Pirandello che anch’egli giovanissimo si poneva le stesse domande e si dava le stesse risposte. In un contrasto poetico tra l’Uomo e la Natura consegnato a un taccuino giovanile risalente al 1884 e pubblicato in fac-simile con testo a fronte nel 2017 dalla Biblioteca-Museo “Luigi Pirandello” di Agrigento, il diciassettenne poeta con toni tra l’Alfieri e il Foscolo interrogava la Natura sul “perché sì abbietto e così vil m’hai fatto?//Vedi: di sdegno macerato, in petto//duolo crudel premendo, ora mi chieggio//fra cotanta armonia che i petti annoda,//perché sol’uno ha da soffrire: io solo!”.

E la Natura crudelmente lo rimbrotta: “Dinanzi a l’infinito, ancor più piccolo//sei tu di vile, e non mai visto insetto!” e la replica dell’Uomo è insieme di ribellione e di dolore: “Dimmi: perché se a te giunger non puote//l’umana voce, desti a l’uomo in petto//un organo divino, che ‘l dolore//sente pur troppo e lo comprende insieme?//S’egli dovea da ‘l piè de la sventura//calpestato venir miseramente,//megli’era, o Madre, come ogni altro verme,//farlo privo del ben de l’Intelletto”.

Se poi andiamo per esempio al Fu Mattia Pascal questi concetti li troveremo ribaditi in forma ancor più esplicita nei ragionamenti di Anselmo Paleari, l’estroso affittacamere del nostro Pascal redivivo Meis: “.. noi non siamo come l’albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l’aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch’esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna”.

Nella filosofia di Gragnola come pure in quella di Pirandello non c’è soltanto l’umiliazione dell’uomo, del piccolo essere insignificante simile a un insetto, a un verme o a una formica, c’è anche un riflesso esistenziale dell’illusorietà della vita umana, imprigionata in se stessa, esclusa dalla vita universale, nella quale viceversa ogni altra forma sussiste e vi si riconosce.

L’universo vive e non si sente, non ha cioè coscienza di sé, e del pari ogni altra forma vivente sulla terra è un tutt’uno con l’universo – escluso l’uomo! Perché solo all’uomo è toccato questo privilegio di sapere, di sentire e di soffrire? Sono le domande senza risposta che per Pirandello rimarranno inevase fino all’ultimo, allo stesso modo come per Gragnola, personaggio emblematico nel romanzo di Eco, che troverà la morte nel suicidio sfuggendo così alle torture degli aguzzini nazifascisti.

P.S. Per una maggiore illustrazione del pensiero di Luigi Pirandello mi sia consentito rinviare al saggio La Lanterninosofia da me pubblicato sulla «Nuova Antologia» dell’ottobre-dicembre 2019.

 

Elio Providenti Già responsabile della struttura Biblioteca, Archivi e Documentazione del Quirinale. Saggista, ha pubblicato in tre volumi l’epistolario giovanile di Luigi Pirandello, carteggi inediti di Croce, Alberto Cantoni e di Luigi Antonio Villari. Autore di Pirandello impolitico e Colloqui con Pirandello

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