Pigri, svogliati e ignoranti a scuola? Non è vero: i nostri ragazzi sono soli e hanno bisogno di fiducia

I dati dell’ultimo rapporto Censis segnalano un disagio profondo. Per capire cosa sta succedendo, ci siamo rivolti ai giovani insegnanti: “Stiamo cercando nuovi metodi per una nuova scuola. Ci sono sfide nuove e difficili, sta a noi capirle”
Studenti durante l'esame di maturità in un liceo di Brescia - Foto Riccardo Bortolotti / La Presse Scuola

“È frequente sentir parlar male degli studenti e del loro livello culturale attuale, ma sono accuse che, nella loro genericità, non mi sento di condividere […] chi abbia scelto di fare l’insegnante ha scommesso sui propri scolari, e in generale sui giovani, sulla loro capacità di apprendere […] e sul loro percorso di maturazione. E insomma non può concedersi il lusso di essere pessimista.”

Con queste parole Luca Serianni, uno dei più grandi linguisti e storici della lingua italiana, nel 2017 prendeva congedo dall’insegnamento, lasciando agli allievi che hanno avuto la fortuna di incontrarlo il segno dell’amore e del rispetto proprio solo dei grandi maestri.

Eppure i nostri ragazzi hanno molti problemi. Sempre più stressati, sotto pressione e depressi, i giovani italiani descritti dai dati del Rapporto Censis 2024 mostrano un disagio profondo che è pericoloso sottovalutare. In italiano il 24,5% degli alunni non raggiunge i traguardi di apprendimento al termine del ciclo di scuola primaria. Al terzo anno della scuola media a non farcela è il 39,9%, il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (l’80% negli istituti professionali).

Per quanto riguarda la matematica, il 47,5% non riesce a raggiungere competenze soddisfacenti al liceo, l’81% negli istituti professionali.

Studenti di un liceo italiano - Creative Commons
Studenti di un liceo italiano – Creative Commons

Dati preoccupanti, che sembrano confermare ancora una volta che ci troviamo davanti a una nuova generazione che appare svogliata e incapace di raggiungere i traguardi della generazione precedente. Ma possiamo davvero permetterci di liquidare il problema in modo acritico confinando i nostri ragazzi nel ruolo di pigri bamboccioni social-dipendenti? Per studiare il problema si è voluto qui tentare un approccio diverso: vedere i ragazzi attraverso lo sguardo dei giovani insegnanti, i docenti del futuro a cui non si dà voce, nativi digitali capaci di comprendere le difficoltà della nuova generazione e i limiti dei metodi del “vecchio mondo”.

Dati giusti, parametri sbagliati

Martina Isabella, docente di medie ed elementari che aspira a insegnare nei licei, afferma: “Non penso si possa parlare di ignoranza degli studenti. Davanti a questi dati mi sembra evidente che sia l’istituzione scolastica ad avere un problema. Innanzitutto è opportuno far notare un difetto di metodo: queste valutazioni vengono fatte seguendo un’impostazione nozionistica, ma oggi ai ragazzi non è più richiesto di imparare le nozioni a memoria”.

Leonardo Borvi, insegnante di scuola media che spera un giorno di insegnare anche nei licei, spiega: “La società è cambiata e giudicare i ragazzi con i vecchi parametri non può che dare risultati distorti. Gli studenti che abbiamo davanti oggi hanno capacità e abilità differenti rispetto a quelli di quarant’anni fa: l’insegnamento è molto cambiato, perché il mondo attuale è completamente diverso e richiede nuove competenze. Le sfide davanti alle quali si trovano i ragazzi di oggi sono estremamente difficili, ed è difficile interpretarle anche per noi insegnanti”.

E ancora: “La pressione è aumentata per tutti”, continua Borvi, 2ai docenti servono sempre più specializzazioni, ai ragazzi è richiesto di sapere sempre più lingue e di essere in grado di utilizzare perfettamente ogni tipo di programma e device. Tantissimi contenuti troppo complicati vengono trasmessi troppo presto, con il risultato che in classe li si affronta in modo superficiale. Le competenze da sviluppare dietro i banchi di scuola sono veramente tante e il rischio di voler far tutto è di farlo male. L’approccio alla complessità deve essere strutturato, non complicato. Invece ai nostri studenti viene richiesto di fare centinaia di cose in contemporanea e quando non ci riescono – perché non ci possono riuscire – i ragazzi perdono fiducia nelle proprie capacità e non apprendono come affrontare con serietà le sfide che gli si presentano. Insomma, i ragazzi di oggi non sono ‘rincoglioniti’, sono diversi, come lo è ogni generazione, hanno competenze e capacità differenti perché il loro sviluppo cognitivo è stato differente”.

Una scuola elementare - Creative Commons
Una scuola elementare – Creative Commons

Insegnanti precari e allievi senza bussola

Martina Isabella aggiunge: “Il precariato è un problema immenso anche per i ragazzi: non c’è nessuna continuità, nessuna possibilità di insegnargli un metodo. Senza contare che i gradi scolastici sono molto scollati tra loro: alle elementari studiano in un modo, alle medie in un altro e al liceo non sono più capaci”.

“Una volta uno studente aveva un percorso didattico stabile”, è di nuovo Borvi a parlare, “i professori non cambiavano per i 5 anni del liceo, i supplenti erano rari. Oggi cambiare docenti è la norma, ho avuto ragazzi che in 5 anni di elementari hanno avuto 18 maestre. Cosa significa questo per un bambino? Ogni volta doversi adattare a nuove richieste, nuovi metodi, a tempi diversi. Sono ragazzi che non hanno avuto la possibilità di apprendere alcun tipo di metodo e oggi non hanno un livello di scolarizzazione adeguato. Se guardiamo il quadro complessivo, è un danno anche dal punto di vista affettivo: creare un legame di fiducia e rispetto con i propri studenti non è più possibile, non c’è il tempo e come questo influisca dal punto di vista dello sviluppo emotivo e formativo è evidente”.

Il problema dei social e del digitale

“Per noi docenti il mondo di oggi presenta grandi sfide”, racconta Martina Isabella. “Abbiamo dovuto trovare sistemi innovativi per insegnare alle nuove generazioni: catturare il loro interesse è difficile, il loro tempo di attenzione è estremamente limitato. Sono ragazzi con cui astrarre è molto complesso, molto concentrati su sé stessi, ma capaci di apprendere una volta trovata la via giusta. Non è più possibile fare una lezione con dati e numeri come una volta; non la seguirebbero. Si tratta di trovare la strategia giusta, i ragazzi che vengono educati bene ci sono e ottengono risultati eccellenti. Il lavoro che dobbiamo fare come professori è del tutto inedito, è normale che i risultati che si vedono siano diversi”.

Borvi aggiunge: “Dobbiamo essere obiettivi e coerenti con il mondo che ci si presenta. Utilizzare la tecnologia per far partecipare i ragazzi alla lezione in maniera attiva è fondamentale. Gli permette di capire che gli strumenti che hanno a disposizionenel quotidiano possono essere utilizzati con intelligenza. La nuova generazione ha tanto da dire, molto da insegnarci. Per quanto non si possa affermare che questo sia un momento felice per la didattica e la cultura, perché quando si parla di nozioni i ragazzi effettivamente sembrano averne di meno, se guardiamo alle competenze, forse ne hanno di più. Sono in grado di trovare informazioni in una maniera impressionante, è una generazione che ha curiosità e voglia di andare oltre la singola nozione”.

Studenti con gli smartphone - Creative Commons
Studenti con gli smartphone – Creative Commons

La scuola: un’istituzione screditata anche dalle famiglie

Non possiamo negare che molte delle difficoltà derivino anche dal rapporto che le famiglie hanno con l’istituzione scolastica.

Martina Isabella afferma: “I ragazzi oggi vanno trattati con estrema attenzione perché le famiglie sono diventate iperprotettivee il giudizio negativo dell’insegnante non si rispetta più. Il voto basso come minaccia non funziona, al ragazzo non interessa e la famiglia lo difende: il docente ha perso la sua figura istituzionale, non è più percepito come un professionista da rispettare. Bisogna trovare altre strategie, perché il sostegno delle famiglie ormai è quasi inesistente. È facile dire ‘i ragazzi non studiano, sono svogliati’ ma è un modo di lavarsi le mani, scaricare il problema, anche per gli insegnanti. Non è giusto generalizzare, il problema non è solo dei ragazzi, è anche nostro, è anche della scuola. Se al 50% dei ragazzi mancano le nozioni di base vuol dire che qualcuno non ha saputo comunicargliele. L’attenzione alla lettura è pochissima e purtroppo è un’abilità che quando viene trascurata è estremamente difficile riprendere”.

Silvia Carosone, insegnante di elementari e medie, segnala: “Verso le materie più complesse i ragazzi mostrano spesso disinteresse, ma è colpa loro solo in parte, perché quelle che gli vengono trasmesse, anche in famiglia, sono altre priorità. Il livello si è abbassato perché vengono trascurate abilità fondamentali; per esempio in prima e seconda media hanno difficoltà enormi a scrivere in corsivo, perché alle elementari spesso non viene insegnato. Oggi è particolarmente importante che a casa i ragazzi vengano stimolati alla curiosità e alla lettura, perché se abbandonati a sé stessi tendono a tralasciare gli aspetti più importanti della loro formazione”.

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