Terremoti, epidemia sismica e previsioni: parla Carlo Doglioni Intervista al presidente dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia

I terremoti non si possono prevedere, solo ipotesi probabilistiche. Tra qualche anno potremo avere strumenti per cogliere i segni premonitori. Necessario costruire una cultura dei rischi naturali “Epidemia sismica”? e? una teoria abbastanza verificata. Il più grave terremoto finora mai registrato? Quello in Cile, del 1960, con magnitudo 9,5: ha avuto un’energia 1000 volte superiore a quella del secondo evento turco di M 7.5 del 6 febbraio scorso

L’ “Epidemia sismica” e la mancanza di una cultura del rischio: cosa causerebbe, Dio ci guardi, un terremoto dell’ultima portata di magnitudo nel nostro Paese?

Devasterebbe mezza Italia. Le norme tecniche di costruzione sono state una conquista, ma possiamo e dobbiamo fare di più, perché dobbiamo salvare non solo la nostra vita, ma anche le nostre case.

Il terremoto in Turchia e Siria ha riacceso una preoccupazione generale anche in Italia. In particolare, nelle zone che erano state già colpite quest’anno generando tragedie, tanto che ad Ischia e Portici hanno chiuso le scuole. Quanto è reale e incombente questo pericolo?

L’Italia ha una vasta parte del suo territorio ad alta pericolosità sismica, ma lo dimentichiamo. Un terremoto può avvenire domani o tra qualche anno, ma tornerà comunque: ce lo dicono la statistica e la geologia. La geodinamica mediterranea determina una media di 20-25 terremoti al secolo di magnitudo superiore a 5.5 nel territorio nazionale, eventi in grado di produrre vittime e danni ingenti. Non possiamo dimenticare che dobbiamo conoscere molto meglio il funzionamento della Terra e dei terremoti di quanto sappiamo ora.

È soprattutto la potenza di questo terremoto a terrorizzare. Secondo lei, una tale portata quanto potrebbe essere distruttiva sulle costruzioni odierne nelle nostre zone sismiche?

I due terremoti di magnitudo 7.8 e 7.5 del 6 febbraio scorso in Medio Oriente devasterebbero mezza Italia: i dati satellitari fanno vedere la vitalità della tettonica delle placche in Italia che estende o comprime la crosta terrestre nazionale di alcuni millimetri l’anno: per fortuna, da noi le velocità tra le placche adriatica, europea e africana, e quindi le energie in gioco, sono inferiori a quelle tra la placca araba e quella anatolica di alcuni centimetri l’anno. Il più forte terremoto mai registrato finora in Italia è del 1693, di magnitudo 7.3, in Sicilia sudorientale e gran parte del nostro territorio ha magnitudo massime attese inferiori a questa.

Quanto siamo indietro in Italia con la costruzione di una cultura del rischio sismico?

Dobbiamo ancora costruire una cultura dei rischi naturali, partendo dalle scuole, facendo capire che conoscere i rischi è un avanzamento collettivo che salva la vita e l’economia. Le norme tecniche di costruzione sono state una conquista per crescere in questo percorso, ma possiamo e dobbiamo fare di più, perché dobbiamo salvare non solo la nostra vita, ma anche le nostre case. Quindi serve una educazione nuova e forte, permanente e capillare, che faccia crescere la consapevolezza del rischio sismico, come degli altri rischi naturali.

I terremoti si possono prevedere?

Ancora no: non abbiamo ancora capito bene la loro natura e i segnali che la Terra emette prima degli eventi importanti: forse tra qualche decennio avremo degli occhiali di lettura molto più nitidi e strumenti in grado di fornirci i segni premonitori che oggi non abbiamo in modo capillare. Al momento vengono fatte solo previsioni probabilistiche di accadimento sulla base della storia sismica passata.

Condivide la formula “epidemia sismica”? Quanto può avere fondamento?

Direi che è una teoria oramai abbastanza verificata: il rilascio di stress durante una sequenza, trasferisce il campo di sforzo in aree adiacenti che, se si trovano in uno stato di soglia critica, possono attivarsi. L’energia delle tettonica si accumula nei volumi crostali che, nel momento in cui non riescono più ad assorbirla, la rilasciano improvvisamente rompendosi in piani di movimento lungo cui si dissipa una parte dell’energia.

Si sono avuti anche con altri terremoti effetti simili allo spostamento dell’Anatolia di questi metri?

Il movimento associato ai due eventi turchi in corso è stato di oltre 5-6 metri per il primo evento e circa 8 metri per il secondo: con i dati dell’interferometria satellitare ora abbiamo una tecnologia estremamente potente per quantificare queste dislocazioni. Più è forte lo spostamento, maggiore è la frizione sui piani di movimento (faglie), che genera le onde che scuotono la superfice del pianeta. Più lunga è una faglia e più grande è il terremoto, e più grande è la sua durata.

In una ipotetica classifica di terremoti, questo come si colloca per gravità?

Terremoti di questa magnitudo ne avvengono nel mondo 10-15 all’anno, quindi l’evento in corso non è né infrequente, né tra i più energetici. Molti di questi eventi però avvengono in zone oceaniche dove, se non provocano tsunami, non portano distruzione. Come confronto, il più grande terremoto finora mai registrato (M 9.5, Cile, 1960) ha avuto un’energia 1000 volte superiore a quella del secondo evento di M 7.5 del 6 febbraio scorso. Tuttavia, questa sequenza sismica è stata terribile per la forte esposizione ed evidente vulnerabilità delle abitazioni, facendo salire molto questa sequenza sismica nella triste classifica del numero di vittime e di scardinamento sociale e infrastrutturale. Rimane però la limitata memoria dell’uomo: il terremoto di M 9.2 del 26 dicembre 2004 in Indonesia ha ucciso oltre 227 mila esseri umani, oppure il terremoto del 12 gennaio 2010 con oltre 200.000 morti, nonostante la magnitudo fosse stata solo di M 7. Come non ricordare la tragedia di Messina e Reggio Calabria per il terremoto e maremoto di M 7.1 del 28 dicembre 1908 con almeno 100.000 defunti. Il 12 maggio 2008 il terremoto di Sichuan in Cina fece 69.000 morti. In sostanza, l’evento turco-siriano, per quanto sia una tragedia immane, non è ai vertici dei terremoti più drammatici. Il 17 agosto 1999, a Izmit vicino a Istanbul, un terremoto di M 7.4 uccise oltre 17 mila persone.

Quali zone in Italia hanno una “tradizione” sismica particolare?

In Italia sono diverse le zone che hanno una tradizione sismica: dalla Sicilia alla Calabria, dalla Campania risalendo lungo tutta la dorsale appenninica, fino alle Prealpi. Risponderei quindi con il motto VALE, acronimo di Vita, Abitazioni, Libertà, Economia: VALE la pena studiare la Terra, VALE la pena conoscere meglio i terremoti, VALE assolutamente la pena di fare buona prevenzione. Dobbiamo in primis salvare la Vita dei concittadini, ma è necessario passare di livello per tutelare le Abitazioni che sono i nostri beni primari, dove custodiamo la nostra cultura e le nostre radici, che vengono azzerate da un evento sismico, obbligandoci spesso, anche per un decennio, a vivere da sfollati, e quindi a perdere la Libertà, determinando anche una profonda lacerazione dell’Economia della comunità colpita dal terremoto, con il conseguente impoverimento e spopolamento. Questo vale in particolare per le aree interne dell’Appennino che hanno già molti problemi di vera e propria sopravvivenza. Il Covid ci ha svegliato da un sonno incosciente e ci ricorda come dagli eventi naturali come le pandemie e i terremoti si può uscire grazie alla ricerca scientifica e lavorando tutti insieme, in una società consapevole dei rischi e solidale nell’aiutare i nostri fratelli in difficoltà. Comunicare è la prima forma di prevenzione e anche in questo l’INGV ha contribuito e continua a diffondere la cultura dell’autodifesa dai rischi naturali.

 

Enrico ScoccimarroGiornalista

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