Camicia bianca e professionalità. È così che ci accoglie per l’intervista sulle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) il Dottor Giuseppe Bratta, Presidente del Distretto Produttivo Pugliese delle Energie Rinnovabili e dell’Efficienza Energetica “La Nuova Energia”.
Si tratta di un’associazione convenzionata con il Politecnico di Bari e riconosciuta dalla Regione Puglia. Come si apprende dal sito dell’Università, tra i suoi obiettivi c’è quello di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Lo stesso scopo delle CER, cioè quelle comunità formate da produttori e consumatori di energia da fonti rinnovabili come il fotovoltaico.
Cosa pensa dell’autonomia energetica, in particolare delle CER? Secondo lei, sono la soluzione per ottenere l’indipendenza energetica? Oppure ci sono altre soluzioni per raggiungerla? Glielo chiedo perché, a causa della guerra in Ucraina, è diventato centrale il tema dell’indipendenza energetica, dato che dipendiamo molto dalle fonti fossili, in particolare dalla Russia.
Bisogna puntare sull’autonomia energetica, che è una priorità assoluta per realizzare la democrazia energetica. In questo modo, ogni persona potrebbe produrre da sé l’energia di cui ha bisogno, usando le fonti rinnovabili. In tal caso, però, c’è bisogno di uno spazio vicino laddove la si produce. Cosa non sempre realizzabile, come nei condomini.
Qui, al massimo, si può realizzare un impianto per i consumi del condominio, ma non per la singola famiglia. Questo perché non c’è lo spazio per mettere i pannelli solari sufficienti per dare energia a tutte le famiglie.
Stessa cosa per le aziende: i pannelli sui loro tetti spesso non bastano per essere autonome al 100% dal punto di vista energetico. Nelle CER, invece, il posto dove si produce l’energia può essere diverso da quello in cui la si consuma. L’obiettivo di queste comunità è dare la possibilità a tutti di prodursi l’energia da soli.
A che punto sono le CER?
Sono state regolamentate con il Decreto Milleproroghe. Questo Decreto, che renderebbe tutto sostenibile, in termini di famiglie e imprese, non è ancora attuativo. Oggi un impianto solare potrebbe costare di meno se ci fossero le detrazioni fiscali; cosa che potrebbe accadere se l’energia prodotta da questi impianti venisse remunerata sulla base del prezzo del mercato. Attualmente, però, non è così.
Però, il legislatore sta impostando le CER su un principio diverso da questa parità economica tra energia venduta ed energia acquistata.
In che senso?
L’energia che si produce nelle CER viene venduta a un prezzo diverso rispetto a quella che la comunità può acquistare dall’esterno. In poche parole, se la CER produce energia in più, può venderla al prezzo di 11 centesimi al kWh. Con gli attuali costi dell’energia, questa è una limitazione al loro sviluppo. In sostanza, questo sembra essere un incentivo per sviluppare le CER, ma non lo è. Lo potrebbe essere se i partecipanti alla CER venissero remunerati sulla base dello stesso prezzo di mercato dell’energia elettrica.
Come fare per incentivarle, allora?
Per farlo, lo Stato dovrebbe incentivare gli investimenti fiscali. In questo modo, se una persona volesse investire nelle CER, questo investimento non dovrebbe essere tassato. Per cui, invece di comprare i Buoni Ordinari del Tesoro (cioè i BOT), ogni persona potrebbe comprare una quota di CER.
Quindi, sono convenienti o no queste CER?
Con le attuali regole, le CER sono convenienti limitatamente. Tutti stanno aspettando i decreti attuativi e, nel frattempo, sono cambiati i limiti dell’energia che può produrre al massimo ciascun impianto fotovoltaico, che sono passati dai 200 kWh a 1 MWh. Però, non si capisce se questo limite si riferisce all’energia prodotta da una stessa cabina elettrica o a quella generata in uno stesso codice di avviamento postale.
Cosa limita una CER?
Non la tecnologia, ma la volontà politica. Se ogni cittadino, che non può installarsi un impianto dove lui lo consuma, aderisse a una CER per produrre da sé energia accadrebbero due cose. Da una parte, ogni persona pagherebbe meno la bolletta elettrica; dall’altra, le aziende di energia elettrica guadagnerebbero di meno. Per diventare davvero un Paese con un’economia green, le CER potrebbero essere del tutto o in parte a carico dello Stato.
Ora, invece, cosa accade?
Quel che sta accadendo è che ci stiamo facendo carico delle accise dei carburanti. Ma, così facendo, stiamo versando decine di miliardi senza trovare una soluzione nel lungo termine. Perciò, sia i cittadini sia le aziende continueranno a essere dipendenti energeticamente da un fornitore di energia che, a sua volta, la comprerà da una fonte di gas non più della Russia ma dell’Algeria.
Insomma, stiamo cambiando la dipendenza, ma non stiamo trovando una soluzione nel medio periodo, affinché ogni cittadino e ogni azienda siano indipendenti dal punto di vista energetico. Per far questo, bisogna cambiare le regole dello scambio di energia elettrica sul posto in cui la si produce.
Cioè? Ci illustri questo concetto.
Consideriamo il caso di un’azienda che produce e consuma energia elettrica da fonti rinnovabili. L’energia che produce e consuma gli viene compensata. Se, invece, produce energia in più la può vendere a un prezzo che è 5 volte più basso rispetto a quello con cui l’ha acquistata, in base a quanto stabilito dall’autorità dell’energia elettrica. In pratica, ora come ora all’azienda non conviene entrare a far parte della CER: se gli serve energia, perché quella autoprodotta non basta, deve spendere di più; e questo nonostante l’abbia rilasciata nella rete, quando invece di energia ne aveva troppa. A questo proposito, c’è da dire che l’ente che gestisce lo scambio sul posto di energia elettrica è il GSE (Gestore Servizi Energetici, n.d.r.) che, tra i costi e i ricavi, ha all’attivo 1 miliardo di euro.
Ci sono degli svantaggi economici a realizzare e gestire le CER?
Sì, ma sono limitati perché si aggirano intorno al 10% dei ricavi. Per questo, investire sulle CER può essere un vantaggio e non un peso economico sulle famiglie o sull’impresa. Eppure, con gli attuali prezzi dell’energia, le CER sono convenienti in maniera limitata. Il rischio, inoltre, è che si realizzino queste comunità dove le regole non sono troppo stringenti, come accade con gli incentivi per i comuni sotto i 5 mila abitanti. In questo momento ho la sensazione che si vada con il freno a mano. Il modello CER, a mio avviso, è un modello win-to-win sul modello economico e su quello ambientale, perché fa del bene anche all’ambiente.
A livello nazionale, si potrebbe far diventare l’Italia una grande CER? O, per ora, è solo un sogno?
A livello concettuale, sì. L’Italia potrebbe diventare una Comunità Energetica Rinnovabile. Se l’Italia decidesse, non solo con gli annunci, ma con gli atti legislativi di diventare una CER, potrebbe diventarlo facendo atti in questa direzione.
Quali sono gli altri motivi che potrebbero frenare la realizzazione delle CER?
La burocrazia. Io che sono un imprenditore che opera nelle rinnovabili da 15 anni non sono spaventato dalla burocrazia, che è eccessiva, perché ci sono abituato a combattere. Questo le dà il termometro delle rinnovabili in Italia.
Ma si potrebbe ridurre questa burocrazia?
Sì. Per farlo bisognerebbe agire su due fronti. Prima di tutto, si dovrebbe realizzare un testo contrattuale standard promosso dal Ministero, valido per tutti. E poi, si dovrebbero snellire le pratiche di autorizzazione. In più, devono essere specificati i tempi sia dell’ente urbanistico comunale sia della realizzazione degli impianti fotovoltaici sui tetti e sui terreni. Infine, anche i relativi costi devono essere specificati e devono favorire le CER. E poi…
E poi cosa?
E poi bisognerebbe eliminare la parte di gestione fiscale delle dogane, in modo da favorire queste comunità. Infatti, la CER con un impianto fotovoltaico che produce più di 20 kWh dal punto di vista legale viene considerata una grande azienda elettrica, anche se non lo è. Ed è, quindi, sottoposta a una burocrazia che anziché incentivarla la ostacola.
Dario Portaccio – Giornalista