Ucraina, Elena Sciso: ecco cosa rischia Putin. I limiti dell’azione dell’Onu

Con la professoressa ordinaria di diritto internazionale facciamo il punto sui profili giuridici della invasione russa dell’Ucraina.

L’aggressione russa all’Ucraina, Paese sovrano, oltre i politici, i commentatori, osservatori e giornalisti, sta impegnando anche gli studiosi di Diritto internazionale, per i numerosi profili che chiamano in causa l’uomo del Cremlino, le sanzioni, il ruolo dell’Onu, l’ipotesi di un processo per crimini di guerra e per aggressione.

Per chiarirci un po’ le idee abbiamo intervistato Elena Sciso, Professoressa ordinaria di Diritto internazionale nell’Università “Luiss Guido Carli”.

Professoressa, per cominciare, qual è la sua impressione su questa guerra?

È una vicenda estremamente grave, sia per ciò che sta avvenendo sia per le conseguenze che ne deriveranno. La Federazione russa  ha messo in discussione regole consolidate che si sono sviluppate negli ultimi 100 anni e a cui la stessa Russia e, prima, l’Unione sovietica, ha contribuito. Si tratta di un sovvertimento totale.

A tutti gli effetti è una guerra, ma Putin la chiama “operazione militare speciale”. Cambia qualcosa questa denominazione dal punto di vista degli effetti e dell’applicazione del diritto internazionale?

Dal punto di vista del diritto internazionale, questa è una aggressione armata contro uno Stato sovrano e indipendente. Oggi, l’ordinamento giuridico internazionale mette al bando qualunque ricorso alla forza armata da parte degli Stati. In questo quadro, la nozione classica di guerra cede il posto a tre nozioni/concetti: aggressione, legittima difesa e sanzione internazionale. L’aggressione è un crimine, per cui lo Stato è responsabile sul piano internazionale; l’uso della forza in legittima difesa è legittimo, sia da parte dell’aggredito, sia da parte degli Stati che lo aiutano a difendersi; e le sanzioni sono misure lecite di risposta all’atto illecito dell’aggressione. Aggiungo che anche l’istituto classico della neutralità, di cui tanto si è parlato, va rivisitato alla luce di queste regole. Non può esserci imparzialità o equidistanza tra aggressore e aggredito. Infatti, la Svizzera, il cui status di neutralità risale al 1815, ha aderito fin dal primo momento alle sanzioni contro la Russia.

Quindi?

Quindi, sul piano fattuale, si tratta di un conflitto armato, costituito dall’uso della forza armata tra  due Stati.  In una situazione di conflitti armati, si applicano regole specifiche, in particolare quelle del diritto umanitario, che stabiliscono cosa si può fare e cosa non si può fare, quali sono gli “obiettivi legittimi” e quali no. Ad esempio: si possono colpire, bombardare obiettivi militari ma non quelli civili, come scuole, ospedali, campi di calcio, infrastrutture civili; non possono essere usate armi, come le bombe a grappolo, che colpiscono indiscriminatamente  o altre armi improprie, come quelle chimiche; non è consentito bloccare l’evacuazione di civili attraverso i cosiddetti corridoi umanitari; non è consentito colpire centrali nucleari. Le violazioni gravi di queste regole costituiscono crimini di guerra.

Ma l’Onu che fa? L’uomo della strada se lo domanda e conclude che l’Onu sembra inerte o impotente ad affrontare questa guerra e a porvi fine. Fino alla domanda provocatoria: ma l’Onu serve ancora?

L’Onu è una Organizzazione che nasce alla fine della seconda guerra mondiale e riflette necessariamente gli equilibri di quel periodo. La Carta delle Nazioni Unite dà sostanzialmente vita ad un Direttorio dei Paesi vincitori del conflitto mondiale, ai quali  viene attribuito il potere di bloccare qualunque iniziativa del Consiglio di Sicurezza, esercitando il diritto di veto.

E quindi la Russia pone il veto e l’Onu si blocca.

È quanto già avvenuto altre volte, per esempio, in Siria; anche lì,  il veto russo ha bloccato qualunque possibilità d’intervento dell’ONU. Il sistema è questo, al momento non può essere modificato.

L’Onu quindi in casi come questo dell’Ucraina, come in altri nel passato, è sostanzialmente paralizzata?! La soluzione sarebbe eliminare il diritto di veto. Si può?

Non è facile. Ci sono state varie proposte negli anni. Per esempio, secondo una proposta avanzata dalla Francia e dal Messico alcuni anni fa, il veto dovrebbe essere espresso almeno da due componenti del Consiglio di Sicurezza per produrre i suoi effetti, non dovrebbe dunque bastare il veto di un solo Paese (se no, l’Onu sarebbe come una Dieta polacca, dove bastava il veto di un singolo, ndr.). Secondo un’altra proposta, l’uso del veto dovrebbe essere precluso quando il Consiglio fosse chiamato ad occuparsi di crimini internazionali. Ma, qualunque eventuale modifica della Carta è soggetta ad una procedura che prevede l’esercizio del veto da parte dei Membri permanenti del Consiglio.

Che cosa rischia Putin in punto di diritto internazionale?

Rischia l’incriminazione per crimini di guerra, ma anche per il crimine individuale di aggressione.

Anche i suoi generali e i suoi ministri?

Certo, non solo il presidente Putin ma quanti stanno attorno a lui nel quadro di comando politico e militare che ha pianificato, iniziato ed eseguito questa aggressione.

E se, come al processo di Norimberga, i generali e i ministri si difendessero dicendo che hanno eseguito gli ordini?

L’avere eseguito un ordine superiore NON fa venir meno la responsabilità penale di chi ha commesso il crimine. Del resto, l’esimente dell’ordine superiore non venne riconosciuta nemmeno a Norimberga, nel processo contro i criminali di guerra del terzo Reich. Allo stesso modo, i comandanti militari rispondono penalmente dei crimini commessi dai loro sottoposti, secondo il principio del command control.

Quante sono le possibilità che Putin finisca alla sbarra davanti a un Tribunale penale internazionale?

Chiariamo prima alcuni concetti…

Non chiediamo di meglio, Professoressa, c’è in giro, anche tra noi giornalisti, una certa confusione e quindi viene a proposito l’aiuto dei Professori.

Anzitutto non bisogna confondere la Corte penale internazionale con  la Corte internazionale di giustizia. La prima giudica le persone, la seconda, gli Stati.

Quindi la CPI potrebbe processare Putin…

La Russia non fa parte dei Paesi che hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte penale internazionale; tuttavia, i crimini sono stati commessi sul territorio ucraino e l’Ucraina ha accettato l’esercizio della giurisdizione della Corte. La Corte non giudica in contumacia, quindi Putin dovrebbe essere arrestato e “consegnato” alla Corte; finché mantiene la sua carica, mi sembra improbabile. Cessata la carica, Putin potrebbe essere processato anche dai tribunali degli Stati- e non sono pochi- che si sono attrezzati per la repressione di questi crimini , introducendo nell’ordinamento giuridico interno il principio della giurisdizione penale universale. Per esempio: l’Austria, l’Olanda, la Germania, la Spagna, il Belgio, la Svezia, la Francia, la stessa Svizzera e molti altri (non l’Italia). Aggiungo che questi crimini sono ritenuti imprescrittibili e, quindi, non ci sono limiti temporali all’esercizio dell’azione penale.

Ma come si istruisce un processo internazionale?

Sulla base di una segnalazione proveniente dagli Stati(ricordo che nelle scorse settimane 39 Stati, tra i quali l’Italia, hanno trasmesso tale richiesta) o anche motu proprio ove ritenga che in una certa situazione siano stai compiuti crimini rientranti nella competenza della Corte penale,  il Procuratore avvia un’indagine e procede alla raccolta delle prove e di qualunque elemento utile, valendosi anche dell’aiuto degli Stati: è quanto il Procuratore sta facendo in Ucraina. Anche molte procure nazionali, oltre a quella ucraina, stanno svolgendo indagini. Se, in esito all’indagine svolta, il Procuratore ritiene che possano essere stati effettivamente commessi dei crimini, sottopone il caso alla Corte; se la Corte si ritiene competente in base ai criteri fissati nello Statuto, si avvia il processo.

Facendo un bilancio degli ultimi anni, delle ultime guerre, c’è come fattispecie qualche falla nel diritto internazionale, qualcosa da innovare?

È una domanda a cui non è facile rispondere in maniera sintetica. Mi limiterei a due considerazioni: il sistema giuridico internazionale si è molto sviluppato negli ultimi decenni; il problema  non mi pare essere tanto quello di creare  nuove regole o nuovi organismi( a parte le osservazioni fatte sulla efficacia del sistema ONU) ,quanto piuttosto quello di applicare in buona fede le regole che ci sono.

Una domanda, sempre in punto di diritto internazionale: in caso di guerra, un Paese (ad esempio l’Italia, come del resto altri Paesi europei) che manda a uno dei Paesi belligeranti non solo aiuti, medicine, viveri ma anche armi, può considerarsi di fatto coinvolto nel conflitto bellico?

Va detto in modo chiaro ed inequivoco che qualunque forma d’aiuto o di assistenza allo Stato vittima di un’aggressione è legittima secondo il diritto internazionale, compreso l’invio di armi che aiutino lo Stato a difendersi dall’aggressione. Per riprendere quanto già detto, si tratta di misure  lecite, riconducibili alla legittima difesa collettiva. L’invio di armi, da parte del nostro come di altri Paesi, non fa dell’Italia una parte del conflitto armato in corso, perché non è in atto un confronto armato con la Russia. Nemmeno, come alcuni sostengono, si tratta di una misura “incostituzionale”. L’art. 11 della Costituzione (disposizione assai simile all’art.26 della Costituzione tedesca) ripudia la guerra d’aggressione e come mezzo di soluzione delle controversie internazionali, non certo la guerra di difesa.

Discorso chiuso allora?

Direi di sì, anche perché l’art. 11 va letto insieme all’art. 10 della Costituzione, per cui l’ordinamento giuridico interno nella sua interezza( comprese le disposizioni costituzionali) si conforma al diritto internazionale generale; nel diritto internazionale contemporaneo, come si è detto, misure di legittima difesa, individuali o collettive, sono sempre lecite. C’è stato chi, per sostenere la linea della neutralità, si è riferito a un regio decreto del 1936. Se pure si ritenesse  tuttora vigente quel decreto, malgrado le assai significative trasformazioni intervenute nel diritto internazionale e nell’ordinamento interno negli ultimi 80 anni, va ricordato che l’articolo 9 del Decreto prevede che una eventuale scelta di neutralità dell’Italia debba essere dichiarata con un decreto  del Parlamento. Ebbene, il Parlamento italiano non solo non ha preso in considerazione l’ipotesi della neutralità, ma nelle scorse settimane ha deciso, pressoché all’unanimità, per il sostegno al popolo ucraino, anche attraverso l’invio di armi.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

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